domenica 15 giugno 2008

Dopo un silenzio durato oltre sei mesi, la stampa nazionale si occupa finalmente dello scandalo bancario tra Italia e San Marino!


Ho ritrovato, tra le migliaia di agenzie stampate nel corso di questi mesi di tempesta perfetta, l’intervista molto “sdraiata” ed accomodante che la discussa giornalista televisiva della CNBC Mary Bartiromo (sì, quella che contribuì alla rovinosa caduta di un top manager per una vicenda da cronaca rosa) fece, per sul numero di Business Week in edicola il 19 marzo 2008, alla ormai ex Chief Financial Officer di Lehman Bros, Erin Callan, allora appena sopravvissuta al crollo verticale delle quotazioni della piccola ma molto blasonata casa di investimenti statunitense che domani affronterà una sorta di ordalia, in occasione della attesissima presentazione dei disastrosi risultati relativi al secondo trimestre di questo orribile 2008, risultati, peraltro, che saranno seguiti a breve da quelli, altrettanto ansiosamente attesi, di Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Citigroup, Bank of America e giù scendendo “pe li rami” del vasto e molto disastrato mercato finanziario globale.

Come spesso accade, sarebbe bastato leggere in controluce le dichiarazioni che Erin rese molto incautamente allora per capire quanto erano fondate le ragioni di David Einhorn e degli altri miliardari che perseveravano a scommettere contro Lehman e le altre Investment Banks, o meglio facendo nei confronti di tutto quello che finisce con bank quello che, purtroppo, fecero al contrario, sul finire degli anni Novanta, milioni di incauti piccoli investitori verso tutto quello che finiva con il suffisso .dot o .com, così come penso di poter affermare tranquillamente che il bilancio finale di Einhorn e compagni e quello degli allora Nasdaqdipendenti sarà altrettanto di segno assolutamente contrario (peraltro, lo è già oggi, alla luce dello squagliamento delle quotazioni delle maggiori banche USA e delle disastrate monoliner).

Cosa diceva allora di tanto illuminante sul disastro annunciato di Lehman la bella e brava Erin? Molto semplicemente che, in presenza di un clima di sfiducia reciproca quale era quello che si respirava all’inizio di marzo e dopo che l’orso di Stearns era andato bellamente a zampe all’aria, l’unica fonte sicura di approvvigionamento per una banca come la sua era rappresentata dalla discarica a cielo aperto provvidenzialmente aperta dalla Fed di New York, una discarica il cui accesso era stato altrettanto provvidenzialmente concesso anche alle Investment Banks (precedente pericolosissimo voluto personalmente da Bernspan e dai suoi complici del Board della Fed) ed i cui molto distratti addetti prendevano molto graziosamente i titoli spazzatura come fossero dei solidi Treasury Bonds.

Erin e tutti quelli impegnati nel suo stesso lavoro, infatti, avevano appreso benissimo la lezione amarissima rappresentata da quanto era accaduto alla rivale Bear Stearns in una tragica notte tra mercoledì e giovedì di una settimana qualsiasi della tempesta perfetta, con la sede letteralmente invasa da regulators, investigatori federali, squadre di donne ed uomini dell’acquirente J.P. Morgan-Chase e da altrettante squadre di disperati dipendenti di Bear, una lezione consistente nel tragico ritorno del rischio di controparte, un rischio da lunga pezza dimenticato negli anni della finanziarizzazione, della deregolamentazione e della globalizzazione senza freni e senza limiti, ma, soprattutto, senza crisi vere, dure e dagli esiti drammatici.

D’altra parte, se se ne era accorto, buon ultimo, anche l’ottimo Effe O Ixs (il presidente della Securities and Exchange Commission, Fox), vuol dire proprio che se ne erano accorti anche i passanti occasionali della strada denominata Wall Street, come pare abbia detto un molto ironico membro della Commissione Bancaria del senato degli Stati Uniti d’America nel corso della sua disperata audizione, quella in cui aveva candidamente ammesso che i sofisticatissimi modelli dela Sec non contemplavano proprio il rischio di controparte per entità che disponessero di buone riserve di titoli di ottima qualità (ma che hanno purtroppo il “piccolo” difetto di non essere prontamente liquidabili quando finalmente servono NdR), così come fu costretto a riconoscere che era stata quasi totalmente smantellata la squadra di addetti alla prevenzione delle crisi bancarie dopo la crisi delle Saving and Loans dei primi anni Novanta e che si stavano reclutando frettolosamente le donne e gli uomini in grado di svolgere tale attività.

Nel frattempo, un nutrito numero di analisti ha portato a 4 mila miliardi di dollari il livello più probabile di quel disastroso fenomeno che prende il nome di credit crunch, ma io continuo a fidarmi di Ian Hatzius, capo economista per gli USA della potente e preveggente Goldman Sachs, che ne prevede almeno il doppio, anche perché la pur ovvia considerazione che le banche aumenteranno il capitale non appare sufficiente a contrastare quel sempre più avvertibile fenomeno di irrigidimento delle condizioni di solvibilità previsto per i richiedenti il credito che, volenti o nolenti, sta facendo capolino nelle banche, anche alla luce della banale considerazione che, almeno negli Stati Uniti d’America, ve ne era proprio bisogno, visto che i mutui venivano spesso offerti dai call center delle banche a donne ed uomini che sino a quel momento o non ne sentivano il bisogno o ritenevano, spesso giustamente, di non possedere i necessari requisiti per richiederli.

Ai ministri finanziari ed ai governatori delle banche centrali del G8 che da Osaka in Giappone hanno strepitato sulla speculazione come causa del recente rialzo del prezzo del greggio e delle altre materie prime, nonché delle derrate alimentari, mi permetto di suggerire di adottare le misure proposte da accreditati ed autorevoli economisti non embedded alle logiche del capitale finanziario, misure che renderebbero molto più oneroso e finanche meno sicuro quel gioco a senso unico che vede protagoniste le Investmen Banks, le CIB delle banche più o meno globali, i fondi pensione ed i fondi di investimento, tutti soggetti che sono alla disperata ricerca di un sistema fruttuoso per rimediare in tutto o almeno in parte ai danni prodotti dagli alti marosi della tempesta perfetta in corso, danni che si prevedono ormai non più in centinaia, ma. Purtroppo, in migliaia di miliardi di dollari.

Prendo atto con piacere che dopo sei mesi almeno di silenzio, la stampa italiana, o meglio Il Sole 24 Ore, inizia ad occuparsi dello scandalo di San Marino, quel flusso transfrontaliero tra la Romagna e la Repubblica del Titano emerso nel dicembre del 2007 con una decina di arresti di dirigenti di banca, decine di incriminazioni di imprenditori coinvolti nel traffico illecito di capitali e le tempestive dimissioni irrevocabili del Governatore della banca centrale di San Marino (sic), uno scandalo, peraltro, che era scoppiato poche settimane dopo l’anomalo sequestro e rapina di un piccolo imprenditore che aveva appena prelevato un’ingente somma di denaro da una banca di cui non era ufficialmente nemmeno cliente.

Come ricorda sempre l’ottimo Saviano, il modo migliore per non dare risalto ad una notizia consiste nel confinarla nella cronaca locale di quotidiani altrettanto locali, cosa che vale per i clan camorristici di Casal di Principe, come per gli esportatori di denaro sottratto al fisco ed ai bilanci di società più o meno anonime, così come agli scandali riguardanti le banche, eppure ritengo veramente che l’operazione denominata Alce Nero meriti maggiore attenzione!
*
Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/