Stupirsi, almeno nel corso della tempesta perfetta, non sarebbe consentito, anche alla luce di quel profondo rovesciamento di valori e di posizioni cui stiamo assistendo ormai da molti mesi, con i neoliberisti divenuti in un lampo ferventi fautori dell’intervento statale, della pubblicizzazione delle perdite, del salvataggio non solo delle banche commerciali, ma anche delle Investment Banks; nonostante tutto questo, le dichiarazioni rilasciate ieri da Jean Claude Trichet al termine del consiglio della Banca Centrale Europea sono di quelle che lasceranno certamente un segno nei mesi e negli anni a venire.
Il germanizzato e molto rispettato presidente della BCE ha, infatti, creato ieri un inquietante precedente, in quanto, invece di alzare, come era facoltà sua e di quei neotemplari dei suoi colleghi i tassi di riferimento, ha informato l’universo mondo che è finito quel clima di festante unanimità che si respirava nella sala della sede di Frankfurt am Mein che ospita i lavori di quel trust di cervelli che ha la mission di garantire la stabilità dei prezzi e governare la crescita monetaria nell’area dell’euro e che, anche alla luce del brusco innalzamento delle stime per la crescita dei prezzi al consumo per il 2008 (dal 2,9 al 3,4 per cento), già dalla prossima riunione del Board potrà venire l’annuncio del primo rialzo dei tassi dopo due anni di stabilità.
Non mi permetto di ricordare a Trichet ed ai suoi colleghi che normalmente, come la magistratura, una banca centrale parla per atti e che, considerando il clima tutt’altro che disteso del mercato interbancario globale in generale ma di quello relativo all’euro in particolare, l’annuncio di ieri è di fatto un aumento dei tassi di interesse, un aumento che era peraltro perfettamente visibile da qualche giorno sull’euribor nelle scadenze che vanno dai 9 ai 12 mesi, per i quali la soglia psicologica del 5 per cento è stato superato di un balzo, cosa che sinora ha caratterizzato le scadenze più brevi, ma per ragioni molto più legate alla sfiducia reciproca imperante da poco meno di un anno tra le maggiori banche dell’area che dalle attese sulle mosse di una BCE eroicamente impegnata a mantenere, ad ogni costo, stabile il tasso di riferimento a quel 4 per cento divenuto in breve tempo pressoché doppio rispetto a quello sui Fed Funds che, solo nell’agosto del 2007, si collocava più in alto, prima che Bernspan e complici fossero presi da una vera e propria sindrome da panic cutting.
D’altra parte, in una puntata recente avevo avvertito che difficilmente coloro che si sono conquistati sul campo il titolo di eredi legittimi della mitica e tetragona Bundesbank avrebbero potuto accettare di avere un margine di soli 40 basis points tra il tasso di riferimento ed un tasso di inflazione che, dal primo mese di questo anno bisesto anno funesto, sta compiendo dei balzi realmente preoccupanti e potrebbe, per la sola forza di inerzia della sua vigorosa spinta, infrangere a brevissimo la soglia psicologica del 4 per cento, determinando per la prima volta da decenni un tasso reale negativo, una situazione che i tedeschi, agli olandesi e ad altri popoli europei riaccenderebbe timori in parte infondati ma estremamente pericolosi per l’impatto che potrebbero avere sulle aspettative, razionali o meno.
Più di un amico ha mostrato di comprendere i motivi dell’esitazione e del breve ritardo con il quale ho comunicato la stima che vede in 5 mila miliardi di dollari la consistenza, almeno quella facciale, delle disponibilità dei SIV e dei Conduit allestiti nel tempo dai principali attori del mercato finanziario globale, esitazione basata sui timori legati alle alquanto ovvie conseguenze di uno stock di queste dimensioni e che, ovviamente, va ad aggiungersi a quanto già risulta nei bilanci delle Investment Banks, delle banche più o meno globali, delle compagnie di assicurazione, degli hedge funds e chi più ne ha ne metta.
Il problema dei problemi è dato dal fatto incontrovertibile che, anche dando per attendibile questa stima, la somma delle disponibilità dei veicoli costituiti ad hoc, di quelli già in carico ai vari soggetti del magico mondo della finanza, di quelli messi a perdita o temporaneamente parcheggiati nelle capaci discariche allestite dalle molto compiacenti banche centrali, ebbene, tutto questo continua ad essere la punta dell’immenso iceberg costituito dai titoli della finanza strutturale e dal mare magnum dei derivati, Credit Defaul Swaps, ovviamente, in testa.
E’ così più facile comprendere la fine prematura dell’orso di Stearns (di cui si è saputo solo ieri che ha slittato un private equity che valeva da solo cinque volte il miserrimo prezzo pagato dai nipotino del terribile John Pierpoint Morgan e di quelli di Rockerduck-Rockfeller), così come la disaffezione crescenti di controparti finanziarie e della stessa clientela nei confronti della alquanto disperata Lehman Brothers, una situazione che è divenuta talmente macroscopica da meritare numerosi ed informatissimi lanci di agenzie quali la Reuters e l’Associeted Press, di norma molto attente ai rischi legati ad informazioni frettolose o non sufficientemente riscontrate, con un plus negli USA che prevede che deve essere interpellata la parte chiamata in causa, in questo caso la giovane, brava e preoccupata Chief Financial Officer di Lehman.
Con quasi sei mesi di ritardo, l’agenzia di rating Standard & Poor’s si è accodata alla coraggiosa Fitch, l’agenzia che aveva già degradato Ambac di una posizione ed il suo braccio armato Ambac Financial di due sin dal 18 gennaio scorso, ed ha tolto una A a MBIA, Ambac ed Ambac Financial, decretando, di fatto, la morte prossima ventura di queste entità leader nel comparto delle momoliner, mentre anche l’australiana Macquarie, dopo il Leone di Omaha ed altri miliardari che hanno sentito da tempo l’odore del sangue e, di conseguenza, quello dei soldi, ha deciso di costituite un’entità specializzate nel garantire emissioni obbligazionarie.
Il tardivo downgrade di S&P’s è realmente vergognoso nella ben misera entità del taglio, anche perché, rispetto alla situazione di gennaio, siamo realmente giunti ad uno stato di coma profondo per due compagnie che assieme hanno garantito emissioni di titoli prodotti dagli apprendisti stregoni delle Investment Banks e delle fabbriche prodotto delle divisioni Corporate & Investment Banking delle banche più o meno globali, nonché di quelle elaborate dagli esperti al soldo delle altre entità operanti nel mercato finanziario globale.
Sarei veramente curioso di conoscere la stima attuale di Goldman Sachs sul credit crunch risultante da questi problemi di ben difficile soluzione, ma credo francamente che le cifre mostruose ricavabili dalla formula di Hatzius, capo economista di Goldman per gli Stati Uniti, sono già tali da avere un impatto sull’economia reale che non verrà smaltito nemmeno in un congruo numero di anni e che porta l’orizzonte della crisi di almeno due anni al di là di quel 2009 nel quale tutto, secondo i pessimisti, sarebbe comunque stato risolto; purtroppo, non è possibile chiedere i danni agli economisti, anche ai più embedded tra di loro!
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/
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