giovedì 23 febbraio 2017

Avviso importante ai lettori


Dopo un' interruzione durata due anni, quando si stavano esaurendo gli effetti catastrofici della prima ondata della Tempesta Perfetta e in parte anche quelli della seconda legata alla crisi dei Government Bond europei fronteggiata efficacemente, come prima negli Stati Uniti d'America, da un sostanzioso Quantitative Easing, mi trovo di fronte alla scelta se continuare il commento quotidiano della terza ondata della tempesta, in particolare di quella parte riferita al settore bancario italiano soggetto alla Vigilanza diretta della Banca Centrale Europea.

Avevo inoltre segnalato l'esistenza di tre bolle speculative esistenti, quella dell'azionario, in particolare dell'azionario statunitense, bolla che sta vigorosamente crescendo dopo l'ingresso di Donald Trump alla casa Bianca, quella del petrolio il cui prezzo è drogato dagli effetti dell'intesa tra i Paesi OPEC e la Russia e altri Paesi non OPEC, un'intesa che non taglia l'output petrolifero ma lo mantiene stabile e quella del settore bancario europeo, in particolare di quello italiano, una bolla che si stava già vistosamente sgonfiando nella seconda metà del 2015, ma che si è poi ulteriormente e significativamente sgonfiata nel 2016, dando modo a David Eisner e altri raiders di portare a casa ingentissimi guadagni.

A questo punto delle cose, con particolare riferimento alle traversie della parte alta del sistema bancario italiano che ho descritto con dovizia di particolari, ritengo più utile sospendere la pubblicazione quotidiana delle puntate del Diario della crisi finanziaria per limitare le uscite a momenti significativi, a punti di svolta che prevedo, soprattutto per l'azionario americano e per la crisi finanziaria cinese, potranno essere di portata straordinaria e tali da influenzare non solo il mercato azionario, ma anche quello dei cambi e delle materie prime.

Ed è per questo che non si tratta di un addio ma di un arrivederci. Grazie, inoltre, per la frequentazione intensa e assidua sia sul blog che sul mio profilo Facebook!

mercoledì 22 febbraio 2017

Facciamo il punto sull'azione della Vigilanza BCE sulle banche italiane


Pur essendo stata costituita nel giugno del 2014, la Vigilanza presso la Banca Centrale Europea inizia a "mordere" le banche italiane sotto il suo controllo (sono quindici, da poco ridotte a quattordici con la fusione Banco Popolare-Banca Popolare di Milano in Banco BPM e tra breve a tredici con la fusione tra Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, entrambe nelle mani del Fondo Atlante, nella Banca delle Venezie) solo nel 2016 quando avvengono gli avvenimenti più importanti che riguardano Unicredit, il Monte dei Paschi di Siena, Banca Carige, la Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, il Banco Popolare, la Banca Popolare di Milano e UBI Banca.

Come è agevole vedere, qualcosa di più della metà del campione di banche italiane sorvegliato direttamente dalla Trimurti della Vigilanza sulle banche dell'area dell'euro è stato investito da ispezioni a volte singole, a volte doppie e da un vero e proprio profluvio di missive dal tono più o meno ultimativo, esemplare quella indirizzata direttamente al ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, dove, a proposito dell'aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena oramai non garantito più dal mercato ma dallo Stato, con cinque righe cinque si comunica al destinatario che l'ammontare dell'aumento di capitale non è più quello previsto sino a quel momento e pari a cinque miliardi di euro, ma bensì di 8,8 miliardi di euro dei quali 6,6 a carico delle casse statali (due miliardi dei quali destinati a farsi carico del cambio alla pari delle obbligazioni subordinate in mano ai privati in azioni MPS).

Come è andata con le due banche venete che ora verranno fuse in una con carneficina di posti di lavoro e di dipendenze è cosa nota, così come è noto che non è bastato lo sforzo solidaristico del sistema bancario che dato vita al Fondo Atlante per risanarle a fondo e per creare una sola banca più sana ed efficiente ed è stato necessario ricorrere alle previsioni del decreto salva banca in corso di approvazione definitiva in Parlamento e che dispone di una dotazione complessiva da venti miliardi di euro.

Ma il caso esemplare è quello di Unicredit costretto dalle reiterate pressioni della Nouy e dei suoi più stretti collaboratori, tra i quali spicca l'italiano Ignazio Angeloni, a lanciare, dopo aver realizzato cessioni a raffica e ristrutturazioni in Italia e all'Estero, un aumento di capitale da 13 miliardi di euro che sta lasciando il mercato con il fiato sospeso anche se sembra abbastanza saldo il fittissimo consorzio di garanzia formato da banche italiane e straniere, così come appare alquanto salda la quotazione di borsa dell'azione dell'istituto milanese, un aumento in larga misura volto a fronteggiare le perdite derivanti dalla cessione di diciassette miliardi di sofferenze sui 57 miliardi di euro di Non Performing Loans complessivi.

Uno dei punti di snodo cruciali è rappresentato dal caso di Carige Banca che è sottoposta a una doppia ispezione della Vigilanza BCE, la prima in corso da tempo sui conti (leggi NPL's), la seconda più recente e incentrata sulla governance della banca, un iter che dovrebbe concludersi con un aumento di capitale da 1,6-1,7 miliardi di euro, anche in questo caso volto a fronteggiare le perdite derivanti dalla cessione di 2-3 miliardi di euro di sofferenze e crediti dubbi.

Rinvio il lettore alle quattro puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate all'analisi delle principali banche italiane.

lunedì 20 febbraio 2017

Il Parlamento europeo chiede alla BCE stress test sui titoli tossici delle maggiori banche europee!


La polemica mossa dall'Associazione Bancaria Italiana e dalle maggiori banche italiane sul doppio peso con cui la Vigilanza presso la Banca Centrale Europea tratta i mille miliardi di Non Performing Loans, dei quali più di un terzo allocati presso le banche italiane, e i titoli illiquidi, i cosiddetti titoli di classe 3, di cui sono invece piene, Deutsche Bank ne ha per 31,5 miliardi di euro pari al 60 per cento del capitale Cet1, le maggiori banche francesi, ad eccezione nota un ben informato articolo del quotidiano Milano Finanza del Credit Agricole, hanno crediti di classe 3 che pesano tra il 20 e il 40 per cento, mentre le maggiori banche italiane sono ad un peso sul capitale Cet1, mentre le altre banche italiane praticamente sono fuori del fenomeno, così le maggiori banche spagnole presentano percentuali ancora inferiori a quelle di Unicredit e Intesa.

Queste proteste che pur hanno avuto un'eco nei lavori del Consiglio di Sorveglianza sulle maggiori banche dei diciannove paesi membri dell'area dell'euro non si sono mai tradotti nella predisposizione di stress test specifici che sicuramente avrebbero avuto effetti non favorevoli per Deutsche Bank, BNP Paribas, Societé Generale, almeno risultati che avrebbero appesantito quelli ottenuti con gli stress test tradizionali.

Pur essendo ovvia l'autonomia della Banca Centrale Europea, rispetto al Parlamento e alla Commissione, è evidente che sia l'estrema accuratezza e l'analitica del testo della deliberazione, sia il fatto che la stessa sia stata approvata a larghissima maggioranza dei componenti dell'Assemblea di Strasburgo (505 a favore contro 154 contrari) inducono a ritenere che Daniele Nouy e i suoi più stretti collaboratori tra i quali c'è l'italiano Ignazio Angeloni non potranno non tenere conto di una questione che è da tempo al centro delle loro discussioni interne  e delle più recenti esternazioni via intervista alla stampa sia della Nouy che di Angeloni anche se non si è mai tradotto nella decisioni di sottoporre a stress testa quantitativi su questo tipo di attivi, quello dei titoli della classe 3 appunto.

Non sono assolutamente in grado di capire cosa accadrà, anche perché l'opposizione alla risoluzione è stata per paesi e non schieramenti e questo fa anche intuire che potrebbe esserci una certa sordità da parte della Commissione, ma sono certo che Mario Draghi, che tra le sue infinite competenze ne ha una in particolare sui titoli tossici della finanza strutturata e quindi spingerà la Trimurti della Vigilanza a non far cadere nel vuoto l'appello che viene da una volta tanto relativamente compatta assemblea del parlamento europeo!

venerdì 17 febbraio 2017

Banca d'Italia, se ci sei, batti un colpo!


Mentre la Vigilanza presso la Banca Centrale Europea sta mettendo sotto torchio una parte del campione di banche italiane da essa vigilato, un campione già ridotto dalle originarie quindici banche più grandi per totale dell'attivo a quattordici per la fusione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano e che si ridurrà a tredici con la prevista fusione della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca nella Banca delle Venezie, molti si chiedono cosa stia facendo la Vigilanza della Banca d'Italia che, anche dopo il 15 giugno 2014, mantiene intatte le funzioni di Vigilanza e di indirizzo sulle centinaia di banche di dimensioni medie e piccole che, almeno per il momento possono fregarsene di quello che fa a Francoforte Madame Nouy e i suoi più stetti collaboratori.

Ora, il problema dei problemi del sistema bancario italiano, almeno secondo quanto ritiene la Vigilanza europea ma non solo secondo questa, è che su mille miliardi di euro circa di Non Performing Loans quasi 360 sono di pertinenza delle banche italiane, una sproporzione enorme tenendo con del totale dell'attivo delle banche del nostro Paese e di quello delle banche degli altri diciotto paesi dell'eurozona e, se è vero che una buona fetta di crediti dubbi fa capo alle banche direttamente vigilate dalla BCE (a seconda dei calcoli tra i 150  e i 200 miliardi di euro), non vi è dubbio che una cifra tra i 150 e i 200 miliardi  fa capo al resto del sistema.

Si dirà che una cifra pur così rilevante ma spalmata su un numero così elevato di istituti non crea particolari problemi ad una riduzione graduale dell'esposizione, ma esistono due problemi, il primo rappresentato dalla concentrazione su alcune delle banche che si pongono per dimensioni alle spalle del gruppo di testa dei quindici istituti direttamente vigilati da Francoforte e il secondo è, fatta salva qualche isolata eccezione, dal problema vanno eliminate le centinaia Banche di Credito Cooperativo, il che riduce la questione ad un numero molto più ridotto di banche.

Premetto che la riservatezza dell'operato della Vigilanza della Banca d'Italia e i limiti della mia conoscenza della questione delle banche di minore dimensioni possono inficiare l'analisi, ma quanto è accaduto in Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariIesi sta lì a dimostrare, a pressoché unanime giudizio di autorevoli commentatori, delle omissioni e dei ritardi delle nostre autorità di Vigilanza e lì di NPL's ce ne erano eccome e, se non bastasse c'è la questione di Unipol Banca con un livello di crediti dubbi sul totale degli impieghi vivi superiore a quello, pur elevatissimo, del Monte dei Paschi di Siena!

* * *

Ieri il blog ha ricevuto circa mille visite delle quali poco meno di 700 dagli Stati Uniti d'America, 145 dalla Russia e 112 dall'Italia. Una sproporzione che mi pone qualche interrogativo visto che, nella mia analisi della terza fase della Tempesta Perfetta, mi sto occupando in prevalenza della bolla speculativa semisgonfia del settore creditizio italiano.

giovedì 16 febbraio 2017

Ricapitalizzazione precauzionale anche per Banca Carige?


Quando il Governo Renzi, su proposta del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, propose un decreto legge per favorire la stabilità del sistema bancario italiano e previde una dotazione del provvedimento da venti miliardi di euro, molti pensarono che quella previsione di spesa, da ascrivere a nuovo debito, fosse francamente eccessivo per il solo Monte dei Paschi di Siena anche se, come fu, fallita l'ipotesi di aumento di capitale di mercato, tutto il peso sarebbe ricaduto sulle spalle dello Stato.

