martedì 29 dicembre 2009

Facciamo il punto sulla tempesta perfetta


Ho impiegato alcune settimane per cercare di riflettere con più calma su quello che sta davvero accadendo nei mercati finanziari, uno sforzo non da poco dopo i devastanti ventotto mesi di tempesta perfetta che hanno provocato perdite e lutti alla flotta delle entità a diverso titolo operanti nel mercato finanziario globale.

Si è trattato in ogni caso di una pausa salutare dopo due anni di impegno quotidiano che hanno trasformato il Diario della crisi finanziaria nel giornale di bordo non autorizzato del maggiore sommovimento nei mercati finanziari mai registrato dalla crisi del 1929, anche se, e non solo il solo a pensarla a questo modo, sotto molti aspetti la magnitudo dei fenomeni che stiamo ancora vivendo è stata addirittura maggiore di quella registrata ottanta anni orsono.

Ma quello che rende difficoltoso fare il punto della situazione è rappresentato dalla domanda che pongo quasi incessantemente da oltre due anni: quale è la vera dimensione della montagna di titoli più o meno tossici della finanza strutturata ancora in circolazione e quale è l’esatta distribuzione degli stessi tra le diverse entità protagoniste del mercato finanziario globale?

Dopo la recente restituzione operata da Citigroup, si può dire che quasi tutte le maggiori banche statunitensi hanno saldato il proprio debito nei confronti dello Stato, liberandosi così dalle limitazioni sui compensi imposti dall’amministrazione Obama, ma sorte analoga non sono destinati ad avere i titoli che sono stati graziosamente sollevati dai loro bilanci e i cui relativi rischi gravano ancora sulle entità pubbliche che se ne sono fatte carico.

L’altro corno del dilemma, rappresentato dalla situazione del mercato immobiliare, non presenta maggiori punti di chiarezza, a meno di non fermarsi al rimbalzo delle vendite stimolate dagli sgravi fiscali e dai prezzi di assoluto realizzo degli immobili, una condizione quest’ultima destinata a continuare alla luce del crescente numero di procedure di foreclosure.

Ma vi è un terzo aspetto della tempesta perfetta che sta togliendo il sonno agli investitori ed è quello connesso alle pesanti tosature cui sono sottoposti i detentori di obbligazioni tradizionali emesse da entità o entrate in procedura fallimentare o in difficoltà nella restituzione, come nel caso della Dubai World, che ha chiesto una moratoria di sei mesi sulla restituzione sia degli interessi che dei bonds in scadenza.

Queste tre criticità spiegano il sostanziale arresto della crescita dei tre principali indici statunitensi dopo una corsa del 60 per cento circa dai rispettivi minimi toccati nel corso del mese di marzo, una battuta di arresto che dovrebbe preludere, almeno secondo il giudizio di uno dei più importanti gestori del mondo, il chief executive officer di PIMCO, Mohammed El-Erian, a un ribasso in tempi brevi del dieci per cento del rappresentativo Standard & Poor’s 500.

D’altra parte, una ripresa sostenuta in larga misura dall’elevatissimo deficit spending governativo e dai tassi prossimi allo zero non è destinata ad avere vita lunga e sostenibile né a produrre quei tassi di crescita che potrebbero consentire quel significativo riassorbimento del tasso di disoccupazione che potrebbe segnalare una vera inversione di tendenza.

venerdì 4 dicembre 2009

Bank of America restituisce 45 miliardi!


Per diversi giorni il mercato finanziario globale si è interrogato su quanto stava accadendo negli Emirati Arabi Uniti, in particolar modo a Dubai, la città che decise di cambiare il proprio volto e di diventare un polo di attrazione per turisti e investitori, un’operazione in parte riuscita ma a costi altissimi e ora una delle principali società utilizzate per realizzare l’impresa, la Dubai World, chiede ai detentori di suoi bonds per 60 miliardi di dollari di avere pazienza per riavere i propri “terzi e capitale”.

A breve inizieranno gli incontri per definire tempi e modalità dei futuri rimborsi, ma è evidente che i bondholders continuano a essere i soggetti maggiormente colpiti dalle conseguenze della tempesta perfetta, come ben hanno già sperimentato i detentori di titoli Chrysler e General Motors e quelli di altre società che hanno avviato rinegoziazioni del debito improntate, nella maggior parte dei casi, a pesanti, se non pesantissime decurtazioni del dovuto.

La pubblicazione del dato dell’Institute for Supply Management relativo al settore dei servizi nel mese di novembre ha turbato non poco gli operatori e gli investitori a causa dell’inatteso calo dell’indice passato da 50,6 a 48,7, ben al di sotto delle attese degli analisti che prevedevano un rialzo a 51,5, una flessione importante perché, come è noto, l’indice indica espansione solo a livelli superiori a 50.

Anche per le vendite al dettaglio delle catene a carattere nazionale, il mese di novembre 2009 non sarà tra quelli da ricordare, in quanto si è registrato un decremento delle vendite dello 0,3 per cento, un dato che sarebbe stato ancora più pesante se non fosse iniziata, con il ponte del giorno del ringraziamento, il periodo noto come Christmas Spending.

Tra le notizie positive vi è il forte calo delle nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione, portatesi a 457 mila dopo essere state per tanti mesi al di sopra delle 500 mila, e la decisione di Bank of America di restituire i 45 miliardi di dollari ricevuti a suo tempo nell’ambito del programma TARP.

La decisione di Bank of America, tuttavia, sembra solo finalizzata a liberarsi dei vincoli alla compensation imposti dal rappresentante di Obama e che stanno rendendo difficile se non impossibile la ricerca del successore di Ken Lewis, il Chief Executive Officer dimissionario che lascerà a fine anno la guida della banca.

Al di là dei veri motivi alla base della decisione di BofA, è comunque certo che con questa mossa a sorpresa cresce l’isolamento di Citigroup che sembra nell’impossibilità di restituire i 45 miliardi di dollari ricevuti dal TARP ed è ancora posseduta dallo Stato per oltre un terzo del suo capitale azionario.