Non stupisce la notizia del brusco defenestramento del Chief Executive Officer della quarta banca statunitense, Wachovia Bank (che non è una banca polacca anche se tale sembrerebbe dal nome), quanto la scelta del presidente, Lanty Smith, di effettuare la fucilazione mediatica di Ken Thompson in diretta all’alba di oggi, via la testata, il Wall Street Journal, che è il vero giornale di bordo del vascello della finanza globale nell’attuale tempesta perfetta.
Non che al povero Smith, ma soprattutto ai disorientati azionisti di Wachovia, mancassero i motivi per essere più che insoddisfatto del suo amministratore delegato e dei pessimi risultati derivanti dalla tardiva ma massiccia finanziarizzazione dell’attività di quella che per lunghissimo tempo è stata una banca commerciale nel senso più stretto del termine, con il dolorosissimo corollario di svalutazioni miliardarie in dollari, ma non si può certo dire che Thompson abbia fatto qualcosa di diverso e di più grave di tanti suoi colleghi, ma certamente un errore lo ha commesso: non cumulare le cariche di Chairman e CEO, scelta che al massimo lo avrebbe portato al suicidio come il famoso epigono il cui tragico gesto diede il via alla tempesta perfetta del 1907.
Doveva essere davvero arrabbiato il nostro Smith se ha deciso di assumere su di sé anche la carica di CEO in attesa di trovarne uno più adatto ai suoi gusti ed a quelli della propria platea di azionisti, e credo proprio che sottoporrà il candidato ad un attento esame che gli servirà per assicurarsi che sia un vero retailer man, una persona che al solo sentire la parola fabbrica prodotto manifesti una sicura reazione allergica e, come giustamente ha preteso il principe saudita Al Whaleed nel caso di Citigroup, che non sia un avvocato e non abbia il cognome seguito da II, III o IV, come accadeva al non compianto Chuck Prince III che non prova ad entrare nella sede di Citi neanche per ritirare la corrispondenza.
Si allunga così la lunga lista di CEO, Chairman, o cumulanti come spessissimo accadeva entrambe le cariche, più o meno brutalmente defenestrati, anche perché la norma è quella di vedersi attribuire un lauto, se non cautissimo come nel caso dell’ex numero uno di Merrill Lynch con i suoi 160 milioni di dollari più uno stratosferico bouquet di fringe benefits, mentre si affollano sempre di più gli esotici resorts nei paradisi tropicali ed a Gstaadt ed a Zermatt non si trova più una stanza neppure a pagarla a peso d’oro, entrambi effetti collaterali dell’attuale guerra in corso ai vertici delle entità di ogni ordine e grado che lottano da dieci mesi per la sopravvivenza nelle acque sempre più agitate dagli alti marosi della tempesta perfetta in corso.
Sono certo che almeno una parte delle donne e degli uomini della finanza arrembante messi d’autorità a riposo scopriranno, come è accaduto al protagonista di un film di grande successo, ma particolarmente apprezzato dagli abitanti delle Investment Banks e delle CIB, “Una buona annata”, un vero e proprio squalo che, anche se non per sua volontà, deve abbandonare l’ipnotico ritmo di vita imperante nel miglio d’oro a Londra e scopre che è proprio meglio vivere nella campagna francese e coltivare, come prima di lui il nonno, del buon vino, mentre sorvolo sull’inevitabile e scontatissimo happy end romantico (non era male neanche Baby Boom con la splendida Diane Keaton).
Una delle ricadute positive della tempesta perfetta, infatti, potrebbe proprio essere rappresentata dal processo di liberazione collettiva delle decine di migliaia di donne e di uomini che per troppo tempo hanno mangiato frettolosamente al desk davanti a screen lampeggianti le news ed i loro effetti, donne ed uomini che spesso hanno dovuto rinunciare ad avere una vita privata e che, anche fuori dei grattacieli nei quali trascorrono dodici ore filate quando va bene, diciotto quando le cose si complicano o si è presi dalla sindrome da casinò, sono sempre a portata di tiro dei loro superiori tramite telefonini aziendali di ultima generazione e che, tramite marchingegni virtuali, possono operare pressoché da ogni luogo del globo esattamente come se fossero presenti nel loro ufficio, per non parlare poi del rito delle teleconferenze.
E’ sempre più evidente il recupero di considerazione che stanno vivendo le attività creditizie, ma anche quelle assicurative, al dettaglio, dopo la vera e propria sbornia legata alla crescita esponenziale delle attività Corporate & Investment Banking con i loro ritorni stellari, le formule sempre più complesse anche per gli addetti ai lavori, come è ben testimoniato dal reclutamento in massa di esperti denominati volgarmente spacchettatori deputati a ricostruire la verà realtà di prodotti dei quali gli apprendisti stregoni di turno avevano perso il foglio delle istruzioni, spacchettatori che, in molti casi, non tronano a casa da mesi e per i quali le famiglie si rivolgono all’equivalente statunitense di “Chi l’ha visto?”.
Non vorrei, preso dalla affascinante saga in corso tra gli uomini del retail banking e quelli del wholsale, perdere di vista la telenovela del momento, quella che vede gli ispettori del CFTC, dell’FBI, della Sec, della Fed, la procura di Brooklin, deputati e senatori, nonché i tre principali candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America, tutti a caccia delle eventuali responsabilità di un altrettanto lungo elenco di soggetti, capitanati dalla sempre fortunata e preveggente Goldman Sachs, in quella vera e propria porcheria che è il mercato dei derivati sul petrolio e le altre materie prime, derrate alimentari incluse, mentre non mi appassiona affatto lo scontro titanico tra i due più famigerati raiders, entrambi scesi in campo per cacciare i fondatori di Yahoo rei di avere resistito alla proposta indecente di quei monopolisti di Bill Gates e Steve Balmer di Microsoft, che, dopo aver fatto carne di porco nel lucrosissimo settore del software, vogliono ora diventare gli unici detentori dell’unico motore di ricerca esistente al mondo, ovviamente il loro.
Mentre il mercato aspetta le due notizie del giorno (spesa per le costruzioni negli USA e l’indice ISM), il petrolio continua a marciare al passo del gambero e viene quotato in preapertura al NYMEX a 126 dollari secchi al barile, un livello che ancora consente sostegni ed interventi, ma al di sotto del quale si aprirebbe la corsa al si salvi chi può, in particolare per gli operatori che sono giunti nell’arena con grande ritardo ed a prezzi molto più elevati rispetto a quanti hanno iniziato ad operare qualche mese prima della fine di quel brutto 2007 che è stato immancabilmente seguito da questo orribile 2008 che, come tutti sanno, si è visto meritatamente appiccicare l’etichetta di anno bisesto anno funesto.
Provo ad immaginare i sentimenti dei membri della Fondazione Monte dei Paschi di Siena quando, il 30 maggio della anno di grazia 2008, sono stati consegnati a Don Botin del Santander i 9 miliardi di euro previsti dal deal relativo all’acquisto di Antonveneta, sentimenti ben espressi nel comunicato nel quale il presidente Lionello Mancini ripete quattro volte che loro sono contenti e condividono le scelte di Mussari, ma certamente il presidente della Fondazione è altrettanto consapevole che ormai poco meno del 90 per cento del patrimonio (88,88 per cento) è investito nella banca senese e che, sempre nel testo, è auspicabile un partneriato con Axa e con lo stesso Santander.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/
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