In realtà, ci ha pensato la Vigilanza della Banca Centrale Europea, con la sua missiva di cinque righe cinque, ad alzare l'asticella dell'aumento di MPS da 5 ad 8,8 miliardi di euro, di cui 6,6, stabilì la stessa stringata letterina, a carico delle casse dello Stato (inclusi i circa due miliardi stabiliti per la trasformazione alla pari in azioni delle obbligazioni subordinate in possesso della clientela retail), ma anche così avanzavano 14 miliardi circa che sia il capo della Vigilanza BCE sia il Tesoro italiano sapevano avere sicuro impiego.

Abbiamo visto nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria che qualcosa di più di due miliardi euro serviranno alla ricapitalizzazione precauzionale al servizio della fusione e pulizia di bilancio delle due banche venete (banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) in mano al Fondo Atlante, ma sia pre ora una nuova partita, e non sarà certo l'ultima viste le sempre più stringenti attenzioni della BCE sulle quindici banche da lei vigilate, ed è rappresentata dalla precaria situazione della Banca Carige oggetto di ben due ispezioni contemporanee delle donne e degli uomini di Madame Nouy, capo indiscusso della Vigilanza BCE.

Anche in questo caso si profila un aumento miliardario, destinato a cadere sulle spalle dei Malacalza, azionisti di riferimento e che hanno già profuso 250 milioni di euro per una partecipazione che non arriva al venti per cento del totale, aumento necessario per una radicale pulizia di Non Performing Loans che arrivano al 31,6 per cento del totale degli impieghi vivi, con perdite presumibili che cifrano l'aumento di capitale necessario cui va aggiunto quanto serve per il rilancio della banca che sarà previsto nell'atteso piano industriale.

A poco servirà l'azione risarcitorie lanciata in questi giorni contro i precedenti amministratori e il Fondo statunitense Apollo per la bella cifra di 1,7 miliardi di euro e, quindi, si profila anche in questo caso un intervento diretto dello Stato al che la dotazione residua del decreto sarà di poco superiore ai dieci miliardi e vedremo che, nei prossimi mesi (e non tanti), emergeranno altre patate bollenti, situazioni che non conosciamo ma che certo sono già ben note a Padoan e alla Nouy! 

mercoledì 15 febbraio 2017

Ricapitalizzazione precauzionale da 5 miliardi per le due banche venete?


Secondo quanto riporta un lungo lancio della Reuters, il Governo italiano starebbe trattando con le funzioni competenti dell'Unione europea la possibilità di una ricapitalizzazione precauzionale per le due banche venete salvate dal Fondo Atlante, che prevede quindi un intervento statale ma non l'applicazione di tutte le regole del bail in ad eccezione della conversione delle obbligazioni subordinate in azioni come sta avvenendo al Monte dei Paschi di Siena, e la cifra di cui si discute si aggira intorno ai 5 miliardi di euro.

Per comprendere meglio la questione è necessario fare un passo indietro e tornare alle due fallite ricapitalizzazioni della Banca Popolare di Vicenza prima, un aumento da 1,5 miliardi di euro, e di Veneto Banca poi (la richiesta al mercato era di un miliardo), in entrambi i casi a sostituirsi ad un mercato latitante fu il neonato Fondo Atlante gestito da Alessandro Penati e che sborsò 2,5 miliardi diventando proprietario pressoché assoluto delle due banche (oltre il 99 per cento nella prima e poco meno del 98 per cento nella seconda).

Ai nuovi proprietari e al ministero dell'Economia che segue da vicino la partita è stato immediatamente chiaro che le due banche non avevano un futuro stand alone, sia per motivi economici che reputazionali, e quindi stanno lavorando alacremente alla fusione dei due istituti per far nascere un'unica banca che prenderebbe il nome di Banca delle Venezie, ma vogliono approfittare dell'occasione anche per una profonda operazione di pulizia dei bilanci delle due banche, magari attraverso la creazione di una bad bank dove far confluire i non pochi crediti dubbi.

A questa operazione, il Fondo ha già destinato 938 milioni di euro e potrebbe utilizzare gli 1,7 miliardi del Fondo Atlante II non più utilizzati per le sofferenze del Monte dei Paschi, ma, anche con la trasformazione delle obbligazioni subordinate in azioni, non si giunge alla cifra di cinque miliardi di euro di cui le fonti vicine al dossier parlano. Lo sforzo residuo per lo stato sarebbe tutto sommato modesto e aggirarsi intorno a un miliardo di euro.

C'è poi la questione del piano industriale che dovrebbe utilizzare a pieno gli spazi aperti dalla forte ricapitalizzazione del Fondo per gli esuberi da 600 milioni di euro in tre anni, un'opportunità che difficilmente si ripeterà in futuro, nonché le evidenti economie di scala che si otterrebbero fondendo le due sedi centrali.

martedì 14 febbraio 2017

La BCE sparerà a palle incatenate su Banca Carige?


Con tre consigli di amministrazione in pochi giorni, i vertici di Banca Carige sperano di disinnescare la mina rappresentata dalla missiva della vigilanza della Banca Centrale Europea con la quale si chiede entro il mese di febbraio un piano credibile e con scadenze che non vanno alle calende greche il problema dei Non Performing Loans, una mossa che dovrebbe essere replicata dalla Banca d'Italia per le banche che sono rimaste appannaggio della Vigilanza nazionale e che sono ovviamente la maggior parte delle banche italiane, in quanto la Vigilanza BCE controlla solo le quindici maggiori banche italiane.

Le due maggiori banche italiane, Banca Intesa San Paolo e Unicredit stanno ovviamente molto meglio della relativamente piccola Carige, in quanto il tasso  che misura il rapporto tra gli NPL's e gli impieghi della più patrimonializzata delle banche italiane, Intesa appunto, dovrebbe giungere al 10 per cento, un rapporto di livello molto europeo, entro il 2020 ma già ora viaggia su livelli molto tranquilli, mentre Unicredit, che di NPL's ne ha per 57 miliardi di euro, al lordo però di 17 miliardi già ceduti e spesati sul bilancio 2016, ma, sempre Unicredit, proporrà alla Vigilanza BCE ulteriori maxi tagli dei 40 miliardi di euro residui, dandosi probabilmente lo stesso orizzonte temporale "lungo" di Intesa.

Il problema di Carige sta nel fatto che il rapporto attuale tra gli NPL's e gli impieghi vivi è pari al 31,6 per cento un rapporto secondo solo, tra le banche di vertice a quello che caratterizza il nazionalizzando, seppur temporaneamente, Monte dei Paschi di Siena e questo richiede quella che ieri chiamavo la cura che ammazza il cavallo e cioè una cessione mostre di crediti dubbi con conseguente maxi aumento di capitale e, come nel caso della banca senese, l'orizzonte temporale per giungere a livelli fisiologici è il 2018, quindi due anni in meno di quello concesso ai due maggiori gruppi bancari italiani, mentre la cifra di cui si discute al vertice della banca genovese oscilla tra 1,6 e 1,7 miliardi di euro e tutto questo mentre la banca presieduta da Giuseppe Tesauro va in rosso per oltre duecento milioni di euro per l'esercizio 2016.

lunedì 13 febbraio 2017

La BCE e le banche italiane: se la cura ammazza il cavallo!


Avevo promesso in una recente puntata di tornare sulla lunghissima intervista al quotidiano La Repubblica a Daniele Nouy, responsabile della Vigilanza europea presso la Banca Centrale Europea dal giugno 2014, un periodo brevissimo ma che a molti banchieri italiani è sembrato durare un'eternità alla luce del ritmo martellante di ispezioni e richieste perentorie guidate dal suo ufficio al venticinquesimo piano del grattacielo che ospita a Francoforte la sede della BCE, ispezioni e richieste chiaramente avallate da Mario Draghi e dal consiglio direttivo cui la Nouy riferisce ogni quattordici giorni od ogni qualvolta sia necessario per motivi di urgenza, il tutto in un clima di totale armonia tranne quando, in occasione della missiva che ha aumentato in corsa l'entità dell'aumento di capitale per il nazionalizzando Monte dei Paschi di Siena (da 5 ad oltre 8 miliardi di euro), missiva di cinque righe cinque indirizzata al ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, che ha visto il voto contrario di Ignazio Angeloni, numero tre dell'organismo, e del rappresentante di Bankitalia nel Consiglio di Sorveglianza.

Ad una domanda diretta, la Nouy dice che tra le quindici banche da lei sorvegliate, a breve ridotte a tredici per la fusione già avvenuta tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano e per quella in corso di realizzazione tra le tecnicamente fallite e salvate dal Fondo Atlante, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca (che diverranno la Banca delle Venezie), ve ne sono alcune che vanno benissimo, mentre altre vanno malissimo ma si stanno dando dannatamente da fare per venire incontro alle richieste della Vigilanza e basta vedere gli aumenti maxi e mini in corso da parte di alcune o i progetti di espansione da parte di altre per capire quali sono quelle che vanno in un modo e quelle che vanno nell'altro e lascio al lettore di individuare le prime e le altre, anche perché notizie e analisi delle prime(pochissime) come delle seconde (un po' di più) sono piene le pagine dei giornali e degli altri media.

Parlando del problema dei problemi, la significativa riduzione dei Non Performing Loans, la Nouy ha ripetuto la frase di Gentiloni e cioè che per percorrere una lunga strada bisogna mettersi in marcia e con le idee chiare, ha di fatto bocciato l'approccio del Monte dei Paschi che ha deciso di azzerare tout court le sofferenze lorde rendendo di fatto impossibile l'aumento di capitale (non cogliendo cioè le opportunità offerte dalla missiva della BCE che chiedeva una soluzione entro la fine del 2018) e ha implicitamente dato il via libera a quello più gradualistico di Unicredit che è andato in rosso per 12 miliardi circa nel 2016, lasciando ancora da smaltire gran parte dei 57 miliardi di NPL's senza aiuti da parte dello Stato ma con un programma significativo di cessioni totali o parziali e con un forte ridimensionamento dei costi fissi, in particolare di quelli del personale che si ridurranno a livello globale di 19 mila dipendenti, ma con un significativo, almeno per quanto riguarda l'Italia, numero di assunzioni.

Tornerò in una prossima puntata del Diario della crisi finanziaria sul Nouy pensiero e sul diverso trattamento tra le banche tedesche e quelle italiane.


venerdì 10 febbraio 2017

Breaking News: Supermario piega Merkel e Weidmann, no all'euro a più velocità e sì al Quantitative Easing


Dopo un lungo incontro con la Cancelliera Angela Merkel, Mario Draghi ha portato a casa il secondo successo in due giorni, in quanto dopo la capitolazione del Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann sulla nuova versione del Quantitative Easing, da lui fino ad ora fieramente osteggiata, ieri ha ottenuto che la Germania ritirasse il piano di euro (ed Europa) a più velocità.

Questo post sarà aggiornato appena avrò notizie più particolareggiate sull'incontro, se mai ve ne saranno!

Già perché l'unica cosa certa è che Draghi si è recato presso la Cancelleria a Berlino e che il colloquio è durato un'eternità per i tempi che normalmente la Merkel dedica ai visitatori, mentre con Draghi il colloquio senza testimoni è durato due ore e mezza e alla fine sono emerse le importanti concessioni che la Cancelliera ha voluto fare e che ho sintetizzato nel titolo di questa puntata telegrafica e che vedono Supermario vincitore su tutta la linea con questa sconfessione dell'ostilità della banca centrale tedesca alle modalità del Quantitative Easing che, lo ricordo, non prevede più che gli acquisti di bond siano proporzionali alla forza economica del Paese ma calibrati sulle turbolenze che riguardano il singolo paese, anche perché assistiamo ad un fenomeno di rarefazione dei Bund tedeschi.

