Il leader della minoranza repubblicana al Senato è uscito allo scoperto e si è dichiarato contrario all’intesa faticosamente raggiunta tra il presidente uscente, George W, Bush, ed i massimi esponenti parlamentari del partito democratico, un’opposizione, quella dell’esponente repubblicano, totalmente basata su ragioni ideologiche e di principio e che potrebbe mandare a carte all’aria il tentativo di salvataggio in extremis fortemente voluto dal presidente eletto e dai suoi massimi consiglieri.
Nel frattempo, le nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione ha registrato il livello più elevato mai raggiunto negli ultimi ventisei anni, un dato che conferma che l’economia reale statunitense sta frenando bruscamente nell’ultimo trimestre dell’anno che potrebbe davvero registrare un calo del prodotto interno lordo nell’ordine del 3,5-4 per cento come preconizzato nelle scorse settimane da alcuni analisti, ma che chiarisce anche inequivocabilmente come la crisi finanziaria ed il correlato fenomeno del credit crunch stiano determinando gravi difficoltà sia dal lato dell’offerta che da quello della domanda effettiva.
Come ho avuto modo di ricordare nelle ultime puntate, le difficoltà sempre più gravi nelle quali versa sia il bilancio federale che quelli dei singoli Stati sta impedendo alla pubblica amministrazione di continuare a creare nuovi posti di lavoro come è, invece, avvenuto sin dall’avvio della tempesta perfetta, un’azione del tutto anticiclica che è resa del tutto impossibile alla luce delle difficoltà incontrate, ad esempio, dallo Stato della California che si trova in una situazione molto, ma molto vicina al default, ma in affanno sono la maggior parte delle municipalità, delle contee e degli stati, nonché la miriade di organismi in qualche modo collegati alla pubblica amministrazione.
La vera novità delle ultime sedute è rappresentata, però, dalla brusca interruzione di quel processo di apprezzamento del dollaro nei confronti delle principali valute, un’inversione di tendenza che è stata particolarmente significativa nel cambio con l’euro che ha recuperato parecchie posizioni nei confronti della valuta statunitense, mentre, nei confronti dello yen giapponese, il dollaro si presenta molto debole sin da qualche settimana, al punto che ieri il dollaroi si è trovato a testare l’importante soglia psicologica dei 90 yen.
Il rafforzamento del dollaro registrato nei mesi scorsi era il prodotto di due fenomeni molto diversi tra loro, quali l’afflusso di capitali stranieri legato al rischio del default sistemico del mercato finanziario globale e l’operato molto aggressivo della maggior parte delle banche centrali, in particolare da parte della Banca Centrale Europea e della Bank Of England, che hanno continuato a convertire enormi quantità di valuta in dollari che venivano poi prestati alla Federal Reserve al fine di consentire a Bernspan di inondare di liquidità senza soluzione di continuità il mercato interbancario ad un ritmo di centinaia di miliardi di dollari al giorno.
Esaurita la fase più intensa dell’attività delle banche centrali, anche alla luce dei livelli davvero infimi toccati dai tassi ufficiali di interesse ed in presenza di una sensibile riduzione degli spreads sul mercato interbancario dai livelli eccezionali toccati nei primi dieci giorni di ottobre, ridottosi l’afflusso dei capitali alla ricerca di un porto sicuro che si sta rivelando sempre meno tale, il dollaro sembra destinato a riprendere il suo alquanto inesorabile downtrend.
D’altra parte, mentre mi sono visto costretto a rivedere al ribasso la previsione fatta alla fine del 2007 sul prezzo del petrolio per l’anno in corso, portandola da 75 a 50 dollari al barile, non ho mai modificato quella sul dollaro che vedevo toccare un minimo contro euro a 1,70 dollari e a 90-95 yen, valori che considero ancora perfettamente attuali, per il dollaro/yen addirittura già pienamente realizzati, anche se ancora non in linea con la debolezza strutturale prospettica della valuta statunitense che, se dovesse realmente e pienamente riflettere gli squilibri nei conti pubblici e la disastrosa posizione netta sull’estero, potrebbe raggiungere minimi molto più bassi di quelli da me a suo tempo previsti.
Il germanizzato presidente della banca centrale Europea, Jean Claude Trichet, ha ammonito con molta fermezza i governi dei paesi dell’Unione Europea a mantenere gli impegni presi ad ottobre nel drammatico vertice dei capi di stato e di governo che decise di lanciare piani straordinari di salvataggio del sistema finanziario e di sostegno all’economia reale, anche se ha volutamente glissato che il suo richiamo è rivolto a quegli unici tre paesi che hanno deciso di prendere il toro per le corna e di mettere, anche se in parte solo virtualmente, 1.500 miliardi di euro nel piatto, spendendone in realtà solo una piccola frazione.
Il richiamo di Trichet è giunto non a caso mentre i ventisette leaders europei si stavano accapigliando sulla questione del rispetto degli impegni sulle connesse questioni del clima e dell’energia, temi che dimostrano una volta di più non solo le divisioni esistenti tra i partners, ma anche la diversità dell’approccio europeo rispetto a quello della nuova amministrazione americana, fortemente decisa a trasformare il rischio derivante dall’emergenza ambientale e dal tema dell’autosufficienza energetica in una grande opportunità: quella di gettare le basi della cosiddetta terza rivoluzione industriale basata sulla produzione di energia alternativa a livello molto più locale del passato, una scelta che consentirebbe non solo la creazione di milioni di posti di lavoro, ma anche la realizzazione di un modello di sviluppo molto più sostenibile sia sul piano ecologico che sociale di quello attuale!
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.