venerdì 5 dicembre 2008

Con questi governi e questi banchieri centrali non usciremo mai dalla tempesta perfetta!


Stretti tra un’opinione pubblica che in larga maggioranza continua ad essere contraria al salvataggio delle tre maggiori case automobilistiche americane e lo sforzo congiunto dei tre Chief Executive Officer di General Motors, Ford e Chrysler e degli esponenti del maggiore sindacato del settore dell’auto che paventano gli effetti sistemici derivanti dal sempre più probabile default, i leaders dei congressisti continuano, in modo del tutto bypartisan, a fare i difficili, anche se una delle obiezioni che muovono, quella dei motivi del rialzo della richiesta dagli iniziali 25 agli attuali 34 miliardi di dollari, non è del tutto infondata, in quanto i 9 miliardi in più nell’arco di un solo mese potrebbero essere una dimostrazione palmare dell’inutilità di gettare altri soldi nell’arroventata fornace di Detroit.

Non ho avuto modo di leggere le condizioni poste a Nouriel Rubini per il salvataggio di Big Car, ma credo siano un po’ in linea con le richieste più ragionevoli provenienti dal popolo del web che, come ricordavo nei giorni scorsi, è letteralmente insorto di fronte ad un ipotesi di salvataggio senza condizioni con finanziamenti letteralmente a piè di lista, con la piccola differenza derivante dalla fama giustamente acquisita dall’economista che per oltre un anno è stato sprezzamene definito Dr. Dome, ma che da ottobre scorso viene generalmente considerato uno dei pochi ad aver individuato, sin dall’inizio, le cause e gli effetti della tempesta perfetta che martedì prossimo entrerà nel suo diciottesimo anno di vita.

Scossa da questo vivace contrasto e dalla difficoltà di intravedere un possibile happy end, il mercato azionario statunitense ha replicato ieri in tono minore quanto è avvenuto nel recente Black Monday (una caduta rovinosa che si pone come la quarta di tutti i tempi in ordine di grandezza), anche perché, al di là della consueta pioggia di dati economici negativi, è fortissima la preoccupazione per la diffusione odierna del Non Farm Payrolls e del tasso di disoccupazione relativi al mese di novembre, un dato che dovrebbe consentire di comprendere meglio i danni reali determinati da una recessione in corso da un anno, a sua volta figlia della maggiore crisi finanziaria dopo quella del 1929.

Nel frattempo la Banca Centrale Europea ha deciso di operare un taglio maggiormente coraggioso al tasso della repo, portandolo in un colpo solo dal 3,25 al 2,50 per cento, una mossa non del tutto prevista nella sua entità, ma certamente influenzata dal fatto che i tassi britannici sono stati portati al 2 per cento, così come, con un taglio di ben 175 punti base, quelli svedesi, noché dalla previsione che Bernspan ed i suoi complici decidano al più presto di portare il tasso sui Fed Funds anche al di sotto dell’1 per cento attuale, spingendosi così su un terreno del tutto inesplorato e dove mai aveva osato avventurarsi persino il suo Maestro, Alan Greenspan, un’area dove i tassi reali diverranno ancora più negativi e che riporta alla mente lo scenario giapponese del dopo scoppio della bolla immobiliare e dei crack bancari a catena e che, salvo una relativamente breve parentesi, dura dal 1987 e che rappresenta una perfetta applicazione concreta della trappola della liquidità di keynesiana memoria.

D’altro canto, le mosse alquanto disperate dei banchieri centrali sono state accompagnate dalla certificazione, da parte dell’EUROSTAT, dello stato di recessione nell’area dell’euro e, più in generale, nell’intera area europea, dal calo del petrolio al di sotto della soglia dei 44 dollari al barile, una flessione di più del 70 per cento dai massimi un po’ drogati dalla speculazione registrati nel luglio scorso e che rappresenta uno dei termometri più efficaci dello stato infimo di fiducia nel futuro degli imprenditori di tutto il globo.

Ai livelli attuali dei tassi ufficiali, ci stiamo avvicinando a quella situazione che ho prefigurato più volte nei mesi scorsi, quella cioè nella quale vanno ad azzerarsi i margini di manovra dei banchieri centrali e mentre è difficilmente immaginabile che i governi dei paesi maggiormente industrializzati e le istituzioni finanziarie sovranazionali possano fare qualcosa di più di quello che stanno facendo.

Tanto per dare un’idea di quello che ho appena affermato, basti considerare che il governo e le varie agenzie federali, nonché la banca centrale, hanno impegnato sinora fondi per l’astronomica cifra di 8.500 miliardi di dollari, più o meno il doppio delle risorse impegnate a vario titolo dai ventisette paesi membri dell’Unione Europea, asua volta all’incirca il doppio di quella stanziata dai paesi dell’Estremo Oriente, il che porta, salvo errori ed omissioni, ad un totale che si pone poco al di sotto dei 15.000 miliardi di dollari, una cifra che purtroppo non arriva al 15 per cento della montagna di titoli della finanza strutturata, Credit Default Swaps ed altre forme di garanzia assicurativa ovviamente inclusi.

Ovviamente, la disparità tra le cifre impegnate dai governi e dalle istituzioni finanziarie e le diavolerie inventate dagli apprendisti stregoni delle fabbriche prodotto delle Investment Banks e delle divisioni di Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali (per non parlare del ruolo delle compagnie di assicurazione, anche di quelle non monoliner, degli hedge funds, dei fondi di investimento, dei fondi pensione, dei private equitye chi più ne ha ne metta) è in realtà solo teorica, in quanto anche nel salvataggio vale sempre l’effetto leva, ma questo è vero solo se i manovratori hanno ben chiare le cause del disastro in corso, ma, ancor di più, se gli attuali topi posti a guardia del formaggio verranno sostituiti da persone, come Paul Volker, che in questi decenni non si sono stancate di denunciare i pericoli insiti in un mercato finanziario globale che diventava sempre più simile ad un immenso casinò a cielo aperto!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.