Ma la vera vittoria di Draghi è stato il ritiro da parte tedesca del progetto di un Unione europea, e anche dell'euro, a più velocità, un progetto annunciato nei giorni scorsi dalla stessa Cancelliera e che la Banca Centrale Europea aveva già criticato.

Jens Weidmann ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e si è vendicato oggi facendo un attacco ad alzo zero all'Italia rea di non aver fatto diminuire il rapporto debito/prodotto interno lordo da anni stabilmente al di sopra del 130 per cento.

giovedì 9 febbraio 2017

Cosa sta accadendo ai BTP italiani?



Questo post è stato pubblicato l'8 novembre, il giorno della disfida totale tra Hillary Clinton, in arte Billary per il connubio strettissimo con il marito e presidente USA dal 1993 al 2000, e Donald Trump che ha poi vinto anche in Stati di tradizione democratica, riuscendo così a diventare, contro ogni previsione, il 45° presidente degli Stati Uniti d'America. In questo post c'è una previsione sul superamento del rendimento del BTP decennale della soglia psicologica del due per cento, superamento che avverniva nella realtà tre giorni dopo che la previsione è stata effettuata ma è diventata stabile in queste ultime settimane che hanno visto anche lo spread ballare pericolosamente intorno a tale soglia molto psicologica nonostante i ripetuti interventi della BCE, mentre quella sulla molto probabile vittoria di Trump, formulata dentro di me nel mese di agosto è rimasta nella tastiera perché la sola idea mi faceva, e mi fa, troppo male!

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In diverse puntate del Diario della crisi finanziaria ho parlato dei sondaggi molto articolati sui possibili esiti dell'oramai prossimo referendum costituzionale italiano che si terrà il 4 dicembre commissionati dalle più importanti banche globali con sede al di là e al di qua dell'Oceano Atlantico, mentre non so nulla di quello che stanno facendo in materia le più importanti banche asiatiche, anche se credo che si offrano di versare un obolo alla potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs piuttosto che alla J.P. Morgan di Jamie Dimon (la banca che, insieme a Deutsche, è considerata dal Dipartimento di Giustizia a stelle e strisce come la maggiore responsabile della Tempesta Perfetta e, più in particolare, della sua prima fase che va dall'estate del 2007 alla fine del 2009) per avere i risultati dei sondaggi da queste commissionati e che, secondo indiscrezioni di stampa, vedrebbero le possibilità di successo del fronte del No nettamente superiori a quelle del fronte del Sì con una percentuale che non indica l'esito elettorale, ma semplicemente le probabilità che questo sia appannaggio di un fronte piuttosto che dell'altro, successo che si verifica con la prevalenza sul fronte avversario anche per un voto, quindi, per capirci, dal 50 per cento più uno in su.

Questi sondaggi, o almeno le loro versioni di base, furono realizzati prima di tre fattori, a mio avviso fondamentali e che sono: la composizione molto "sociale" della Legge di Bilancio, la recrudescenza del tutto inattesa dei movimenti sismici nella area centrale del nostro Paese e che coinvolge quattro regioni e, ultimo ma non certo per importanza, il nuovo e molto più duro e determinato atteggiamento del Governo italiano nei confronti della Commissione europea, se non nei confronti dell'Unione europea in quanto tale.

Come ho scritto più volte, la mia fiducia nei sondaggi si è definitivamente infranta sullo scoglio delle elezioni europee del maggio 2014, tornata elettorale che frustrò le speranze dei socialisti europei che videro sfumare  quella vittoria che pure era accreditato da tutti i pronostici, ma una incapacità dei sondaggi di fotografare le intenzioni di voto degli italiani rispetto a quell'appuntamento elettorale che fu realmente clamorosa, perché da un sostanziale pareggio intorno al 30 per cento tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, il crudo responso delle urne fu 41 per cento circa al PD e 21 per cento a M5S, un divario di venti punti percentuali che fu determinante nel quasi pareggio tra socialisti e popolari in Europa e che, purtroppo, non indusse alcuno tra i celebri sondaggisti nostrani a cambiare mestiere, né tantomeno tale scelta fecero i giornalisti che su quei numeri costruirono teorie e quant'altro!

E' dal 2007 che ripeto che i miei due fari nella Tempesta Perfetta sono stati George Soros e Warren Buffett, ma la mia guida spirituale è stata senza alcun dubbio il mai troppo compianto John Maynard Keynes, l'unico economista che trasformò i tragici eventi del 1929 e della Grande Depressione in un approccio teorico che, ove applicato correttamente, consente di evitare simili accadimenti e così è stato fino a che un coacervo di irresponsabilità e di avidità all'ennesima potenza ci hanno spinto alla più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra mondiale.

Ma vi è una dura lezione che lo stesso Keynes pagò nel corso della sua vita, quando perse i risparmi suoi e gran parte di quelli della sua famiglia di origine speculando sul cross GBP/Dmark, cioè sterlina contro marco tedesco e lo fece basandosi su astrusi calcoli teorici, per poi scoprire a sue spese di non aver tenuto conto delle aspettative dei soggetti che determinavano quel rapporto di cambio e che gli stessi era individui in carne ed ossa con le loro aspettative più o meno razionali.

Dopo quella "scoperta" guadagnò quello che volle e, nel mio piccolo, ho cercato di seguire questa lezione investendo piccole somme sull'azionario statunitense e poi su un titolo rappresentativo di un indice giapponese e ne uscii molto bene sia sui prezzi che sul cambio, anche se decisi di non riprovarci mai più.

Ma è con questa lezione nella mente e nel cuore che, dopo la notizia di questi sondaggi sul voto italiano prossimo venturo fatti al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico che misi sotto osservazione il BTP italiano, ma non tanto sotto il profilo dello spread, ma sotto quello del rendimento del titolo stesso, e la mia attenzione crebbe quando, dopo gli attacchi della Germania e dei suoi vassalli, si è diffusa un attesa di una non proroga, o di una proroga di soli sei mesi con riduzione dell'importo già dal mese di gennaio di quel Quantitative Easing che forse non sarà stato all'altezza delle aspettative iniziali, ma che ha consentito a tutti i Paesi membri dell'Eurozona grandi risparmi in materia di interessi sul debito pubblico, ma tant'è che da questi due episodi il rendimento del decennale italiano, giunto nei momenti migliori del QE della BCE ad oscillare di poco sulla soglia psicologica dei 100 punti base nei confronti del Bund, lunedì di questa settimana ha cercato di sfondare la soglia dei 170 bp, dopo la quale si va dritti, dritti a testare la soglia dei 200 punti.

La lezione di Keynes afferma che quando ragione e dati fattuali vanno in una direzione e le aspettative più o meno razionali del mercato in un'altra è molto meglio accettare la situazione e prepararsi al peggio!


mercoledì 8 febbraio 2017

Supermario contro Trump e Le Pen!


Quando lo spread BTP-Bund superà la soglia psicologica dei 200 punti base ero in Spagna per una vacanza al mare e discorrevo di questo avvenimento con il portiere di notte dell'albergo, laureato e molto informato, che mi sottolineò la circostanza che, allora come ora, si era allargato anche lo spread tra BTP e Bonos, i titoli decennali spagnoli espressione di una Spagna travolta dallo squarciamento del settore immobiliare e da una crisi delle banche che sarebbero state salvate con la benedizione dell'Unione europea e un'iniezione di fondi pubblici per 100 miliardi di euro, manovra che l'Italia non volle fare né con il governo Berlusconi-Tremonti, né con il governo Monti, né con il Governo Letta, mentre con il governo Renzi è stato fatto un decreto per soli venti miliardi di euro che basteranno a stento per salvare il Monte dei Paschi di Siena, per le due banche venete tecnicamente fallite, per Carige e le banche oggetto del provvedimento di risoluzione, bail in incluso, del novembre 2015.

Alla base dell'impennata dello spread, molti vedono il forte discorso di apertura della campagna elettorale di Marine Le Pen, leader indiscussa di quel Fronte Nazionale che si avvia a vincere a mani basse il primo turno ma che, almeno secondo i sondaggi, perdere nettamente al ballottaggio chiunque sia il vincitore tra i suoi antagonisti, addirittura di 30 punti contro l'indipendente Macron, un discorso in cui Marine ha parlato esplicitamente di uscita dall'Unione europea e, seppure al trentottesimo dei suoi ottantacinque punti del programma, di uscita dall'euro, oltre all'ovvio contrasto dell'immigrazione e di controllo del vasto numero di immigrati già presenti, ma di tutto questo mi sono abbondantemente occupato nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria e mi vedo costretto a tornarci oggi sia per la reazione un po' isterica dei mercati, sia per la ferma risposta venuta nel corso di un'audizione di Mario Draghi, presidente italiano della Banca Centrale Europea, davanti ad una commissione del Parlamento della UE.

Più che quanto ha detto, mi ha stupito che le frasi più incisive le ha pronunciate prima in italiano e poi tradotte nel suo fluente inglese e la frasi erano: l'euro è irrevocabile e questo è quanto dicono i trattati, per poi attaccare il protezionismo di Trump e difendere l'istituzione da lui presieduta dall'accusa di manipolare verso il basso il valore dell'euro contro il dollaro, debolezza attualmente spiegabile con il differenziale di tasso esistente e, ancor più, di quello atteso alla luce delle intenzioni apertamente dichiarate dal presidente del sistema della Riserva Federale, Janet Yellen, che punta a portare il tasso sul rifinanziamento sui Fed Funds tra il 3 e il 3,5 per cento entro il 2018, ma l'attacco più forte è stato sul programma protezionistico di Trump e sulle eventuali reazioni in tal senso dei paesi colpiti dai relativi provvedimenti, dichiarando che tali decisioni possono avere effetti fortemente negativi.


martedì 7 febbraio 2017

Effetto Trump: populisti di tutto il mondo, unitevi!


Se qualcuno vuole avere un'idea del contagio delle posizioni turiste nel mondo, bastava ieri sentire l'apertura della campagna elettorale di Marine Le Pen, quella figlia del fondatore del Fronte Nazionaleche è riuscita da un lato a scippargli il movimento in modo alquanto spregiudicato e, dall'altro a coniare slogan che possono fare presa sugli esclusi dal sistema, quali uscita dall'Unione europea, dall'euro e dalla NATO, ognuna delle quali era scandita da standing ovation lunghissime e che fanno capire che saranno i cardini del suo programma e che hanno una forza evocativa fortissima in quanti vedono i loro guai e la loro esclusione provenire da qualcosa di esterno, meglio ancora se di sovranazionale, ma non abbiate dubbi che il programma della nuova Marianne di Francia, che ama circondarsi di esperti, avrà ricette particolareggiate e radicali anche su scuola, fisco, sanità e che anche su questi argomenti girerà fuori, come altrettanti conigli dal cappello, slogan molto accattivanti frutto di un sofisticato marketing elettorale che parte sempre dal presupposto di dire all'elettore quello che questi vuole sentirsi dire.

Cosa manca alla Le Pen, così come mancava al padre che era universalmente etichettato come fascista,? Manca un'entratura nel mondo della finanza e dell'imprenditoria quali, abbiamo scoperto a cose ahimè fatte, aveva Donald Trump (anche se una foto con i suoi sostenitori nel mondo dell'economia e della finanza pubblicata da un'importante rivista economica avrebbe dovuto metterci in allarme), anche se i suoi più stretti collaboratori stanno lavorando alacremente a colmare questo gap che trova una barriera nel fatto che la classe imprenditoriale francese, pubblica ma anche privata, si forma allo stesso politecnico nazionale e vede come il fumo negli occhi gli slogan del Fronte Nazionale.

