Le due sedute successive al quasi outing rappresentato dalla lunghissima conference call della Chief Financial Officer di Lehman Brothers, Erin Callan, dimostrano con chiarezza che tutti i nodi per la storica Investment Bank newyorkese restano desolatamente al pettine, soa, peraltro, evidente dalle spesso incerte risposte fornite dalla molto competente manager ai suoi agguerritissimi ed altrettanto informati interlocutori, a libro paga di entità quali Goldman Sachs, UBS, Merrill Lynch, Citigroup, Deutsche Bank e chi più ne ha ne metta.
Nelle sole due sedute citate, l’azione di Lehman ha perso poco meno di un quarto del non eccelso valore segnalato in precedenza, con volumi di scambio assolutamente anomali rispetto alle medie di riferimento, ma basta uno sguardo agli andamenti delle quotazioni della altre tre appartenenti al gruppo delle Big Four (tali dopo che l’orso di Stearns ha definitivamente tirato le cuoia, assorbito per meno di un piatto di lenticchie da quei volponi che abitano ai piani alti di J.P. Morgan-Chasa), per non parlare dello squagliamento in corso delle azioni delle due maggiori monoliner o i prezzi da vero saldo del colosso del credito extracomunitario denominato UBS, cosi come le vere sofferenze dei pochi giganti europei del credito basati in Gran Bretagna, in Francia, in Germania ed in Italia, con la lodevole e solo apparentemente inspiegabile eccezione rappresentata dalle due maggiori banche spagnole che si ostinano a presentare conti in buona salute e si apprestano ad interessantissimi shopping transfrontalieri.
Non so se David Einhorn e la sua cordata di miliardari ribassisti per definizione su un discreto numero di entità operanti nel mercato finanziario globale si sono dati la pena di ascoltare in diretta la conference call di Erin e quanto emergeva nei duetti con gli esponenti delle altrettanto inguaiate entità che si esibivano nel giochetto di fare le pulci a Lehman, apparentemente ignorando i guai di casa propria, ma credo proprio che, dagli alquanto misteriosi ma certamente esclusivi loro resort più o meno esotici, siano partiti messaggi in chiaro o in codice ai loro bracci operativi per incrementare il già elevatissimo volume di fuoco, dopo aver stappato costosissime bottiglie di Champagne, ca va san dire.
Così come non credo di essere troppo lontano dal vero nell’immaginare che il leone di Omaha ed un altrettanto nutrita pattuglia di soggetti od entità finanziarie siano giunti alla conclusione che, dopo il downgrade di Standard & Poor’s ai danni delle malconcie MBIA ed Ambac, sia ormai soltanto questione di tempo, poco, per raccogliere finalmente i resti di quella che rimane una lucrosa attività: fornire granzie ai bonds degli enti locali statunitensi, mediante newco non gravate dai fardelli delle garanzie ai prodotti più o meno sofisticati della finanza strutturata che gravano sulle attuali monoliners.
D’altro canto, ha destato in me profondo stupore quanto emergeva pochi giorni orsono dalla lettura di uno dei due articoli che componevano la rubrica Global Market del quotidiano la Repubblica del 9 giugno dell’anno di poca grazia 2008, a firma di Maurizio Ricci, e dal titolo “Le furbizie delle banche USA”, in quanto nel testo, citando le stime dell’Institute of International Finance, si sostiene che “su 387 miliardi di dollari di perdite finora riportate dalle banche internazionali, 200 sono di banche europee e solo 166 di banche americane”.
L’ottimo giornalista economico del giornale di Carlo De Benedetti sta ovviamente parlando di svalutazioni piuttosto che di vere e proprie perdite di bilancio, ma, chiarito questo punto non del tutto secondario, è molto interessante l’analisi che, sempre citando l’IIF, fa delle cause di questa almeno apparente stranezza e fornisce la seguente spiegazione:”Perché i banchieri americani sono stati molto bravi a rivendere ai loro colleghi europei una bella porzione di subprime impacchettati nei vari titoli salsiccia”; e, prevenendo lo stupore mio e di tanti altri osservatori della tempesta perfetta in corso, aggiunge che “è anche possibile che le perdite delle banche USA non siano ancora interamente emerse, mentre il processo di pulizia è stato più rapido in Europa. Preoccupa, però, che le banche USA abbiano posto mano alle pompe con più decisione degli europei: gli istituti americani si sono già ricapitalizzati per 141 miliardi di dollari, mentre quelli europei, a fronte di 200 miliardi di perdite, solo per 125,5”.
Sarò stato distratto, ma confesso di non essermi accorto di questo poco felice sorpasso da parte delle banche europee nei confronti delle maestre statunitensi, soprattutto se parliamo di quanto già emerso e non di quanto sta venendo fuori in questi ultimi giorni e nelle poche settimane che ancora ci separano dal più volte citato ultimatum rivolto da Mario Draghi ed Henry Paulson al gotha della finanza globale nella ormai famosa cena delle beffe svoltasi in terra americana alla vigilia dei lavori del G7 finanziario e delle assemblee delle due colonne del sistema scaturito dagli accordi di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, due organismi sopranazionali da lunga pezza sul banco degli imputati per come stanno andando le cose nel mondo, e non solo in quello un tempo magico della finanza globale.
Guardando i listini macchiati di un rosso intenso su tutti i fusi orari, non ho potuto fare a meno di ripensare a quanto soleva ripetermi il mio primo capo dell’entità che si occupava dei mercati finanziari, quando mi diceva, con riferimento all’attività forex, che, anche in presenza di un grande scossone sui mercati, ad esempio il balzo verso l’alto o verso l’alto di una big figure in un cross importante, dopo un breve attimo di esitazione, gli operatori avrebbero continuato ad operare, dimenticando in un istante la situazione precedente, un’osservazione che allora mi colpì molto, ma che solo ora, nel pieno della tempesta perfetta, sono in grado di apprezzare in tutte le sue non banali implicazioni.
Rivolgo un nuovo avviso ai naviganti, soprattutto a quelli imbarcati su vascelli di piccole se non infime dimensioni: sono previste, sul mare procelloso dei derivati del petrolio e delle altre materie prime, onde di eccezionale altezza, direttamente derivanti dalle esternazioni al limite della follia provenienti da grandi banche di investimento, dal solitamente cauto Dominique Strauss Kahn del FMI e dal molto interessato capo massimo della russa Gazprom, Miller, per cui vi consiglio vivamente di gettare la zavorra e tornare al più vicino porto sicuro nel più breve tempo possibile, pena sicuro affondamento.
Non dite poi che non eravate stati avvisati, anche perché colgo l’occasione per confermare che la mia previsione per il prezzo del petrolio nel 2008, formulata alla fine del 2007, resta quella di 75 dollari al barile, mentre per l’euro/dollaro rimane di 1,70 dollari e per il dollaro/yen quella forchetta compresa tra i 90 ed i 95 yen per dollaro.
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Ricordo che il diario della crisi è presente anche sul mio blog http://www.diariodellacrisi.blogspot.com/ e che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/
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