giovedì 5 giugno 2008

Una second life per Matteo Arpe?


Operatori ed analisti dislocati al di qua ed al di là del sempre più stretto Oceano Atlantico attendono con una certa impazienza maggiori dettagli sulle due nuove crisi aziendali in corso, quelle che riguardano l’entità britannica specializzata nel mortgage, la Branford & Bingley, con i suoi 8 miliardi previsti di perdite più contratti alquanto onerosi da onorare per altri miliardi e la saga infinita di Lehman Brothers, Investment Bank da tempo nel mirino dei ribassisti più accaniti e che avrebbe liquidato assetts rischiosi e partecipazioni non strategiche per la bella cifra di 100 miliardi di dollari, ma che rappresenterebbe tra il 20 e il 25 per cento del problema complessivo della storica banca di investimento, afflitta, come le altre, da livelli di leverage francamente mostruosi e che sarà difficile riportare, senza lacrime e sangue, a livelli più normali.

Ho omesso ieri di riportare una stima molto preoccupante sull’outstanding residuo dei famigerati Conduit e Structured Investement Vehicles (SIV) costituiti a suo tempo dalle Investment Banks, dalle banche più o meno globali e dalle tante altre entità che popolano il mercato finanziario globale, anche perché ho avuto bisogno di un po’ di tempo per metabolizzarla, in quanto penso sinceramente che 5 mila miliardi di dollari rappresentino davvero una somma inquietante, soprattutto alla luce del fatto che, in questi travagliati dieci mesi, entità della specie sono state già assorbite nei conti di banche, compagnie di assicurazione e compagnia cantante per svariate centinaia di miliardi di dollari e gli analisti un po’ embedded nutriti dalle veline dei soggetti interessatici assicuravano che eravamo certamente giunti ben oltre la metà del guado, mentre è ora evidente che non siamo neanche al 10 per cento del problema.

Non si dispone di cifre attendibili sulle svalutazioni effettuate nelle precedenti ed alquanto forzate incorporazioni di questi organismi da parte di chi li aveva creati, né sui costi relativi alla soluzione di quella vera e propria pletora di hedge funds ai quali si è dovuto mettere mano, ma le poche informazioni disponibili parlano di perdite minime del 20 per cento rispetto al nozionale dei titoli in portafoglio, una percentuale destinata ad aumentare quando si giungerà a dover decidere l’assorbimento dei titoli più problematici, per alcuni dei quali è addirittura problematico avere uno straccio di mark to market.

Nel frattempo la Bank of America ha reso noto che sarà costretta a procedere a 12,5 miliardi di dollari di ulteriori svalutazioni legate all’acquisita Countrywide, mentre non chiarisce l’entità delle perdite legate ai suoi stessi problemi, che, visto l’approssimarsi della scadenza dell’ultimatum lanciato all’unisono dai due ex colleghi in Goldman Sachs, Henry Paulson e Mario Draghi, non dovrebbero che cifrarsi nell’ordine dei miliardi di dollari, con il grave corollario che non si ha nemmeno la più pallida idea di quale sia la situazione della grande banca commerciale in amteria di Conduit e Siv di pertinenza della stessa.

Risparmio volentieri ai miei pochi ma fedelissimi lettori (dato che desumo dalle statistiche gentilmente offertemi quotidianamente da Google attraverso il prezioso e gratuito strumento di Analytics) la solita tirata sulla vera e propria incoscienza di quanti, a tutti i livelli di responsabilità, stanno gridando da settimane ai quattro venti che il peggio è passato e, prima e poi, le cose torneranno inevitabilmente a posto, anche perché penso e spero che la memoria dei destinatari di queste menzogne più o meno aggravate dal livello di informazioni riservate in possesso di chi le ha propalate faranno giustizia della credibilità di questi personaggi.

Molta più preoccupazione ha destato la decisione di Fitch di mettere sotto osservazione motivata un buon numero di banche globali basate in Europa, preoccupazione che ha trovato immediata eco nelle quotazioni di borsa delle entità mese sotto esame dalla piccola ma coraggiosa agenzia di rating, la stessa che ha messo il dito nella piaga della maggiori compagnie monoline statunitensi, da lei degradate nel silenzio assordante delle due maggiori agenzie, peraltro molto più coinvolte di quanto lo sia Fitch nel disastro in corso.

Non ho richiamato l’attenzione dei lettori sullo storico decimo anniversario della Banca Centrale Europea, un’istituzione che ha saputo guadagnarsi sul campo l’eredità non formale della mitica Bundesbank, i cui valori e la cui fermezza continano, con poche ed inevitabili sbavature iniziali legate all’era Duisenberg, nella sala del Board dell’istituto con sede a Francoforte, anche grazie alla performance di Jean Claude Trichet, un uomo cui, seppur a denti molto stretti, anche il bellicoso presidente francese Nicolas Sarkozy ha dovuto tributare i meritati onori per la gestione della crisi finanziaria in corso.

Lasciando per un momento le banche, le compagnie di assicurazioni e gli investitori istituzionali alle loro ambasce, permettetemi di tornare sulle povere cose di casa nostra, per parlare del disoccupato di lusso, Matteo Arpe, unico tra i banchieri italiani ad avere dato prova di discontinuità dopo la triste stagione del risparmio tradito, segnalando con fatti e comportamenti che in ogni rischio sono sempre compresenti elementi di pericolo e di opportunità, anche se si è alla guida di una delle banche italiane maggiormente coinvolte nelle vicende incriminate, ricordo per tutti il piano Delta2 che rappresenta senza dubbio la risposta più coraggiosa a quella veriticale perdita di credibilità che affligeva, e purtroppo ancora affligge le entità finanziarie operanti in Italia.

E’ di poche settimane orsono la notizia che Arpe avrebbe rifiutato, ringraziando, l’incarico di amministratore delegato dell’affiliata italiana di Deutsche Bank, resasi vacante per la decisione di Vincenzo De Bustis Figarola, un lungo cursus honorum da BNL a Banca del Salento, poi divenuta Banca 121, dalla tolda di comando di Rocca Salimbeni alla Deutsche Italia, appunto, rifiuto motivato con l’impegno che sta attualmente profondendo nella neonata Sator, autorevolmente presieduta dal professor Luigi Spaventa.

Non sfugge a nessuno che, da alcuni mesi, una nutrita pattuglia di suoi ex collaboratori, guidata dall’ex amministratore di Banca di Roma, il giovane Fabio Gallia, sono impegnati ad una rilevante ristrutturazione della Banca Nazionale del Lavoro, da due anni parte integrante del gruppo multinazionale BNP Paribas e presidio principale di quello che la banca francese definisce il secondo mercato domestico.

Dopo un iniziale fase di rodaggio e superate quelle perplessità che la stampa attribuiva ai francesi in merito alla stabilità dell’importante investimento italiano, perplessità poi autorevolmente smentite dal presidente Peribeau e dall’amministratore delegato Prot, da Parigi, e dal presidente Abete e dall’amministratore delegato Bonaffé, da Roma, la squadra di Gallia, noto per lo stupore suscitato nell’anziano banchiere di Marino, Cesare Geronzi, all’offerta di prendere il posto di Arpe, si è molto infoltita ed ora operano in BNL i principali collaboratori di Arpe e dello stesso Gallia, aprendo uno scenario che potrebbe anche prevedere la assunzione al massimo livello di Arpe quando Bonaffé dovesse succedere a Badouin Prot alla guida della stessa BNP Paribas.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/