Di fronte agli esempi statunitensi, francesi, ma anche austriaci e olandesi, fa quasi simpatia lo scimmiottamento del giovane Salvini che parla di cose che sembra non comprendere appieno e che preleva a pieni bassi dagli arsenali altrui non riuscendo bene ad adattarli alla complessa società italiana, non riuscendogli a livello nazionale quello che a stento riesce a mantenere nel suo classico bacino elettorale che è la Padania, anche se riesce abbastanza bene ad approfittare degli errori altrui nel campo della sinistra e dei primi scricchiolii di quello che finora era stato il monolitico consenso del mondo grillino.

lunedì 6 febbraio 2017

Trump si sdebita con Wall Street!


Alle prime ore di sabato mattina, vedendo la all news della RAI, ho avuto modo di seguire la cerimonia con la quale Donald Trump, davanti ad una tavolata di banchieri capitanati dal numero uno della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, firmava il decreto che da via allo smantellamento del Dodd-Franck Act e un secondo decreto presidenziale che abolisce la cosiddetta Fiduciary rule, la norma voluta da Obama e che doveva andare in vigore ad aprile e che avrebbe imposto ai broker "di operare nell'interesse esclusivo dei propri clienti", cosa che dovrebbe essere addirittura implicita, anche perché fa impressione l'ipotesi contraria e cioè che agiscano contro gli interessi di chi si affida loro.

Come modesto cronista delle vicende della flotta finanziaria nelle tre fasi da cui è cadenzata la Tempesta Perfetta, non mi resta che attendere il tempo in cui si creeranno le condizioni per una nuova e gravissima crisi di liquidità, anche se la sussistenza delle regole di Basilea III, in attesa che veda la luce Basilea IV, pongono dei limiti a quello che Trump può fare e disfare nel suo pur grande e finanziariamente importante Paese.

Quella allegra e ridanciana tavolata di banchieri riuniti nella White House, mi ha ricordato una riunione mesta, con facce da funerale e uscite dalle porte laterali dell'importante albergo newyorkese nel quale un numero più o meno pari di banchieri statunitensi e globali andava a prendersi una pesante ramanzina da Mario Draghi, allora Governatore della Banca d'Italia, ma ancor più responsabile di quel gruppo di lavoro tra esponenti delle banche centrali incaricato di scrivere le nuove regole per quella maionese impazzita che era allora, e ora?, il sistema finanziario statunitense e quello globale.

A fianco di Draghi c'erano Bernspan, al secolo Benjamin Bernanke allora presidente del sistema della Riserva Federale e Hank Paulson, l'uomo che da numero uno indiscusso di Goldman Sachs si era trasferito, nel giugno 2006, armi e bagagli da una poltrona da cento milioni di dollari ad una, quella di Segretario di Stato al Tesoro dove ne prendeva 200 mila ma dalla quale aveva la possibilità di disinnescare quella mina che il direttore finanziario di Goldman aveva previsto insieme ai suoi omologhi della più importante banca globale svizzera, UBS (e avevano, nel 2006 iniziato a vendere il vendibile).

Oggi è la rivincita di quei banchieri e lo è grazie ad un presidente USA che ha condotto la campagna elettorale in favore di quello stesso "forgotten man" che, a vario titolo, le banche hanno stritolato nelle loro capaci spire!

venerdì 3 febbraio 2017

Ma, per carità, non chiamatela manovra!


Il Governo italiano si è preso tutto il tempo concesso dalla procedura e solo nella serata del primo febbraio ha inviato una letterina alla Commissione UE nella quale obbedisce al diktat di Moscovici e indica misure sul versante delle entrate e su quello del taglio delle spese con misure da effettuare entro aprile, data di pubblicazione del Documento di Economia e Finanza, una lettera avara di dettagli e tempistica volta a confermare che l'Italia non avrebbe fatto una manovra aggiuntiva, posizione più volte ribadita dal premier Paolo Gentiloni che ha preteso che la lettera fosse quel capolavoro di vaghezza su tempi e modi incorrendo nelle ire del Commissario francese che era, in uno con i suoi collaboratori, stato quotidianamente ragguagliato su contenuti, tempi e modi della manovra correttiva italiana.

Ieri, intervenendo nell'aula del Senato, Piercarlo Padoan, ministro dell'Economia, si è precipitato a riempire i vuoti della missiva e ha assicurato che i 2,5 miliardi di tagli e i 900 milioni di maggiori entrate (accise, misure di contrasto all'evasione eccetera), blandendo così la Commissione sul fatto che lo 0,2 per cento del prodotto interno lordo di correzione del deficit sarebbe stato conseguito in fretta e senza ulteriori richieste di flessibilità, anche perché, come ha notato lo stesso Padoan, i costi per il nostro Paese derivanti dall'apertura di una procedura di infrazione sarebbero ben superiori ai 3,2 miliardi di euro richiesti da Bruxelles.

Faccio il previsore, non l'indovino, ma ritengo che la soluzione della vicenda sarà non la procedura di infrazione, ma un periodo di osservazione dei conti italiani volto a rassicurare i paesi del blocco tedesco che premono per misure più energiche nei confronti del nostro Paese, una soluzione che non permetterà all'Italia di cantare vittoria, né di offrirne lo scalpo sull'altare di una visione rigorista dell'Unione europea.

* * *

Ho ripubblicato nei giorni scorsi "Why Virginia Raggi is unfit to lead Roma" sull'onda dell'inchiesta giudiziaria che ha visto il sindaco di Roma sotto il torchio dei magistrati per nove ore e raggiunta, via quotidiani on line che rilanciavano un'inchiesta de L'Espresso, da una nuova contestazione su una polizza vita da 30 mila euro che la vede come beneficiaria e accesa dal suo ex braccio sinistro ed ex capo dello staff, Salvatore Romeo. Invito quindi a leggere quella puntata del settembre 2016, quando quanto sta avvenendo non era assolutamente ipotizzabile.

giovedì 2 febbraio 2017

Secondo avviso ai naviganti nella Tempesta Perfetta


L'incapacità dell'indice Dow Jones Industrial di mantenersi stabilmente al di sopra di questa soglia psicologica, potremmo anche dire questa grande resistenza, dei 20 mila punti, così come la difficoltà del prezzo del petrolio di allontanarsi in modo convinto dalla parte bassa dell'area dei 50 dollari al barile, ebbene questi sono due segnali dell'accresciuta incertezza dell'economia internazionale i cui attori principali sono sconcertati dai primi, inquietanti segnali dell'amministrazione Trump, anzi del presidente stesso che ha contrassegnato i suoi primi giorni come inquilino della Casa Bianca inondando l'America di decreti presidenziali che cercano di anticipare molte delle misure che il suo esecutivo dovrà prima o poi sottoporre ad un Congresso che, seppure a salda maggioranza repubblicana, appare sconcertato da un tale modo di procedere che appare chiaramente irrispettoso dei ruoli istituzionale e della distinzione dei poteri tra quello esecutivo e quello legislativo che da sempre contraddistingue gli Stati Uniti d'America.

Chi segue il Diario della crisi finanziaria sa che sono convinto del fatto che esistono, nell'intero mondo occidentale, gigantesche bolle speculative pronte ad esplodere, in particolare nel comparto azionario, mentre sono semi esplose quella immobiliare, quella sui metalli preziosi e quella sulle materie prime energetiche, anche perché, nel caso di questa ultima è tutta da dimostrare l'efficacia del recente accordo tra i paesi OPEC e alcuni importanti paesi estranei a questa potente organizzazione, come la Russia, per non parlare della più che esplosa bolla sui titoli bancari a livello internazionale, ma in modo preponderante con riferimento a quelle italiane dove ben due banche, Unicredit e Monte dei Paschi, hanno dovuto raggruppare massicciamente le azioni per evitare il rischio degli zero virgola.

Non sono assolutamente in grado di prevedere con esattezza quando e in quale misura le bolle speculative gonfie e semiografie esploderanno, ma la mia esperienza mi spinge a ritenere che l'inversione di tendenza sarà molto brusca: naviganti avvisati mezzo salvati!

mercoledì 1 febbraio 2017

Il mondo che Daniele Nouy creò. La Vigilanza BCE e le banche italiane.


Dopo la fortunata  intervista di Fabrizio Fubini a Ignazio Angeloni, numero tre di fatto dell'organismo di Vigilanza delle banche di sistema dell'area dell'euro, il colpo grosso è riuscito a Tonia Mastrobuoni del quotidiano La Repubblica che è riuscita nel difficile intento di far uscire allo scoperto con risposte non reticenti, anche quando le domande vertevano su singoli istituti italiani o tedeschi, il numero uno dello stesso organismo, la francese Daniele Nouy, giunta alla guida della Vigilanza BCE nel giugno del 2014, quando questo Consiglio che ha espropriato le prerogative delle banche centrali nazionali sulle banche più rilevanti per totale dell'attivo in ciascuno dei mercati creditizi nazionali dei diciannove paesi dell'area dell'euro, per l'Italia sono quindici e ho dedicato una puntata del Diario della crisi finanziaria alla loro elencazione e una serie di quattro puntate dedicate a descrivere i mutamenti del sistema italiano derivanti dalla martellante opera di Nouy e compagni, ad iniziare dal numero che a breve sarà ridotto a tredici.

Ma chi è Daniele Nouy e perché parla male di noi? Cresciuta in Banca di Francia, è poi diventata il capo dell'organismo che vigila sulle banche francesi in autonomia dalla banca centrale di quel paese con piglio molto autoritario e decisionista e il suo mandato come capo della Vigilanza Bce è quinquennale e scadrà alla fine del 2018 e dovrebbe essere soggetto, e credo proprio lo sarà, ad un rinnovo di pari durata. Chi ha trattato con lei da solo in una stanza, la descrive come un vero osso duro con cui a poco servono le armi dialettiche e la capacità di persuasione se non coniugati ad una fredda evidenza di numeri e di prospettive ben basate descritte in un piano industriale che non sia il solito libro dei sogni.

Venendo a quello che ci riguarda più da vicino, il problema è presto detto: su 1000 miliardi circa di Non Performing Loans (crediti deteriorati) delle banche dell'eurozona, 360 miliardi fanno capo alle banche italiane e oltre cento miliardi alle sole cinque grandi banche del nostro sistema, oltre 40 miliardi al solo Monte dei Paschi di Siena (43 miliardi per la precisione su poco più di 100 miliardi di impieghi "vivi"), ma rilevanti dotazioni riguardano Unicredit, Banca Intesa-San Paolo, Banco BPM (la fusione di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano e UBI Banca (che sta acquisendo tre good bank delle quattro create nel novembre 2015), così come non sono esenti da questo problema parecchie delle altre banche sorvegliate direttamente e molto da vicino dal Consiglio di Sorveglianza istituito presso la BCE.

Subito dopo l'intervista a Repubblica, è stata inviata una missiva a tutte le banche vigilate che chiedere un piano credibile di rientro dagli NPL's da inviare a Francoforte entro la fine di febbraio e dolori si presentano per Carige ed altre, mentre Unicredit ha provveduto a carico del bilancio 2016 che evidenzia perdite per 11,8 miliardi di euro su dodici miliardi di perdita complessiva derivanti proprio dalla cessione di crediti deteriorati per decine di miliardi di euro e vi è un cenno di soddisfazione per le operazioni programmate e in parte già effettuate da parte di Monte dei Paschi e di Unicredit, mentre frizioni ci sono ancora con Carige, così come soddisfazione è espressa dalla Nouy per l'operato del Fondo Atlante che, oltre al salvataggio delle due disastrate banche venete, si è prodigato per l'acquisizione di una parte rilevante delle sofferenze lorde facenti capo al Monte dei Paschi di Siena.

