sabato 13 dicembre 2008

Uno dei più grandi broker di Wall Street arrestato per una truffa da 50 miliardi dollari!


Chi ha pensato che il ‘trader infedele’ di Societè Generale potesse passare alla storia con la sua truffa da 5 miliardi di euro sarà costretto a ricredersi dopo la scoperta del buco da 50 miliardi di dollari realizzato da un broker che, nel corso della sua lunghissima carriera iniziata negli anni Sessanta, è stato anche il presidente del consiglio di amministrazione del Nasdaq.

Bernard L. Madoff, così si chiama il replicante dello schema di Ponzi, è stato arrestato dopo un’indagine molto accurata della Securities and Exchange Commission e prontamente rilasciato dietro il pagamento di una cauzione da 10 milioni di dollari e rischia ora una pena sino a 28 anni di carcere ed un’ammenda da 5 milioni di dollari, mentre, secondo le prime ricostruzioni, i clienti truffati sarebbero poche decine di clienti istituzionali, una trentina dei quali avrebbero affidato a Madoff almeno un miliardo di dollari.

Non mi stancherò mai di ripetere che il problema dei problemi quando si è immersi fino al collo in una tempesta perfetta delle dimensioni e della virulenza dell’attuale è rappresentato dalla pressoché totale perdita di fiducia degli investitori/risparmiatori nei confronti delle entità a vario titolo protagoniste del mercato finanziario globale, ma devo confessare che, di fronte ad episodi quali quello di Kerviel di Socgen o la truffa ideata da uno dei personaggi più noti e rispettati di Wall Street che non ha trovato di meglio che replicare la catena di Sant’Antonio realizzata da un oscuro immigrato italiano all’inizio del secolo scorso, trovo difficile immaginare quale sistema di regole potrebbe essere in grado di prevenire comportamenti così fraudolenti!

L’affondamento al Senato degli Stati Uniti d’America del disegno di legge volto a salvare General Motors e Chyrsler ha determinato, a partire dalle contrattazioni di ieri mattina in Asia, un’ondata ribassista quale non si vedeva da ottobre e che nella fase centrale delle contrattazioni in Europa ha visto banche e compagnie di assicurazione registrare flessioni pari o superiori al 10 per cento, anche se la situazione si è alquanto ridimensionato dopo che la portavoce del presidente uscente ha reso noto che Bush costringerà Hank Paulson a scucire parte del suo malloppo da 700 miliardi di dollari per impedire che le due case automobilistiche statunitensi debbano ricorrere alla protezione della legge fallimentare.

L’aspetto curioso della decisione di Bush sta nel fatto che questa era stata proprio la soluzione inizialmente caldeggiata dagli esponenti democratici e che si era dovuto ripiegare sull’utilizzo dei fondi destinati al Dipartimento per la tutela dell’ambiente proprio per la strenua opposizione di Paulson e la minaccia di veto proveniente dall’inquilino della Casa Bianca, il quale, tuttavia, deve avere cambiato idea di fronte all’atteggiamento francamente demenziale dei senatori del suo partito, un atteggiamento che rischiava di addossare a Bush non solo la responsabilità della guerra infinita in Iraq ed Afghanistan, ma anche di aver determinato la fine ingloriosa dell’intero settore automobilistico a stelle e strisce e la perdita di milioni di posti di lavoro diretti ed indiretti, con la conseguente drammatica escalation dell’effetto domino gia pienamente in atto.

Ma se gli Stati Uniti d’America appaiono, ogni giorno che passa, un paese letteralmente sull’orlo di una crisi di nervi e nel quale i politici sembrano fare a gara nel dare il peggio di sé, la situazione non è certo migliore in Europa, dove, dopo l’ennesima e defaticante maratona negoziale, il Consiglio dei capi di stato e di governo dei ventisette paesi membri ha fatto finta di trovare un’intesa all’unanimità sulla questione ambientale ed energetica, accogliendo la maggior parte delle richieste dei paesi riottosi di fronte ai reali o presunti sacrifici che le imprese nazionali erano chiamate a sostenere per raggiungere gli obiettivi posti al 2020.

Non voglio assolutamente impegnare la pazienza dei miei lettori sui limiti sempre più evidenti nel processo di costruzione di una vera unità politica in ambito europeo, ma è tuttavia evidente che, continuando a procedere in ordine sparso ed enfatizzando ad ogni pié sospinto gli interessi nazionali, sarà davvero molto, ma molto difficile fare fronte alle emergenze poste dalla tempesta perfetta, oramai completamente sondata sui presunti più sicuri lidi dell’economia reale.

Non si capisce, infatti, davvero cosa stiano aspettando i governi dei tre paesi che hanno stanziato un adeguato volume di risorse ad investirle nell’unico modo efficace e, cioè, intervenendo senza troppi riguardi nel capitale delle banche e delle imprese, ponendo al contempo condizioni ferree sull’utilizzo dei fondi e favorendo, ove necessario, radicali cambiamenti nel top management.

Della necessità di passare dalle parole ai fatti se ne sono resi conto anche il germanizzato Trichet ed il manipolo di neotemplari che affollano il board dell’istituto di Francoforte, mentre il presidente della Commissione, Barroso, ed il commissario Almunia sembrano proprio non sapere più a che santo votarsi per indurre i governi a smetterla con le tattiche dilatorie e con le diffidenze reciproche tra Francia e Gran Bretagna da un lato e Germania dall’altro.

Molto più comprensibile, invece, appare l’atteggiamento del per la terza volta ministro dell’economia italiano, Giulio Tremonti, che, per vincere le resistenze di Berlusconi e del suo consigliere Letta di fronte alla radicalità dei suoi progetti, deve solo aspettare che la situazione delle banche e nelle banche giunga al punto giusto di cottura per poi intervenire su richiesta dei diretti interessati!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.