giovedì 19 giugno 2008

Profumo benedice il futuro di Matteo Arpe!


Pur avendo conseguito quasi 1,43 miliardi di dollari relativi a due operazioni straordinarie, Morgan Stanley ha registrato una flessione del 56 per cento circa degli utili nel secondo trimestre del 2008 rispetto al risultato netto conseguito nello stesso periodo dell’anno precedente, segnalando una performance non solo nettamente peggiore di quella che ha caratterizzato la potente e molto preveggente Goldman Sachs (utili in calo di appena l’11 per cento), ma addirittura meno brillante di quel vero e proprio disastro che è stato il bilancio trimestrale di Lehman Brothers, tenendo dovutamente conto della mega svendita di titoli della finanza più o meno creativa effettuato da Lehman.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, pur in un generale declino dei ricavi che ha caratterizzato tutti i comparti di attività della Investment Bank newyorkese, colpisce il calo dell’85 per cento dei proventi netti relativi al trading nel Fixed Income, ove vengano confrontati con quelli conseguiti nel secondo trimestre del 2007, mentre non desta certo entusiasmi il dimezzamento dei ricavi relativo alle commissioni connesse all’attività di investment banking, anche se va ricordato che flessioni più contenute (-11 per cento) vengono registrate nel comparto azionario.

Vere e proprie perdite prima delle tasse per 277 milioni di dollari, anche se va detto, unica nota positiva in un panorama molto grigio, che la banca di investimenti ha accresciuto il volume delle operazioni prossime al perfezionamento, un dato che dovrebbe stare ad indicare maggiori prospettive di redditività per il terzo trimestre dell’anno in corso.

Il miserrimo livello dell’utile al netto delle operazioni straordinarie ed il vero e proprio meltdown in corso in comparti fondamentali per l’attività di una banca di investimento, non mancheranno di avere un effetto sulla stabilità della posizione del Chief Excecutive Officer di Morgan Stanley, John Mack, in carica da circa tre anni, un top manager già oggetto di pesanti critiche da parte dei molto preoccupati azionisti della banca.

Mentre cresce l’attesa per il rilascio, previsto per la fine del mese, del bilancio relativo al secondo trimestre di Merrill Lynch, una Investment Bank che ha già rinnovato radicalmente il proprio vertice e che ha già bussato abbondantemente a quattrini nei confronti di vecchi e nuovi stakeholders, con il poco piacevole corollario che difficilmente potrebbe sopportare un risultato negativo, soprattutto se legato ad una nuova pioggia di svalutazione dei titoli della finanza strutturata che non fosse accompagnato da un chiaro segnale indicante che le brutte sorprese sarebbero, a quel punto, finite.

Non ho dato conto, nella puntata di ieri, della finalizzazione di un’importante operazione di ristrutturazione di uno Structured Investment Vehicle realizzata, per conto di terzi, da Goldman Sachs, una notizia che è stata salutata con evidente sollievo da parte di numerosi esperti ed analisti, in quanto starebbe ad indicare che l’operazione di smaltimento delle gigantesche posizioni in titoli della finanza più o meno strutturata avviata da Goldman nel lontano autunno del 2006 è giunta talmente a buon punto da consentire alla maggiore delle Investment Banks statunitensi di occuparsi, in modo certamente efficace ed efficiente, dei problemi che affliggono le altre entità operanti nel mercato finanziario globale.

Non minore è l’attesa per i risultati delle maggiori banche commerciali statunitensi, con particolare riferimento a colossi quali Citigroup, J.P. Morgan-Chase e Bank of America, la prima ancora alle prese con problemi di enorme dimensione, mentre le altre due hanno, più o meno spontaneamente, deciso di caricarsi sulle spalle i guai dell’orso di Stearns e di quella Countrywide portata sull’orlo del baratro dal suo fondatore e numero uno Angelo P. Mozilo, con l’aggravante che al quasi dissesto economico si aggiungono, nel caso di Countrywide, un mare di pendenze legali dal potenziale e forte impatto economico e reputazionale.

Mentre si avvertono sempre più sinistri scricchiolii provenienti dal settore delle materie prime energetiche, petrolio in testa (con il rischio molto concreto che un eventuale giro di vite in termini di aumento dei margini e/o di altre misure di stampo restrittivo possa intervenire a bolla speculativa ampiamente già scoppiata), il forte attivismo delle banche centrali a sostegno del dollaro sembra destinato inesorabilmente ad infrangersi contro l’ondata derivante dalla più che certa decisione di rialzare, per la prima volta peraltro da oltre due anni, del tasso di riferimento sull’euro, mentre è quasi altrettanto certo il nulla di fatto da parte del Federal Open Market Committe, una non decisione che rappresenterebbe l’ennesimo errore da parte di Bernspan e dei suoi complici aventi diritto di voto.

Pur considerando che il margine di sicurezza derivante dalla decisione dei neotemplari della Banca Centrale Europea, almeno nel caso che il rialzo dovesse essere limitato ai 25 punti base e, soprattutto, non avesse seguito nel futuro prevedibile, sarebbe tutt’altro che consistente rispetto all’inflazione attuale ed a quella attesa nei prossimi mesi, si confermerebbe, tuttavia, un livello dei tassi reali positivo, mentre quelli vigenti negli Stati Uniti d’America continuano a coprire a malapena la metà del tasso di inflazione effettivo (ooviamente, non di quella vera e propria favola per bambini rappresentata dal cosiddetto ex food end ex energy, un tasso riferibile, al massimo, agli organismi monocellulari) che caratterizza, almeno al momento, gli USA.

Lasciando i banchieri centrali, quelli di investimento e quelli posto a capo delle banche più o meno globali alle loro ambasce, vorrei spendere qualche parola sull’onore delle armi che Alessandro Profumo, per l’interposta persona di un bravo giornalista economico del quotidiano la Repubblica autore di un articolo che chiaramente raccoglie la voce di dentro del top manager del gruppo creditizio con sede in Piazza Cordusio, ha voluto rendere a Matteo Arpe, l’ex amministratore delegato di Capitalia e vera vittima della fulminea acquisizione patrocinata dall’anziano banchiere di marino, Cesare Geronzi, al momento in esilio dorato proprio in quella Mediobanca nella quale un Arpe quasi in fasce mosse i suoi primi passi sotto la accorta tutela di Enrico Cuccia.

Nel lungo articolo, viene infatti ricordato che, il giovane banchiere non è solo riuscito a correggere la maggior parte delle pesanti eredità negative provenienti dall’era Geronzi-Brambilla, ma che è anche riuscito nella quasi incredibile impresa di resistere del tutto alle affascinanti sirene delle Investment Banks e delle CIB delle banche più o meno globali, al punto da non lasciare all’acquirente Unicredit neanche un CDO, un LBO, un titolo salsiccia o qualsiasi altra diavoleria più o meno sofisticata partorita dalle fervide ed un po’ perverse menti degli apprenditi stregoni delle fabbriche prodotto facenti capo, appunto, alle Investment Banks o alle divisioni di Corporate & Investment Banking delle sopra menzionate banche più o meno globali.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/