Ma un'altra apertura da parte della Nouy è venuta sulla necessità di un fondo di garanzia per tutti i paesi dell'eurozona, così come dall'EBA è venuta una proposta di istituire, per lo stesso perimetro geografico una bad bank in grado di farsi carico degli NPL's delle banche dei diciannove paesi, insomma si inizia a capire che senza strumenti sovranazionali da questa crisi delle banche, non solo di quelle italiane, non se ne esce!

Su altri argomenti caldi toccati dalla responsabile della Vigilanza tornerò nei prossimi giorni.

martedì 31 gennaio 2017

La BCE chiede piani sugli NPL's alle banche italiane entro febbraio


Il crollo del titolo di Unicredit di ieri in borsa (-5,5 per cento) ha due ragioni che poi sono la stessa, in quanto il gruppo creditizio globale italiano ha presentato il prospetto per l'aumento di capitale e, insieme, la perdita di esercizio per il 2016 pari a 12 miliardi di euro e interamente dovuta alla maxi operazione di pulizia del bilancio dai Non Performing Loans per svariate decine di miliardi di euro nominali che ha portato ad una perdita nel quarto trimestre per 11,8 miliardi, ma la seconda ragione è data dalla richiesta perentoria della Vigilanza BCE a tutte le banche italiane vigilate di presentare entro febbraio piani per il rientro da un livello di NPL's che la Nouy e i suoi colleghi giudicano evidentemente ancora eccessivi nonostante le numerose operazioni di alleggerimento effettuate in questi ultimi tempi (da quando è operativa la Vigilanza BCE e precisamente dal mese di giugno del 2014, momento in cui si sono fatti difficili e molto agitati i sonni di presidenti e amministratori delegati delle quindici banche vigilate direttamente dall'organismo costituito presso la BCE, fra poco ridotte a tredici per opera delle fusioni avvenute o allo studio: Banco Popolare-Banca Popolare di Milano in Banco BPM e, a breve, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca in Banca delle Venezie).

Il fatto che la missiva della Nouy sia stata indirizzata anche a banche come la Banca Popolare dell'Emilia Romagna o a Banca UBI, che presentano volumi di NPL's ben lontani, sia in valori assoluti che in termini relativi, da quelli del Monte dei Paschi, pre operazione di azzeramento effettuata in sede di aumento di capitale ora garantito dallo Stato, o di Unicredit, e analoga richiesta è stata presentata anche all'iper patrimonializzata Banca Intesa e alle altre banche sorvegliate, segno che la Nouy sta pensando ad una soluzione finale che, in un certo lasso di tempo, dovrebbe portare il livello delle sofferenze lorde, se non proprio quello dei crediti incagliati - gli NPL's appunto - al livello della media degli altri diciotto paesi dell'Eurozona, sistema Italia, ovviamente e accuratamente, escluso.

Se qualcuno nutrisse dei dubbi in tal senso, basterebbe la lettura di una delle rare interviste concesse dal mastino dei conti delle banche dell'area dell'euro, quelle ovviamente di maggiori dimensioni, Daniele Nouy appunto a Sonia Mastrobuoni de La Repubblica, un'intervista lunghissima nella quale dice tutto quello che lei e i suoi colleghi faranno non nei prossimi anni ma nei prossimi mesi e la missiva ultimativa rivolta alle quattordici banche italiane ne è un esempio altamente esplicativo.

Ho pubblicato sul mio profilo Facebook la versione integrale dell'intervista, ma tornerò a breve sull'argomento, in particolare sul diverso trattamento riservato a Deutsche Bank e all'intero sistema bancario tedesco rispetto a quello adottato sin dall'inizio alle banche italiane e ricordo che solo Unicredit e Bnaca carine hanno ammesso di aver ricevuto la letterina spedita direttamente dal venticinquesimo piano del grattacielo di Francoforte che ospita la sede centrale della Banca Centrale Europea.

lunedì 30 gennaio 2017

Le conseguenze economiche di Donald Trump


Quando ho come tutti ascoltato le boutade di Donald Trump nel corso della lunghissima e alquanto sanguinosa campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, ho pensato che buona parte di quelle affermazioni si sarebbero dissolte quando, come purtroppo avevo previsto qualche mese prima dell'epilogo, il nostro sarebbe approdato alla Casa Bianca e si sarebbe dovuto misurare con gli effetti delle misure da lui propugnate a voce alta nei comizi, situazioni in cui andava alla grande a differenza di quanto è avvenuto nei tre confronti diretti che hanno visto, seppur di diversa misura prevalere Billary Clinton, cosa che era avvenuta anche nei confronti con gli altri candidati repubblicani alla nomination.

Vorrei tentare di spiegare il motivo principale che ha determinato la vittoria in tre stati chiave, tradizionalmente democratici e iper sindacalizzati, ma che, a causa della globalizzazione, hanno visto chiudere numerosi stabilimenti con la conseguente perdita di posti di lavoro ben retribuiti sostituiti, nel corso dell'era Obama, da posti precari e mal retribuiti, un duro colpo alla classe media che si è assottigliata in favore del lumpenproletariat arrabbiato con Washington e tutto quello che gli grava attorno e che vedeva in Billay (unione dei due nomi di Bill e Hillary) una delle protagoniste della deregolamentazione, della finanziarizzazione e della delocalizzazione di parte di quell'industria automobilistica americana che ha visto nei bassi salari messicani una scorciatoia per uscire da una crisi che avevano evitato soltanto grazie ai forti aiuti statali dell'era Obama, una crisi per uscire dalla quale non bastavano le forti concessioni fatte dall'onnipotente sindacato del settore, concessioni che non consentivano comunque alle tre Big dell'auto a restare competitive nel mercato statunitense e in quello globale.

Fatta questa premessa, devo dire che mi ero sbagliato sulla moderazione insita nella carica, perché Donald è sembrato sin da subito la cerimonia di inaugurazione del quadriennio alla Casa Bianca come un toro davanti al quale qualcuno dei suoi collaboratori sventola un drappo rosso, ragione per la quale ha immediatamente emanato un decreto presidenziale per l'edificazione del muro con il Messico con annesse ritorsioni nei confronti delle merci di quel paese che verosimilmente verranno gravate di un 20 per cento di dazi, cosa che colpirà più di tutte le migliaia di aziende statunitensi insediatesi in quel grande e popoloso paese che, ad una amplissima presenza di regolari affianca irregolari stimati in undici milioni di persone e per le quali ultime si prepara una dura stagione di rimpatri (anche questa presenza, come quella di tutti gli irregolari, è vista come il fumo negli occhi dalla aristocrazia operai a stelle e strisce e dal sottoproletariato di quel grande e potente paese).

Ma di decreti Donald ne ha scritti tanti e tanti ne ha nella sua inesauribile penna e riguardano i diritti civili, il sostegno all'industria petrolifera e delle altre materie prime energetiche, l'uscita dal non ancora avviato TTIP, la prossima impugnazione del NAFTA, del libero scambio con i paesi dell'Asia e dei trattati con l'Unione europea (anche in questi casi è previsto un effetto boomerang pazzesco per le imprese americane stabilitisi in queste aree del mondo) e per tutti si parla di una misura di dazio del 20 per cento, misura che, se approvata, verrà praticata contro le merci USA dai paesi colpiti, per non parlare delle ritorsioni sul piano finanziario con i 2.500 miliardi di dollari in TBonds posseduti dai soli Cina e Giappone.

Dal punto di vista macroeconomico, la politica economica di Trump prevede gravi fiscali concentrati sulle imprese e una politica di lavori pubblici che unite insieme porteranno un forte incremento sia del deficit federale che del debito su cui già incombono le possibili ritorsioni di Cina e Giappone di cui parlavo di sopra, mentre non è chiaro quello che accadrà nell'area mediorientale, con particolare riferimento all'Arabia Saudita e ai paesi del Golfo.

Tornerò su questo argomento in seguito ma segnalo la precedente puntata sulla prossima abolizione della Dodd-Franck Act per gli effetti devastanti sulla stabilità e la sicurezza del sistema finanziario a stelle e strisce e di quello globale! 

venerdì 27 gennaio 2017

Gli USA e la terza ondata della Tempesta Perfetta


Solo l'insediamento in mondovisione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, e i primi atti della sua amministrazione che fanno capire che quelle pronunciate in campagna elettorale non erano assolutamente promesse da marinaio hanno consentito all'indice Dow Jones Industrial, dopo una melina durata settimane in cui l'indice non schiattava e non moriva, di superare quella soglia psicologica e record storico dei 20 mila punti e le cronache dicono che in questo balzo un ruolo determinante lo hanno avuto quelle banche a stelle e strisce, ma anche le banche globali con sede in altri paesi che negli USA operano e alla grande, forti della promessa di Donald di eliminare quella normativa vincolistica (il Dudd-franck Act) fortemente voluta da Barack Obama e che era stata ideata per evitare un ripetersi del disastro della finanza più o meno strutturata messa clamorosamente in luce, a partire dall'agosto del 2007, dalla prima e rovinosa ondata della Tempesta Perfetta.

Pur essendo imperfetto e non andando alla radice del problema, il provvedimento citato imponeva un tetto sull'utilizzo dei depositi alle ex Investment Banks per operare nella finanza, anche perché nessuno sa quanto e se sia stato abolito l'andazzo di impacchettare parti dell'attivo, in particolare mutui residenziali e non, prestiti, carte di credito revolving e prestiti personali, proprio quelle voci che giocarono, a partire dal mutui subprime, un ruolo fondamentale nelle vicende che portarono tra il 2007 e il 2010 le banche di investimento statunitensi, e quelle commerciali, sull'orlo del fallimento, dal quale vennero salvate solo grazie alla trasformazione delle sedi regionali del sistema della Riserva Federale in ampie discariche dei titoli della finanza strutturata, un giochetto che costò migliaia di miliardi di dollari dei contribuenti e che negli ultimi anni ha recuperato un centinaio di miliardi attraverso multe pagate da banche a stelle e strisce, società di rating e banche globali operanti negli USA.

Ai più distratti tra i miei lettori, vorrei ricordare come funzionava il meccanismo che ha portato al collasso e quasi alla bancarotta il sistema finanziario statunitense durante la prima fase della Tempesta Perfetta, un meccanismo che vedeva delle società finanziarie mettere insieme forsennatamente titolo rappresentativi di pacchetti di mutui spesso spazzatura e altre attività e, ottenuta la Tripla A dalle compiacenti e multate società di rating (Moody's ha accettato di pagare poco meno di un miliardo di dollari, mentre per Standard and Poor's si è ancora in attesa dell'accordo), titoli che venivano venduti alle banche con una clausola che avrebbe previsto il riacquisto da parte delle finanziarie in presenza di una percentuale di default bassissima, riacquisto che non riavente perché in una sola settimana chiesero la protezione tutte o quasi queste finanziarie, lasciando il cerino (parliamo di migliaia se non di decine di migliaia di miliardi di dollari) nelle mani di banche che erano a quel punto tecnicamente fallite!

