Come era largamente prevedibile, la nervosa e e molto reticente performance del Chairman e Chief Financial Officer di Lehman Brothers, Richard Fuld, non è assolutamente servita a dissipare i dubbi degli analisti delle maggiori Investment Banks statunitensi e quelli delle banche più o meno globali che ormai iniziano a fiutare il sangue e la concreta possibilità che anche Lehman Bros sia costretta a seguire le orme di Bear Stearns, finita pochi mesi orsono letteralmente a secco di liquidità e salvata in extremis dalla Federal Reserve che l’ha letteralmente regalata ai nipotini di Morgan e di Rockfeller.
La fiducia del mercato, o un accorto utilizzo della leva rappresentata dai programmi di buy back, non sono bastati infatti a ripetere il miracolo di ieri, quando l’azione è riuscita a recuperare un 5 per cento sui disastrosi dati del secondo trimestre di questo orribile 2008, il primo in rosso (per 2,8 miliardi di dollari) dal 1994, anno della quotazione dell’azione della storica Investment Bank a Wall Street.
Oggi è stato il giorno di David Einhorn e dei suoi compagni di avventura che hanno fatto piovere una grandinata di vendite sul titolo, spingendo la quotazione verso un sonoro -9 per cento, un movimento al ribasso a cui non devono essere state estranee le altre banche globali dopo i negativi report dei loro analisti che hanno atteso invano le delucidazioni promesse la settimana scorsa dalla defenestrata Erin Callan, la donna che ha ballato per soli sei mesi sulla tolda di comando di quella che era una solida nave e che ora appare sempre di più come un fragile vascello esposto alle alte ondate della tempesta in corso.
Oggi era anche il giorno dei risultati del secondo trimestre per la potente e preveggente Goldman Sachs, la banca di investimenti che ha anticipato la crisi finanziaria sin dal lontano settembre del 2006, ma che è rimasta comunque incastrata dal volume considerevole di titoli della finanza strutturata che non è riuscita a vendere nonostante il largo margine di vantaggio in termini temporali di cui ha goduto rispetto alle più dirette avversarie.
Va detto, tuttavia, che registrare una flessione di appena il 10 per cento dell’utile rispetto all’irripetibile stesso periodo del 2007 ha quasi del miracoloso di questi tempi, ma rappresenta allo stesso tempo il chiaro segnale che, come ha scritto oggi un analista della stessa Goldman, la tempesta perfetta non si concluderà prima dell’anno prossimo, notizia vissuta con sconforto dagli operatori ma che, a mio avviso, pecca ancora di un ottimismo eccessivo e legato più al dovere di ufficio che ad una valutazione fatta in scienza e coscienza.
D’altra parte, le notizie diffuse ieri dai vari organismi federali sono stati tutt’altro che confortanti per gli alquanto disperati analisti e giornalisti embedded al malmesso esercito del capitale finanziario statunitense e globale, in quanto dall’ennesima flessione della costruzione di nuove case e delle nuove licenze di costruzione al vero e proprio balzo in avanti dell’indice dei prezzi all’ingrosso (+1,4 per cento su base mensile, mentre si è perso il conto della variazione anno su anno), così come il vero e proprio crollo registrato ieri dall’indice industriale relativo all’area di New York, sono tutti dati che inducono a ritenere lo scenario della stagflazione, quello forse più temibile tra quelli possibili, come già attuale.
Non mi soffermo sulle sempre più evidenti imprecisioni delle statistiche statunitensi, che stride nettamente con l’abituale precisione che da sempre le caratterizza, se non per citare la clamorosa revisione del dato di aprile sulle nuove costruzioni che da un incredibile +8,2 per cento è stato portato ad un molto più ragionevole incremento del 2 per cento, mentre ritengo più utile segnalare che nella parte meridionale della California, forse uno degli Stati maggiormente colpito dalla crisi immobiliare, la flessione dei prezzi è giunta a sfiorare il 30 per cento e che si va verso una prevalenza della vendita di case derivanti da espropri bancari sul totale delle vendite effettuate nel periodo.
Mentre le flessione delle quotazioni delle azioni delle Investment Banks e delle banche più o meno globali sta portando le stesse su valori che sono spesso inferiori alla metà del massimo toccato nelle ultime 52 settimane, quello che sta avvenendo nel settore delle compagnie di assicurazione monoline evidenzia un quadro di assoluta desolazione e che vede le quotazioni delle due principali compagnie, MBIA ed Ambac, a livelli che vanno dal 2 per cento del massimo registrato nelle ultime due settimane nel caso di Ambac all’8 per cento per MBIA.
Non ho comunicato ai lettori l’avvenuto defenestramento del Chief Executive Officer, tale Sullivan, del colosso assicurativo statunitense AIG, reduce da un bilancio trimestrale disperante per gli infuriati azionisti, un brusco allontanamento che rende sempre più lunga la lista dei Chairman e dei CEO, spesso ricoprenti felicemente entrambe le cariche, licenziati negli ultimi mesi dalle varie entità operanti nel mercato finanziario globale.
Così come non ho segnalato l’entrata in latitanza del CEO di un hedge fund ritenuto responsabile di un buco di 500 milioni di dollari e che sta tentando di evitare di scontare una condanna a 20 anni di carcere, mentre sono stati incriminati i responsabile dei due hedge fund facenti capo alla defunta Bear Stearns il cui default diede il via, nel giugno del 2007, al disastro nel quale siamo attualmente tutti coinvolti.
Mentre sono attesi entro la fine del mese i dati trimestrali delle altre due Investment Banks statunitensi che ancora mancano all’appello, Morgan Stanley e Merrill Lynch, vi è molta attesa per quelli relativi alle maggiori banche europee relativi all’intero primo semestre dell’anno in corso, anche se, come è noto, le banche del vecchio continente sono abituate a tempi molto più comodi di rilascio delle informazioni, un ritardo che verrà vissuto con ansia in un buon numero di grandi paesi europei, fatta eccezione per la Spagna, paese che annovera due grandi gruppi creditizi che sembrano essersi addirittura avvantaggiati dal vero e proprio disastro che si sta verificando nel resto del mercato finanziario globale.
Anche i due maggiori gruppi creditizi italiani, Unicredit Group ed Intesa-San Paolo, così come i due gruppi che li seguono per dimensione, stanno vivendo una fase difficilissima, come ben testimoniato dal fatto che le relative quotazioni azionarie registrano livelli di perdita sempre più comparabili a quelli statunitensi e del resto del mondo, fatta anche in questo caso la dovuta eccezione per le banche spagnole.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/