sabato 6 dicembre 2008

L'effetto domino e la durata della recessione.


Negli anni trascorsi a fare l’economista di una sala operativa di una banca, ho avuto modo di comprendere i motivi della crucialità psicologica di un dato come il Non Farm Payrolls, l’indicatore che misura l’andamento mensile netto delle buste paga al di fuori di quel settore agricolo che non occupa più del 4 per cento della forza lavoro complessiva statunitense che, pur con variazioni significative congiunturali, si aggira intorno ai 120 milioni di donne e di uomini.

Nella situazione odierna, tuttavia, tale dato assume certamente un valore ancora maggiore, in quanto buona parte dei posti che si stanno perdendo sono quelli considerati ‘buoni’, in quanto la falcidia attuale sta colpendo duramente nel settore finanziario, in quello immobiliare, in quello automobilistico, tutti settori che garantivano alti salari, generosi sistemi di incentivazione, ottime previsioni in termini di assistenza sanitaria e buoni programmi previdenziali, tutti elementi che rendevano questi lavoratori uno dei segmenti più interessanti del vasto popolo dei consumatori a stelle e strisce, una vera e propria elite della specie delle cicale americane, molto più vorace di quella appartenente al regno animale.

Come ricordava efficacemente Carlo Clericetti su La Repubblica di ieri, uno dei motivi che renderà estremamente lunga la recessione attuale consiste nello storico processo di redistribuzione del reddito in corso da decenni, un fenomeno che vedeva tre anni fa crescere in modo molto significativo la differenza esistente tra il decile più povero e quello più ricco, un processo nel quale, almeno in termini di variazione, l’Italia aveva un posto di primo piano, con una crescita delle differenze tra lo strato più povero e quello più ricco ad un tasso addirittura doppio di quello registrato negli Stati Uniti d’America, a sua volta di gran lunga superiore a quello registrato nei maggiori paesi dell’Unione Europea.

L’esplosione dell’indebitamento relativo all’acquisto di abitazioni negli USA negli ultimi anni, la conseguente bolla immobiliare e la proliferazione di titoli della finanza strutturata legati agli stessi hanno reso la questione del livello dei prezzi delle case un elemento quasi altrettanto importante di quello legato all’occupazione, creando una miscela davvero esplosiva che non ha solo minato alle basi l’American Dream, ma ha creato le premesse per un effetto domino micidiale che rende qualsiasi previsione sulla durata della recessione in corso da un anno e sulla fine della tempesta perfetta prossima a compiere l’anno e mezzo più delle vaghe speranze che un serio esercizio previsorio dotato del sufficiente grado di scientificità..

La perdita nel solo mese di novembre di oltre 500 mila buste paga, il polverizzarsi di un milione e quattrocentomila posizioni di lavoro negli ultimi tre mesi e poco meno di due milioni da quando, nel dicembre dell’anno scorso, la recessione ha avuto inizio, nonché l’atterraggio del tasso di disoccupazione in zona 7 per cento ed oltre dieci milioni in termini assoluti, sono tutti dati che danno un’idea solo parziale di quanto sta avvenendo nel mercato del lavoro statunitense, in quanto si tratta, fatta eccezione del tasso di disoccupazione, di saldi netti che vedono spesso un nuovo posto in un fast food da non più di 20 mila dollari annui compensare la perdita di un posto da centinaia di migliaia di dollari annui a Wall Street, un’equivalenza solo apparente che sottrae domanda effettiva in modo molto, ma molto significativo.

La differenza tra la reazione del mercato azionario statunitense e quelli europei alla notizia di un dato che dovrebbe avere impatto prevalente sui tre indici principali di Wall Street non deve stupire più di tanto, proprio per i ragionamenti che propongo da diverse puntate ai lettori del Diario della crisi finanziaria, legati alla diversa capacità di reazione americana rispetto a quella dei ventisette paesi membri dell’Unione Europea che si ostinano a muoversi in ordine sparso rispetto alle cause ed agli effetti di una crisi che davvero non ha precedenti conosciuti e che richiederebbe il massimo di coesione tra i paesi vecchi e nuovi appartenenti al sodalizio europeo, una coesione che sta venendo a mancare anche tra i tre maggiori paesi europei, con La Merkel che lascia soli ad incontrarsi Brown e Sarkozy..

Il segno positivo con il quale sia il Dow Jones che il Nasdaq e lo Standard & Poor’s 500 hanno chiuso la settimana, contrapposto ad una flessione del 4 per cento dell’indice che misura i principali titoli azionari europei, nonché il vero e proprio balzo in avanti del settore finanziario a stelle e strisce (+7,1 per cento) registrato nella stessa giornata che ha visto tonfi pressoché generalizzati dei titoli finanziari europei, rappresenta, quindi, un paradosso, ahinoi, soltanto apparente, che non del tutto a caso avviene dopo che il germanizzato Trichet e di suoi colleghi templari del board della banca centrale Europea hanno deciso di portare i tassi di interesse reali ad un livello negativo e la Bank of England e la banca centrale svedese si sono spinti a fissare i tassi ufficiali addirittura al livello del 2 per cento, mosse che svuotano quasi del tutto i caricatori delle loro un tempo molto capaci pistole!

L’accordo raggiunto tra la Casa Bianca ed il Congresso sugli aiuti alle tre principali case automobilistiche statunitensi e che prevede finanziamenti per meno della metà di quanto richiesto all’unisono dai top manager delle tre Big di Detroit, dal più potente sindacato del settore e dalle migliaia di dipendenti e concessionari scesi in piazza, nonché le ferree condizioni che Big Car dovrà ingoiare rappresentano certamente una buona notizia ed un buon risultato per quanti hanno utilizzato in modo molto intelligente il web per esprimere il loro disappunto di fronte al rischio di un ulteriore pagamento a piè di lista per gli errori manageriali degli attuali tre CEO di General Motors, Ford e Chrysler, colossi che producono oramai meno del 50 per cento della auto statunitensi.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.