E' questo quello che venne definito il casinò a cielo aperto della finanza e questa definizione la pastori l'allora presidente della Repubblica francese, Nicholas Sarkozy, di fronte ad una abbacchiatissima, Angela Merkel, ma non è la sede questa per parlare dei comportamenti dei leader mondiali e dei banchieri centrali dell'epoca, se non per dire che è in questa fase che Mario Draghi conquistò sul campo i galloni di Presidente della Banca Centrale Europea.

giovedì 26 gennaio 2017

Why Virginia Raggi is unfit to lead Rome


Ho scritto questa puntata del Diario della crisi finanziaria il 6 settembre dello scorso anno e ora che ci si avvicina al processo per falso ideologico e abuso di ufficio della sindaca, in uno con il suo ex braccio destro e sinistro Raffaele Marra le cose che scrivevo si stanno chiarendo ancora di più e, quindi, ripropongo ai lettori quelle considerazioni scritte a caldo.

° ° °

In oltre mille puntate del Diario della crisi finanziaria non mi sono mai occupato delle vicende dei partiti e movimenti politici italiani, anzi nei primi sei anni di vita del blog mi sono occupato pochissimo di vicende italiane ed europee, in quanto l'epicentro della tempesta perfetta era negli Stati Uniti d'America e alcune mie previsioni come quella sul fallimento di Lehman Brothers mi procurarono un pubblico statunitense che ancora oggi rappresenta oltre il 60 per cento delle persone che quotidianamente leggono il Diario, il che è molto interessante visto che lo stesso è scritto, ad eccezione di una puntata e del titolo di questa che riprende un famoso titolo con cui l'Economist  bollò l'incapacità di Silvio Berlusconi a guidare il nostro Paese, in italiano.

Dal giorno del ballottaggio delle recenti elezioni amministrative, sono stato pochissimo in Italia, ma ho seguito con grande attenzione le mosse delle due candidate a cinque stelle elette alla guida di due comuni molto importanti, Roma e Torino, due città che avevano vissuto due competizioni elettorali molto diverse tra loro, perché mentre a Roma, a parte il buon recupero di Giachetti rispetto ai disastri del PD romano, le divisioni interne alla destra sembravano spianare la strada quasi a chiunque il movimento di Grillo avesse presentato (e così puntualmente è stato, quasi come diceva un mio amico cambista, si trattasse di un calcio di rigore tirato a porta vuota), a Torino Chiara Appendino è andata a vincere contro tutti i pronostici che vedevano favorito, e in testa al primo turno, Piero Fassino, l'incumbent come dicono gli americani, nonché presidente della potente associazione dei comuni italiani, carica che peraltro ancora ricopre per motivi legati allo statuto dell'associazione.

Già nel corso della non troppo vivace campagna elettorale, mi aveva molto colpito la decisione della Raggi di non annunciare in anticipo la sua squadra di governo della città, cosa fatta dal suo principale competitor, Roberto Giachetti, che ne annunciò la composizione all'indomani del primo turno e che non lo aveva fatto ancora prima in quanto nei sondaggi non era dato neanche al ballottaggio, ma la squadra della neosindaca non  comparve neanche all'indomani del voto, mentre fu chiara da subito la struttura del cerchio magico della Raggi, una struttura non proprio interna al movimento cinque stelle ma formata da persone che almeno in un caso avevano un passato legato alle precedenti amministrazioni della Città quando la stessa, come nel caso dell'attuale vice capo di gabinetto, Marra, era guidata da Gianni Alemanno, un uomo politico di centro destra poi finito nelle indagini su Mafia Capitale.

I motivi del ritardo furono subito chiari, in quanto la neosindaca fu subito affiancata da quello che venne definito un mini direttorio composto da esponenti di primo piano dei pentastellati romani, tra cui spiccava per grinta e piglio decisionistico Giovanna Lombardi, la prima capogruppo alla Camera che verrà ricordata per l'umiliazione inferta a Pierluigi Bersani quando quest'ultimo cercava di ottenere i voti del movimento per formare un Governo dopo la non vittoria alle lezioni del febbraio 2013. Nel braccio di ferro tra un'ostinatissima Raggi e il mini direttorio a uscirne con le ossa rotte fu la Lombardi che lasciò il mini direttorio per organizzare la festa nazionale dei cinque stelle (sic), ma anche la Raggi pagò il suo prezzo  e dovette accettare un super assessore al Bilancio con delega alle partecipate, Minenna, e un capo di gabinetto, Raineri, magistrato di lungo corso che già aveva collaborato, come lo stesso Minenna, con un cerbero come il commissario Tronca, ottenendo però che il resto della squadra fosse composta dai suoi fedelissimi, dalla Muraro e da altre persone di suo gradimento.

Dei comportamenti con i quali ha spinto alle dimissioni le persone che Di Maio ed altri le avevano imposto sono state piene per giorni le cronache dei quotidiani, ma è nella sostituzione dell'assessore al bilancio, stavolta senza delega alle partecipate, che la Raggi dà il meglio di sé  rivolgendosi al suo ex datore di lavoro, l'avv. Sammarco, che, come confessa candidamente il neoassessore De Dominicis, persona sicuramente specchiata e perbene, è quello che gli ha offerto l'incarico e che lo ha convinto ad accettare, una circostanza che si intreccia con le amnesie del curriculum di Virginia sui suoi trascorsi professionali negli studi Previti prima e Sammarco poi.

Sulla vicenda di un altro assessore vicinissimo alla sindaca, Paola Muraro, e sulle astuzie da azzeccagarbugli della sindaca nel giustificare il perché non avessero reso noto che la Muraro era indagata stendo un velo pietoso se non per dire che nella visione anglosassone tali comportamenti rendono impossibile proseguire in ruoli pubblici.

mercoledì 25 gennaio 2017

Ops, ops: Intesa muove sulle Generali


Ho pensato molto se mettere un punto interrogativo al titolo, ma poi ho visto la serenità di titoli e contenuti sull'argomento da parte dei colleghi della carta stampata e degli altri media e, soprattutto, la tempestiva convocazione dei vertici di Intesa-San Paolo da parte della CONSOB, atto dovuto dopo due giorni di rally del titolo del Leone in borsa, movimenti assolutamente inusuali per il titolo della storica compagnia di assicurazioni che occupa il primo posto nella graduatoria italiana del settore, ma è superata nel ramo vita proprio dalla intensa attività di bancassicurazione della prima banca italiana che punterebbe a raggiungere quasi 800 miliardi nel comparto del risparmio gestito, mentre quello che non mi è chiaro è il motivo della convocazione da parte della stessa CONSOB dei vertici di Unicredit.

Ho descritto in più di una puntata del Diario della crisi finanziaria il "vero" assetto di vertice della banca che nasce dalla Ca de Sass, la storica Cariplo, unita all'inizio del risiko bancario a quel nucleo di banche che ereditarono le spoglie del Banco Ambrosiano, una di queste in particolare, il Banco di Brescia, guidata con mano ferma dal campione della finanza cattolica, l'avvocato Giovanni Bazoli. che di Intesa diverrà presidente e che ora ne è presidente onorario ma che, insieme a Giuseppe Guzzetti, patron della Fondazione Cariplo nonché presidente dell'ACRI, è nume tutelare della banca, oltre che secondo alfiere di quella finanza cattolica che ha prima conquistato la Banca Commerciale Italiana per poi, a differenza di quanto accadde con l'altrettanta presa, il San Paolo di Torino, non trovò spazio nel nome, né spazio nell'azionariato di comando del gruppo, come è invece accaduto per la Compagnia di San Paolo!

Ebbene, con buona pace di quel Carlo Messina cui ho visto muovere i primi passi nella Direzione finanza di un'importante banca italiana nella quale ricoprivo il ruolo di economista della sala cambi, sono questi due personaggi un po' avanti nell'età a menare le danze sulla storica compagnia di Trieste che ha come primo azionista Mediobanca e che insieme rappresentano uno dei pochi bastioni di quella finanza laica che per decenni ha visto come indiscusso regista del capitalismo delle famiglie lo scomparso Enrico Cuccia, un uomo che sino alla fine continuò a dettare legge in quella Mediobanca che il capo altrettanto indiscusso della Banca Commerciale Italiana, Raffaele Mattioli, gli consegnò pur di non averlo tra i piedi nella sua banca faticosamente risanata dopo la crisi bancaria degli anni Trenta.

Come andrà a finire è difficile da dirsi, in particolare perché gli interessi in gioco a livello europeo sono davvero enormi e qualcuno potrebbe essere tentato di contrapporre alla offerta pubblico di scambio, carta contro carta, di mettere sul piatto tanti soldi per mettere le ami su quello che forse è il pezzo più pregiato della finanza italiana. Quello che è certo è che la partita avrà tempi relativamente brevi.

martedì 24 gennaio 2017

Cala un silenzio di tomba attorno al Monte dei Paschi


Da quando il Consiglio di Vigilanza presso la Banca Centrale Europea ha inviato al ministro dell'Economia italiano, Piercarlo Padoan, una lettera, come ha notato il molto irritato nostro ministro, di cinque righe cinque nella quale si alza l'asticella dell'aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena da 5 a 8,8 miliardi e il di cui del Tesoro a 6,6 miliardi, ebbene da quel momento è calato un silenzio di tomba attorno alla banca più antica del mondo, con Marco Morelli che non parla più neanche con se stesso, terrorizzato dall'idea che trapeli qualche aspetto del piano industriale della banca senese che ha promesso a Madame Nouy, al suo prossimo socio di maggioranza assoluta Padoan e al mercato, inclusi quegli investitori istituzionali costretti a convertire in azioni a sconto le obbligazioni subordinate che possiedono per oltre due miliardi di euro.

In questo momento a pendere dalle labbra di Morelli c'è una piccola folla di ispettori della Vigilanza europea, suddivisa in un'ampia squadra presente lì da alcuni mesi e che si occupa dei conti, mentre una seconda e più qualificata è arrivata ieri e andrà via, se tutto va bene, venerdì prossimo e che ha obbiettivi meno specifici e tenterà di inviare a Francoforte notizie di prima mano sul piano di Morelli che non sembra intenzionato a scucire una sola parola, mentre qualcosa di più sta dicendo alla squadra di inviati di Padoan che, alla fine dei giochi sarà titolare di una quota azionaria, seppure a termine, del 60-70 per cento delle azioni della banca di Rocca Salimbeni e che, soprattutto è coautore di quel rafforzamento del Fondo esuberi del settore del credito che, come vedremo, giocherà un ruolo esiziale nella soluzione del rebus dei conti del Monte dei Paschi di Siena che già oggi, in base ai precedenti piani industriali, lo impegna per oltre 4 mila lavoratrici e lavoratori in uscita da ora al 2020.

Per esperienza diretta, so che un piano industriale si costruisce in due modi, il primo più democratico consiste nell'individuare delle linee guida e raccogliere le indicazioni delle principali direzioni/divisioni che compongono la sede centrale della banca, mentre il secondo, quello che, almeno secondo me, sta seguendo l'amministratore delegato e direttore generale Morelli, è quello di fare un piano industriale più snello e che si concentra su poche variabili strategiche del conto economico e dello stato patrimoniale prospettici che è poi quello che ha fatto in settembre il Chief Executive Officer di BNP Paribas, Bonafé, sottoponendo al Premier italiano e allo stesso Padoan i suoi desiderata, in particolare quel taglio di 10 mila dipendenti del Monte sui 25.600 presenti in organico a quel momento, ovviamente si trattava di 6 mila dipendenti in più rispetto ai piani già approvati e all'ultima trattativa svoltasi successivamente a quel poco fortunato e scarsamente reclamizzato abboccamento.

