lunedì 8 dicembre 2008

Una fabbrica occupata sulle nuvole di Chicago spinge Obama al 'New New Deal'!


L’occupazione di una fabbrica di Chicago da parte dei lavoratori licenziati fornisce il segno di come la tempesta perfetta abbia modificato il clima sociale negli Stati Uniti d’America, la nazione più potente del mondo che non è, tuttavia, dotata di un sistema di welfare in grado di fornire risposte ad una così massiccia perdita di posti di lavoro ‘buoni’ come quella che si sta inesorabilmente verificando negli ultimi dodici mesi, un’erosione che è stata da subito chiara nel settore privato, ma che per ben otto mesi è stata in parte compensata dalla crescita dei posti nel settore pubblico da parte di amministrazioni che oramai non sono più in grado di assumere per il semplicissimo motivo che hanno i conti sempre più in rosso, come ben dimostra lo stato prefallimentare dello Stato della California.

Il piano appena delineato nelle sue grandi linee dal presidente eletto Barack Obama, a sua volta, ricorda troppo da vicino il New Deal di Franklin Delano Roosevelt per non fornire all’immaginario collettivo la percezione tangibile che la sopravvivenza della recessione che ha appena spento la sua prima candelina dovrà essere misurata in anni piuttosto che in mesi, né serve a molto la constatazione che, oltre alla progettata riedificazione delle infrastrutture, molti dei nuovi posti di lavoro promessi dal giovane politico di Chicago verranno da una sorta di rivoluzione verde che, ancora una volta la legge del contrappasso, rischia di prendere le mosse proprio dal paese maggiormente responsabile dello stato davvero pietoso del clima e dell’ambiente del nostro povero pianeta.

D’altra parte, di fronte al vero e proprio meltdown del sistema finanziario e di quello manifatturiero, cosa altro poteva inventarsi chi si candida a restare inquilino della Casa Bianca per almeno otto anni se non rifare buona parte dei ponti, delle strade e delle scuole, non tanto per i continui disastri dovuti ad una situazione strutturale spesso davvero al limite, se non, come ci ricordano le cronache degli ultimi anni, addirittura al collasso, ma per la semplice ragione che la nazione a stelle e strisce non può permettersi l’attuale numero di dieci milioni di disoccupati ufficiali (almeno 15 milioni, secondo le stime degli economisti non del tutto embedded), né tanto meno un numero doppio strettamente legato al micidiale effetto domino cui stiamo assistendo da dodici mesi, anche se alcuni dicono che è in atto da un anno e mezzo.

Anche se i dettagli non saranno disponibili prima di qualche giorno, la stessa soluzione che verrà presumibilmente adottata da un Congresso che non è mai stato così rissoso per rispondere al rischio sempre più concreto di default delle tre Major automobilistiche statunitensi si muove già nel solco dell’approccio obamiano, anche se apparentemente ancora risente delle idiosincrasie dell’attuale inquilino della Casa Bianca, in quanto i 15 miliardi di dollari di prestito ponte verranno sì prelevati da quelli destinati a favorire la produzione di modelli più risparmiasi ed ecologicamente sostenibili, ma si stanno studiando misure fortemente condizionanti atte a garantire che l’obiettivo sia reale e non fittizio, il che potrebbe anche passare attraverso una rimozione forzata degli attuali vertici delle tre case di Detroit, una misura francamente inimmaginabile soltanto un paio di anni orsono!

Negli ambienti che contano al di là dell’Oceano Atlantico, ma anche altrove, si sta aprendo un interessantissimo dibattito sull’opportunità della scelta di Obama a favore del giovane presidente della Federal Reserve di New York, Timothy Geithner, come nuovo ministro del Tesoro in luogo del più anziano ma certamente più competente ed affidabile Paul Volker, cui verrà sì affidata la task force incaricata di gestire l’uscita dall’attuale crisi finanziaria, ma non verrà dotato di quei poteri eccezionali di cui è oggi investito l’ex (?) investment banker Hank Paulson, né la gestione di quello che resta del fondo da 700 miliardi di dollari stanziati dal Congresso e da Bush Junior poche settimane prima dell’Election Day.

Pur temendo di venire arruolato nella folta schiera dei complottasti, mi vedo costretto a ricordare che una simile diatriba ha ben poco senso alla luce della comune appartenza dell’anziano Paul, uno dei fondatori della Commissione Trilaterale poi trasformatasi nel Gruppo Bildberg, e del giovane civil servant Tim, uno che ebbe modo di mostrare la sua grinta senza subirne in alcun modo le conseguenze ai tempi della crisi asiatica, quando, all’età di trentasei anni, si permise di dare sulla voce al ministro del Tesoro e ad al presidente della Fed dell’epoca, riuscendo a far passare la sua idea di un mega fondo di 100 miliardi di dollari che svolse un ruolo molto efficace nel disinnescare quella crisi delle cosiddette tigri dell’Estremo Oriente che rischiava di portare con sé anche gli USA e l’Europa!

Credo anche che al vecchio Paul, la terza delle mie stelle polari contemporanee nella tempesta perfetta, assieme al Leone di Omaha, Warren Buffett, ed allo speculatore filantropo, George Soros, non dispiaccia affatto il ruolo per lui disegnato dal coetaneo di Geithner, Obama, in quanto non credo proprio che abbia voglia di agire in prima persona nelle scazzottate con i banchieri e gli industriali prossime venture, mentre è sicuramente felice di dare la linea ai più giovani Tim e Larry (Summers), che hanno l’energia e la grinta per vedersela con i padroni di Wall Street e con i boss delle tante Big da cui è popolata la nazione a stelle e strisce.

Io che, come la maggior parte di voi, non appartengo a questi circoli esclusivi, mi accontento di prenotarmi un posto in prima fila per vedere come se la caveranno i nuovi Chicago Boys, ben diversi dai seguaci del monetarista che simpatizzava per il dittatore cileno Pinochet, in questa disputa con i poteri forti americani!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.