martedì 9 dicembre 2008

Per Goldman Sachs, Perfect Storm durerà ancora almeno altri diciotto mesi!


La tempesta perfetta compie oggi il suo primo anno e mezzo di vita e proprio ieri un report degli analisti della ancora potente e sempre preveggente Goldman Sachs ha reso noto che siamo a metà del percorso di quella parte della crisi finanziaria rappresentata dalla crisi delle istituzioni creditizie ovunque basate, mentre alle banche resterebbe da mettere in conto ancora un terzo delle perdite complessive stimate in 1.800 miliardi di dollari.

Lo studio rilanciato con evidenza dalle agenzie di stampa statunitensi che un po’ perfidamente ricordano come nello scorso mese di aprile il Chief Executive Officer e Chairman di Goldman, Larry Blankfein, avesse dichiarato che, se la tempesta perfetta fosse stata una partita, saremmo al terzo dei quattro tempi previsti (il che voleva dire che tutto si sarebbe concluso entro l’estate 2008) ci dice, in buona sostanza, che dovremo attendere almeno l’estate del 2010 per vedere la fine della crisi creditizia, che, per la prima volta, vede attribuirsi una longevità di tre anni.

Non conoscendo i dettagli dello studio coordinato dal capo economista globale di Goldman Sachs, Richard Ramsden, non sono assolutamente in grado di esprimere alcun giudizio sullo schema di ragionamento seguito per giungere alla stima appena citata sulla durata e la profondità di perfect storm, anche se temo che sia il primo che il secondo aspetto vengano considerati in un’ottica un po’ troppo bancocentrica, rischiando così di non tenere conto appieno del micidiale effetto domino in corso e degli effetti drammatici derivanti dai default aziendali da esso determinati sulla domanda effettiva e, quindi, sui bilanci delle banche e delle altre principali protagoniste del mercato finanziario globale.

Non avevo alcun dubbio sulla entusiastica reazione dei mercati azionari di tutto il mondo al coraggioso piano di spesa in infrastrutture annunciato sabato scorso dal presidente eletto, Barack Obama, un piano che mescola sapientemente aspetti della old e della new economy in salsa verde, cioè ecologista, ma, soprattutto, dimostra che i numerosi Dream Teams di cui il giovane politico di Chicago si è circondato dispongono non solo dei migliori talenti in circolazione negli Stati Uniti d’America, ma partono anche da un’analisi corretta delle cause della peggior crisi finanziaria mai vissuta dall’umanità e che presenta aspetti ‘strutturali’ molto più preoccupanti di quelli che caratterizzano il crollo del 1929 e la successiva Grande Depressione.

So bene che la maggior parte dei miei lettori più costanti, quelli che, secondo le statistiche di Google Analytics, hanno effettuato più di duecento visite a questo blog, vorrebbero sapere se considero il progetto presentato da Obama non tanto una condizione necessaria quanto, piuttosto, una condizione sufficiente per uscire dall’attuale meltdown della finanza e dell’economia altrettanto globali che stiamo vivendo, ma credo sia troppo presto per esprimere un giudizio di questo genere, anche se devo dire che concordo perfettamente con il futuro presidente a stelle e strisce sul fatto quando dice che, prima di vedere una ripresa, dobbiamo rassegnarci a vedere il peggio della tempesta perfetta.

Certo, fa un po’ impressione vedere la crescita a due cifre registrata ieri dalle quotazioni delle azioni della maggior parte delle banche poste al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico, soprattutto ove si consideri l’eccellente performance registrata dalle banche statunitensi nella seduta di venerdì, così come è confortante sapere che i negoziati per il finanziamento ponte alle tre maggiori case automobilistiche statunitensi stanno progredendo alacremente, ma mi permetto di sottolineare quanto vi sia di eccessivamente anticipatorio nel sospiro di sollievo che giunge distintamente da New York nello stesso giorno nel quale la catena che edita, tra gli altri, l’Heral Tribune è stata costretta a fare ricorso alla procedura fallimentare e lo storico New York Times is vede costretto a dare in pegno il proprio grattacielo per ottenere i finanziamenti necessari per non incorrere nella stessa sorte della testata rivale.

Se vi chiedete cosa c’entrano mai le sorti del settore dei media con la tempesta perfetta, vuole dire che non sono stato abbastanza chiaro nelle oltre quattrocento puntate del Diario della crisi finanziaria sulle caratteristiche dell’effetto domino, un effetto sul quale ho appreso molto di più dalla lettura dell’omonimo romanzo di Mack Reynolds che dai saggi accademici maggiormente in voga sulla Grande Depressione e sulle altre grandi crisi finanziarie!

Lasciando l’America alle sue spero fondate speranze, credo necessario volgere lo sguardo a quanto sta avvenendo nell’Unione Europea, per registrare l’avvenuta rottura del trio dei paesi volenterosi, una rottura sancita dall’incontro a due tra Gordon Brown e Nicolas Sarkozy, assente, e non per precedenti ed inderogabili impegni, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, per non parlare della situazione da vera e propria Torre di Babele rappresentata dagli altri ventiquattro paesi membri dell’Unione, ognuno alle prese con il suo mini piano di salvataggio che ha, al di là delle differenze, ben poche chances in uno scenario che vede gran parte delle imprese bancarie e d assicurative avere caratteristiche transnazionali, come ha drammaticamente ricordato la vicenda di Fortis che ha richiesto l’intervento di ben quattro stati membri (Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo).

D’altra parte, cosa ci si doveva aspettare dopo le infinite diatribe sul Trattato europeo, anche nella sua attuale versione riveduta ed annacquata, una situazione che rappresenta l’ennesimo colpo alle residue speranze di edificare gli Stati Uniti d’Europa!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.