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Con una classica mossa anti scalata, quella definita dell'arrocco, le Generali hanno acquistato i diritti di voto del 3,1 per cento di azioni di Banca Intesa-San Paolo che si stava muovendo, in sintonia con il colosso assicurativo tedesco Allianz, per scalare il grande gruppo assicurativo italiano che capitalizza meno di un terzo della concorrente tedesca. Anche su questo capitolo ne vedremo delle belle!

lunedì 23 gennaio 2017

Il blocco tedesco all'assalto di Mario Draghi


E' di questi giorni la notizia che una sconosciuta organizzazione non governativa finlandese si è rivolta all'Ombusdman istituito presso l'Unione europea, attualmente retto da una donna irlandese, Emily O'Reilly, per muovere l'accusa di conflitto di interessi a carico del Presidente della Banca Centrale Europea, l'italiano Mario Draghi, per la sua frequentazione, due volte l'anno, dei lavori del Gruppo dei Trenta, un organismo istituito nel 1978 su input della Fondazione Rockefeller e che raccoglie banchieri ed ex banchieri centrali di tutto il mondo, economisti, finanzieri ecc., insomma uno di quegli organismi come la Trilaterale (anche essa istituita su impulso della potente famiglia Rockefeller), il Gruppo Bildberg e compagnia cantante che si riuniscono, a porte più o meno chiuse e con cadenze le più varie ma generalmente annuali, per discutere dei destini del nostro alquanto martoriato pianeta.

L'incaricata irlandese ha comunque avviato l'indagine su Draghi e alcuni alti funzionari della BCE, sollecitando una risposta scritta degli indagati, apparentemente immemore del fatto che il suo predecessore aveva già archiviato, nel 2012, un'analoga denuncia del medesimo ricorrente, il Corporate Europe Observatory, e l'archiviazione era giunta perché, come è possibile constatare leggendo l'elenco dei membri su Wikipedia, "Il Mediatore ha rilevato che gli appartenenti, i finanziamenti e gli obiettivi del Gruppo dei Trenta sono troppo diversificati perché possa esse considerato come un gruppo di interesse", giudicando l'adesione del Presidente della BCE a questo organismo compatibile con il suo ruolo.

Se l'obiettivo del CEO era quello di far saltare i nervi di Supermario già sotto attacco da parte del blocco tedesco, ispirato e guidato dal Presidente della Buba e dal ministro tedesco delle Finanze tedesco, nell'ambito della BCE, ebbene è un tentativo vano - e basta leggere la nota di replica proveniente dall'Eurotower per avere una idea della tranquillità che regna sovrana su questo fronte a Francoforte, ma anche perché, a mio modesto avviso, Draghi è abituato a reggere pressioni di intensità molto superiore e gode di una ampia maggioranza favorevole alla sua politica monetaria, una maggioranza molto trasversale, anche perché, in questa fase molto critica della vita dell'Unione, gli acquisti generosi dei rispettivi titoli di stato e la politica dei tassi a zero stanno iniziando a fa riavviare la crescita e, almeno in dicembre, si è registrato un vero e proprio balzo in avanti dell'inflazione.

sabato 21 gennaio 2017

L'amara lezione della Tempesta Perfetta (seconda parte)


Esaurita la parte che riguarda quelle che alcuni economisti hanno definito asimmetrie strutturali, in buona parte legate alla non individuazione di un sistema monetario internazionale basato su ancoraggi relativamente certi, quali regole per fare sì che sia scoraggiato sia avere un disavanzo nelle partite correnti strutturalmente in deficit, sia avere per lunghi o lunghissimi periodi una situazione opposta, il tutto ampliato da un mercato dei cambi non trasparente né governato da regole certe.

Veniamo allora al secondo aspetto, in realtà si tratta di due, che costituì, insieme al primo, il cuore della mia premessa sulle vere cause dell'insorgere della Tempesta Perfetta nella seconda metà del 2007 contenuta nel mio già citato intervento al Convegno organizzato dalla UIL, ed è rappresentato da quel profondo e a tratti violento processo di deregolamentazione che toccò profondamente quel coacervo di soggetti ed entità che, con una semplificazione molto giornalistica, definiamo mercato finanziario, sia a livello nazionale che a quello globale, un processo iniziato esattamente a metà degli anni Settanta, ma che vide il suo clou proprio dieci anni dopo quando si verificò il cosiddetto Big Bang della finanza statunitense che, grazie all'incipiente globalizzazione, si trasmise ai mercati finanziari di tutto il pianeta, anche se, per fortuna, rimasero alcuni e provvidenziali paletti nel mercato finanziario europeo.

Per onestà intellettuale, devo dire che la barriera che separava, dall'introduzione del più famoso provvedimento legislativo in materia di credito e finanza che, in un passato oramai remoto, cercò di trarre insegnamento dalla lezione del crollo di Wall Street nell'ottobre del 1929, non rappresentò una diga granitica tra le attività delle banche d'investimento e quelle delle banche commerciali negli Stati Uniti d'America, anche perché troppe furono le influenze e le pressioni sul legislatore esercitate dal potentissimo mondo della finanza che, seppur ammaccato dal grande crollo e dalla conseguente grande depressione, riuscì ad impedire che la delimitazione fosse improntata a quello, che a loro dire, sarebbe stato un approccio manicheo.

E' tuttavia certo che le possibilità di azione delle Commercial Banks dopo il Big Bank crebbero a dismisura, anche se restavano quelle "fastidiose" regole di separatezza che le costrinsero a costituire specifiche Divisioni abilitate ad operare sui mercati finanziari, le cosiddette CIB,  che avrebbero dovuto operare con un ampio margine di autonomia rispetto alla banca di cui pur facevano parte, qualcosa che ricorda un po' l'istituto del Blind Trust cui devono ricorrere coloro che si trovano a ricoprire alcune importanti cariche pubbliche per allontanare da sé ogni ombra di possibile conflitto di interessi.

Non voglio guastare la sorpresa al lettore, ma mi corre l'obbligo di dire che questa deregolamentazione, che qualcuno, e io con lui o lei, ha definito selvaggia, non ha assolutamente impedito che le due parti costitutive delle banche di ogni ordine e dimensione dialogassero fittamente tra di loro e che gli stessi fenomeni della finanziarizzazione e della cartolarizzazione di tutto il csrtolsrizzabile non si sarebbero mai verificati se gli uomini e le donne preposti alle attività di Corporate and Investment Banking non avessero avuto una conoscenza approfondita dell'attivo della banca che li ospitava.

Così come, almeno con un certo grado di approssimazione, è vero anche l'inverso, con l'importante osservazione che comunque persiste un'asimmetria informativa dovuta la fatto che, quando un pacchetto di mutui residenziali o di crediti al consumo, piuttosto che quelli legati all'acquisto dell'automobile finiva nelle mani dell'apprendista stregone di turno operante nelle grandi fabbriche prodotto delle CIB, solo lui e Dio sapevano che cosa avrebbe "montato" in un prodotto più o meno sofisticato che quasi invariabilmente avrebbe ottenuto il massimo rating possibile, quella tripla A indispensabile perché potesse essere acquistato anche dai Fondi Pensione e da tutti quegli altri soggetti che hanno nei loro statuti una limitazione similare, ma qui entriamo in un capitolo molto delicato e riguardante lo strano modus operandi delle agenzie di rating, una delle quali, Standard and Poor's ha già pagato una multa molto salata, mentre un'altra, Moody's, è in trepidante attesa che il Dipartimento della Giustizia a stelle e strisce decida l'entità della sanzione che la riguarda, ma di tutto questo mi occuperò nelle puntate successive.

Tutto questo non accadde la mattina dopo il Big Bang ed è possibile dire che ci vollero mesi, se non addirittura anni, perché la macchina fosse oliata a dovere e in grado di funzionare, anche se è certo che, nei venti anni che trascorrono dal 1985 alla fine del 2005 (già nel 2006 accaddero delle cose molto interessanti, in particolare nella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e nella molto globale banca svizzera denominata UBS, quella che nel pieno della crisi finanziaria lanciò la sfortunata campagna pubblicitaria che recitava una specie di nuovo logo che diceva UBS YOU and US), il meccanismo iniziò ad andare a tutto regime, anche grazie agli innesti nelle CIB delle grandi banche commerciali statunitensi, e non solo, di un vero e proprio esercito di persone provenienti dalle Investment Banks, quelle Big Five statunitensi che, grazie alle riforme successive allo scoppio della Tempesta Perfetta furono costrette a cambiare pelle, a fronte di molto lauti stipendi che queste persone cercarono di meritare spingendo con forza sull'acceleratore, incuranti dei rischi a cui la CIB e la banca detentrice della stessa andavano incontro.

Ma qui è necessario introdurre almeno tre nuovi elementi, cosa che farò nella prossima puntata di questa serie, mentre avverto i lettori che le puntate di questa serie verranno pubblicate, d'ora in poi, il sabato e resteranno in testa al blog fino al lunedì successivo compreso, così come colgo l'occasione per ringraziarli per il successo che questa serie sta avendo. (continua)

venerdì 20 gennaio 2017

L'amara lezione della Tempesta Perfetta (prima parte)


Ho comunicato nei giorni scorsi ai lettori del Diario della crisi finanziaria che non proseguiranno le pubblicazioni delle altre parti de "L'amara lezione della Tempesta Perfetta", in quanto le due pubblicate sul blog e le successive andranno a finire in un libro che cercherà di far comprendere quali sono i riferimenti pratici e quelli teorici che hanno ispirato sin dall'autunno del 2007 la redazione di questo libro di bordo della flotta delle varie entità finanziarie più o meno globali sommerse dagli alti marosi della Tempesta Perfetta che da allora si è manifestata sino ai giorni nostri.

E' per me un piacere ripubblicare oggi la puntata del 23 ottobre e domani quella del 29 dello stesso mese di quest'anno di disgrazia 2016. Buona lettura a tutte e a tutti!

* * *

Stiano tranquilli i miei lettori perché non ho intenzione di partire da Adamo ed Eva e dal loro paradiso perduto, anche se, a volerla cercare, un'attinenza con quanto è accaduto sui mercati finanziari in questi nove anni e quasi tre mesi, la si potrebbe pure trovare, ma io vorrei partire da quelli che erano i capisaldi della mia relazione svolta nell'ambito di una conferenza sulla crisi finanziaria e le sue ricadute sociali che ha avuto luogo al Residence Ripetta di Roma nel marzo del 2008, a presidente Barack Obama da pochissimi mesi insediato alla Casa Bianca, e mentre gli alfieri statunitensi del liberismo neoconservatore battevano rovinosamente in ritirata e lo stesso presidente della Federal Reserve Bernspan, al secolo Benjamin Bernanke, rotti i rapporti con quel mondo repubblicano che ne aveva fatto un'icona e con il potentissimo e da poco ex Segretario di Stato al Tesoro, Hank Paulson (che era giunto nel giugno 2006 a quel prestigioso ma ben poco remunerato incarico dritto dritto dalla posizione di Chairman e Chief Executive Officer della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, un uomo in missione speciale, volta a salvare la "sua" e possibilmente anche le altre banche globali dal disastro che esse stesse avevano contribuito a determinare e che aveva rinunciato per questo a prebende annuali oscillanti intorno ai 100 milioni di dollari in cambio di 200 mila dollari circa), si era trasformato di nuovo e in un battibaleno in quel keynesiano convinto che era stato  quando ancora passeggiava con i suoi studenti del corso sulle crisi finanziarie a Princeton.

Da quel 19 marzo del 2008,  sono trascorsi più o meno otto anni, gli stessi del doppio mandato di un Obama che per la sua intelligente gestione degli effetti della crisi finanziaria passerà alla Storia (e avrebbe meritato un Nobel per l'Economia molto più di quanto abbia meritato, a inizio del primo mandato, quello per la Pace), ed  erano trascorsi appena sette mesi da quel 9 agosto del 2007, giorno nel quale venne drammaticamente alla luce quella verità di cui gli addetti ai lavori parlavano da qualche tempo e, cioè, che le banche di ogni ordine e dimensione dell'intero pianeta avevano smesso di fidarsi l'una dell'altra.

