Quella di ieri potrebbe essere a pieno titolo ricordata come una giornata di svolta nella storia della tempesta perfetta, almeno quando sarà possibile passare dalla cronaca alla storia di una crisi finanziaria senza precedenti e che non sembra affatto avere esaurito la sua distruttiva.
Venendo meno all’indicazione più volte rivolta ai miei lettori di disinteressarsi dell’andamento degli indici azionari all over the world, mi vedo costretto, stavolta, a partire proprio dalla vera e propria debacle che ha contraddistinto, in chiusura di ottava, tutti e tre i principali indici della borsa di new York, un tonfo intorno al 3 per cento che ha visto i titoli del comparto finanziario in caduta libera, con flessioni individuali che normalmente si registrano soltanto per le disastrate e tecnicamente fallite compagnie di assicurazione monoline.
Risparmio i dettagli, anche per non aggiungere dolore a dolore di quanti non hanno ascoltato per tempo il suggerimento di viaggiare leggeri in una fase così difficile e si trovano ancora lunghi di azioni relative a qualcuno dei protagonisti del mercato finanziario globale, ma credo proprio che stiamo assistendo ad una nuova accelerazione che, non del tutto a caso, fa seguito alla vera e propria pioggia di rassicurazioni provenienti da quanti siedono ancora al vertice delle principali banche di investimento e/o commerciali, nonché dai loro manutengoli, spesso provenienti da queste entità, ma che da qualche mese o da qualche anno sono assisi sulle poltrone di ministri economici o presiedono qualcuna delle principali banche centrali del mondo.
Le notizie di ieri sono state sostanzialmente due: il balzo in avanti del tasso di disoccupazione statunitense, passato dal 5 al 5,5 per cento, sulla base anche della revisione trimestrale che ha evidenziato un aumento dei disoccupati made in USA che si pone di poco al di sotto del milione di nuovi senza lavoro, e la nuova profezia auto realizzatesi, proveniente questa volta da un’analista di Morgan Stanley, che non si è limitato a prevedere un balzo del prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, ma ha anche indicato il giorno ed il mese in cui questo prezzo sarà raggiunto, il 4 luglio prossimo, che, lo ricordo, è anche il giorno nel quale gli Stati Uniti d’America festeggiano la loro indipendenza dall’amata-odiata Gran Bretagna.
Il combinato disposto delle due alquanto ferali news, o che almeno sono tali per lo stuolo di politici, banchieri centrali, opinionisti e giornalisti embedded alle logiche del capitale finanziario, ha gettato gli operatori nella disperazione e a nulla sono valsi i tentativi di acquisto massiccio di azioni proprie da parte di tutti quanti, non molti per la verità, avevano ancora il relativo fieno in cascina, dopo mesi e mesi di buy back aggressivi che, anche per la scarsa trasparenza che normalmente accompagna questi acquisti dal di dentro, si pongono veramente sull’esile crinale del reato di aggiotaggio.
Ovviamente, il raddoppio della self-fulfilling prophecy autorevolmente emesse in prima battuta dalla fortunata e sempre molto informata Goldman Sachs ed ora millimetrata nella scadenza dall’analista di Morgan Stanley (Effe O Ixs, se ci sei batti un colpo prima che sia troppo tardi) ha sortito il prevedibile effetto di fare entrare in massa in questo gioco pericoloso gli operatori più piccoli che, con ogni probabilità, saranno stati prontamente “serviti” dalle stesse Investment Banks che tengono a libro paga gli autori delle menzionate profezie, anche se non mi sento di compatire chi mostra di possedere un così elevato grado di stupidità da non rendersi conto che il lieve vantaggio della domanda sull’offerta di petrolio, se pure è mai esistito, è stato ormai completamente eroso dagli alti marosi della tempesta perfetta in atto, così come mi sento facile profeta prevedendo che molto difficilmente rivedranno i soldi della loro molto azzardata scommessa.
Con le pistole ormai completamente scariche e mentre i suoi ex allievi sono pronti a consegnarli il risultato del tema loro assegnato dall’ex professore di Princeton e, purtroppo per tutti noi da qualche tempo asceso alla massima carica della Federal Reserve, il nostro Bernspan ha avuto modo di misurare lo scarsissimo livello della reputazione e credibilità di cui gode, assieme al più che screditato Henry Paulson, in quanto, dopo aver cercato di intimorire i miliardari che da quasi un anno giocano al ribasso sul dollaro, è stato costretto a constatare che il più che prevedibile rimbalzo del biglietto verde non è durato che lo spazio di un mattino, anche perché, come mi ostino a ricordare ai decision makers della politica monetaria anglosassone, è veramente pericoloso ostinarsi ad andare contro il mercato, soprattutto se i più avveduti tra gli operatori hanno il vento dei fondamentali dalla loro parte.
D’altra parte, di questo elementare principio devono essere ben consapevoli quanti stanno scommettendo sull’inevitabile esito dell’eroica battaglia per la sopravvivenza ingaggiata dai vertici delle compagnie monoliner, sul capo dei quali non è più soltanto il leone di Omaha a volteggiare in giri sempre più stretti, così come sembrano avere pienamente appresso le lezioni del passato quanti stanno giocando massicciamente e da lungo tempo al ribasso su Lehman Brothers, ma non solo, così come non del tutto digiuni di teoria e prassi delle crisi finanziarie appaiono quelli che si tanno dilettando nello shortare pressoché tutto lo shortabile.
Comodamente assisi all’ombra rassicurante dell’euro superstar, i tedeschi possono ben dire di avere vinto una battaglia epica che si è svolta per oltre un decennio tra gli atlantici e chi, come loro, ha creduto fino in fondo al sogno della costruzione degli Stati Uniti d’Europa, un progetto del quale beneficieranno anche gli altri paesi che hanno adottato la moneta unica dall’inizio o in seconda battuta, così come si allunga la lista dei paesi candidati e molti pensano, io compreso, che anche la Gran Bretagna sarà presto costretta a venire a Canossa, peraltro approfittando di questo periodo di grazia che separa le difficoltà del sicuro sconfitto Gordon Brown dalla certa vittoria del giovane e preparato leader dei Tories, David Cameron.
E’ solo alla luce di questo scontro epico che è possibile comprendere appieno la granitica autonomia dai desiderata dei leaders politici europei mostrata nei fatti dal germanizzato Jean Claude Trichet e dai suoi altrettanto neo templari membri del Board della Banca Centrale Europea, un nucleo compatto di donne ed uomini che, dopo aver vissuto per un lungo periodo asserragliati nel loro fortino di Franfurt um Mein, sottoposti ad un feroce assedio da parte di falangi di euroscettici, di atlantici e bersagliati un giorno sì e l’altro pure dalle colonne di un Financial Times che ha più volte ambito ad essere la testa d’ariete atta a sfondare le porte della sala del consiglio, possono ora godersi il meritato successo e permettersi per qualche tempo di vivere sugli allori di una conquistata e molto meritata credibilità.
Non sono in grado di dire cosa ne penserebbe, se fosse in vita, quel John Maynard Keynes che è per me l’indiscussa stella polare teorica nell’interpretazione della tempesta perfetta, ma sono certo che ne sarebbe soddisfatto, non fosse altro che per le amarezze subite in vita ad opera degli atlantici.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/
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