Il che in soldoni, vuol dire semplicemente che avevano smesso di prestarsi denaro l'un l'altra, una situazione mai verificatasi in quella misura e con quelle modalità dalla fine del secondo conflitto mondiale e che costrinse le banche centrali dei principali paesi industrializzati a fare da filtro tra le banche da loro stesse sorvegliate, nonché a inondare letteralmente i mercati interbancari dell'intero orbe terraqueo di liquidità in dimensioni nettamente superiori a quanto era accaduto dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 e, limitatamente agli Stati Uniti d'America, di molto superiori alle iniezioni di liquidità effettuate in occasione del crollo verticale dei listini azionari a Wall Street, con particolare riferimento ai titoli tecnologici quotati in quel NASDAQ che crollò in poche sedute, nei primissimi anni Duemila, dai 5 mila punti ai 2.500 da cui era partito molti anni prima.

Nessuno conosce realmente la tempistica e le giravolte rispetto alle strategie annunciate che caratterizzano le scelte di investimento di George Soros, il multimiliardario nato in Ungheria nel 1930  in una famiglia di religione ebraica con il vero nome di Gyorgy Schwartz e giunto negli anni dell'immediato dopoguerra prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti d'America, esule volontario dal proprio Paese e poi naturalizzato americano, ma, stando alle sue più recenti dichiarazioni, la sua principale scommessa, dopo quelle vinte il 16 settembre 1992 (meglio noto come Martedì Nero) contro la lira italiana e la sterlina britannica, è quella di puntare ad un crollo dello Standard and Poor's 500, forse l'indice meno soggetto a brusche variazioni tra quelli esistenti all over the world, ed io da allora tengo d'occhio quotidianamente questo benedetto indice e vedo solo che ha smesso di crescere, ma di cadute verticali che potrebbe far guadagnare una delle mie due stelle polari nella Tempesta Perfetta (l'altra è rappresentato dal Leone di Omaha, al secolo Warren Buffett) nemmeno l'ombra, anche se aspetterei il periodo a cavallo delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 8 novembre per valutare se ha visto giusto o meno!

Come dicevo sopra, sono trascorsi otto anni circa prima che rileggessi per la prima volta le quattordici pagine della mia relazione a quel convegno e questo è accaduto nei giorni scorsi, anche se, nei giorni immediatamente successivi all'intervento, avevo visto il video che credo sia ancora disponibile in rete sul sito della FLIP, realizzato da un operatore free lance della FLIP stessa che si era offerto gratuitamente di riprendere il mio intervento, mentre non fece altrettanto per gli altri e molto più famosi relatori forse per solidarietà tra free lance, e lo feci, mancando allora il volumetto stampato che uscì solo qualche tempo più tardi, per capire meglio che cosa avessi detto in un intervento durato una ventina di minuti e svolto completamente a braccio (il testo ora è presente in  "Finanziarizzazione dell'economia e crisi dei mercati: quali ricadute sociali?" edito dalla UIL e che riporta, oltre al mio, anche gli interventi del professori Luigi Spaventa, Paolo Leon ed Elsa Fornero), anche perché avevo sperimentato più volte lo stesso fenomeno quando tenevo le relazioni  settimanali sulle previsioni sui cambi e i tassi di interesse nella Divisione finanza della mia banca.

Ebbene, rileggendo il testo, ho scoperto che ero partito da una visione critica della famosissima conferenza di Bretton Woods del 1944, nella quale, dopo uno scontro epocale vinse il ministro del Tesoro USA White (le cui simpatie per la Germania nazista vennero a galla solo alcuni anni dopo e quando Keynes era ormai morto) e fu sconfitta la proposta della Clearing Union di John Maynard Keynes, un sistema, quindi che introduceva surrettiziamente un regime di cambi fissivinse cioè il sistema valutario basato sulla convertibilità in oro del dollaro a 35 dollari per oncia.

Si introdusse così un sistema che fissava, quindi, una situazione nella quale il dollaro non poteva svalutare rispetto alla parità aurea, un qualcosa di assolutamente assurdo in assenza di continui, o almeno periodici, aggiustamenti volti a modificare la suddetta parità in funzione degli avanzi o disavanzi delle bilance commerciali registrati nel tempo dagli altri paesi e che franò rovinosamente a ferragosto del 1971, quando il presidente statunitense Richard Nixon, dopo una provocatoria richiesta del presidente francese De Gaulle di ottenere l'equivalente in oro di un miliardo di dollari, dichiarò, a mercati rigorosamente chiusi, che gli Stati Uniti d'America avevano scherzato e che da quel momento in poi non avrebbero più soddisfatto le richieste delle altre nazioni di trasformare in oro le quantità di dollari statunitensi in loro possesso, decisione che aprì una fase di estrema incertezza e volatilità nel mercato dei cambi, aggravata dalle due decisioni assunte dall'OPEC nel 1973 e nel 1979 di contingentare in modo radicale la produzione di greggio adducendo a motivazione la chiusura di Israele rispetto alle richieste del popolo palestinese, una bugia davvero spudorata ma alla quale l'opinione pubblica mondiale credette ad occhi chiusi, situazione cui si diede risposta con sistemi alquanto farlocchi che giocarono un ruolo non indifferente nello scoppio della gigantesca bolla speculativa sui mercati azionari statunitensi del 1987.

Ma perché decisi di partire da una scelta risalente a sessantaquattro anni prima e per di più spazzata via dagli inevitabili avvenimenti verificatisi trentasette anni prima di quell'intervento? Perché la proposta del mio Mentore, spiritualmente parlando, John Maynard Keynes, nell'analisi della Tempesta Perfetta conteneva degli elementi (Bancor e Clearing Union) che avrebbero impedito quel sorgere dei due deficit gemelli (quello federale e quello commerciale, guarda un po' pareggiato dai costanti afflussi di capitale verso l'area del dollaro, allora ancor di pià riserva valutaria di quanto lo sia ora e ancora pressoché incontrastata valuta di scambio, né avrebbe favorito l'insorgere di quella che il compianto economista Marcello De Cecco ebbe a definire la "fabbrica del formaggio verde" (colore, almeno allora, delle banconote statunitensi) e che consentì, semplicemente stampando moneta, di finanziare la ripresa delle distrutte economie europee (a quelle dell'Est Europa ci pensava l'URSS che di problemi valutari ne aveva ancora di meno degli USA) e di campare per oltre un quarto di secolo acquistando a buffo dal resto del mondo, fino a che De Gaulle gridò che il re era nudo e il castello di carta crollò su stesso.

Ma cosa accadde dopo che quella costruzione artificiosa costruzione valutaria ebbe a franare bruscamente? Non tedierò il lettore con l'illustrazione dei diversi sistemi escogitati dagli esperti per conto dei Governi, in particolare nell'ambito dell'Unione europea, allora carente di una moneta unica che vedrà la luce solo quando, nel maggio del 1998, furono fissate le parità fisse e irrevocabili tra le valute dei dodici paesi che diedero vita ad un euro che poi divenne moneta circolante solo due anni e mezzo dopo, sistemi talmente poco credibili da consentire guadagni enormi alla speculazione internazionale quando riuscì, nella tempesta valutaria, a infrangere, il già ricordato Martedì Nero del 16 settembre 1992, costringendo la Banca d'Italia a bruciare 48 miliardi di dollari di riserve valutarie e la Bank Of England a pagare un prezzo altrettanto stratosferico, un prezzo che non evitò alle due "lire" svalutazioni istantanee di rilevantissima entità.

Per chi fosse, invece, interessato anche alle tecnicalità, suggerisco, oltre a tutto quello che si può trovare sui motori di ricerca digitando crisi valutarie o sistemi sanitari, un mio articolo sul numero 5 di Minerva bancaria del settembre-ottobre 1993 (ad un anno data dall'uscita di lira e sterlina dallo SME) dal titolo "Accordi di cambio e speculazione: spunti per un nuovo approccio", un articolo che mi salvò da una situazione terrificante e mi consentì di diventare l'economista di sala di quella parte della Direzione Finanza della mia banca che si occupava appunto di cambi, tassi di interesse e derivati, una pubblicazione che fu favorita dal fatto che caporedattore della rivista era allora un mio ex collega dell'Ufficio Studi.

Questa è solo la prima di una serie di puntate sull'approccio teorico che ho seguito nell'analizzare un fenomeno complesso e molto interrelato come era e, purtroppo, ancora è la Tempesta Perfetta, una serie di puntate che sveleranno al lettore anche il metodo da me seguito in questo sforzo di analisi e che mi ha consentito di svolgere, del tutto pro bono, un'attività di controinformazione che sembra essere stata apprezzata dalle oltre 220 mila persone che hanno visitato il blog provenendo da oltre cento Paesi, puntate che, almeno di norma, appariranno di domenica restando in piena vista anche il lunedì successivo. (Continua)

giovedì 19 gennaio 2017

Fed: la Yellen rispolvera il concetto di tasso neutrale


In un intervento pubblico, ma dove è finito il tempo in cui i banchieri centrali parlavano per atti, Janet Yellen, primo presidente donna del sistema della Riserva Federale statunitense e democratica al 100 per cento, ha rispolverato il concetto di tasso neutrale per i tassi di riferimento stabiliti dal Federal Open Market Committee, l'organismo che si riunisce con cadenza mensile presso la sede di New York della Fed e stabilisce la misura dei tassi che fanno da base per quelli a loro volta applicati dalle banche a stelle e strisce e dalle banche globali operanti negli States.

Ma cosa è questo tasso "neutrale"? Altre non è che quel tasso che non deprime l'economia, né le imprime una stretta recessiva e lo stesso dovrebbe posizionarsi, entro il 2019, al 3 per cento, a partire da una situazione, quella attuale, che vede i tassi e la politica monetaria più in generale come eccessivamente espansivi alla luce di un tasso di disoccupazione vicinissimo al livello della disoccupazione frizionale, ossia quel 4 per cento che esprime una situazione molto tesa del mercato del lavoro nella quale non vi sono praticamente più persone disposte ad occuparsi, perché si tratterebbe in buona parte di disoccupati volontari, e da un livello dell'inflazione "core" (quella al netto delle componenti volatili come petrolio e alimentari) che inizia oramai a surriscaldarsi, anche se ancora non al di sopra del livello obiettivo stabilito in quel di Washington che storicamente è fissato al 2 per cento.

Se qualcuno ritenesse che la Yellen ha indicato ieri, in contemporanea con i lavori del World Economic Forum di Davos, un percorso lineare che dallo 0,50-0,75 odierni porta al 3-3,25 del 2019 commetterebbe un errore madornale, perché nulla esclude che ad una serie di rialzi già nei dati e che potrebbero portare i tassi di riferimento al di sopra del tasso neutrale, soprattutto se il surriscaldamento dell'economia legato agli effetti della Trumpeconomics fosse eccessivo, quindi anche prossimi al livello del 4 per cento entro il 2018, potrebbe fare seguito una fase di allentamento delle condizioni monetarie che le riporterebbero appunto al livello desiderato indicato ieri dalla Yellen.

Nella sua lunga carriera di docente universitaria, di capo dei consiglieri economici di Bill Clinton e di membro del FOMC prima, vice presidente per quattro anni e poi presidente della Federal Reserve, Janet Yellen non ignora l'esistenza delle wild cards, ossia di quegli eventi imprevisti che possono indurre la Fed non solo a invertire una politica monetaria studiata a tavolino e con il supporto del responso dei modelli econometrici, ma è anzi lei stessa, nel discorso di ieri a paventare una simile eventualità di cui vede tutti i rischi e le ben scarse opportunità!