venerdì 29 luglio 2016

Deutsche Bank guadagna spiccioli nel secondo trimestre


Con un laconicissimo comunicato, Deutsche Bank ha reso noto di aver realizzato, si fa per dire, utili nel secondo trimestre in discesa del 98 per per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente che aveva visto un utile di 756 milioni di euro, realizzati però in un contesto completamente differente e con Il Chief Executive Officer di importazione non aveva ancora messo in atto il suo piano di drastica ristrutturazione di quella che ancor oggi è la più importante banca europea, una ristrutturazione che vedrà l'uscita di Deutsche da 10 paesi in cui oggi opera e il taglio di un terzo delle dipendenze in Germania, dove la banca di Francoforte è leader assoluto del mercato creditizio interno e dove le concorrenti sia private che pubbliche sono alquanto ammaccate, compresa la HVB di proprietà del gruppo Unicredit, una banca che non ha portato grandi soddisfazioni a coloro che, a partire da Alessandro Profumo, si sono trovati al timone di questo colosso che non poche analogie ha con la banca di Francoforte, compresa la richiesta avanzata ad ambedue dalla vigilanza europea presso la BCE di portare al 12,25 il CET1, ossia il coefficiente patrimoniale che le banche devono rispettare e che, come si è scoperto, non è uguale per tutti ma dipende dalle valutazioni effettuate dalla Nouy e dai suoi più stretti collaboratori.

Certo, le attese degli analisti era ancora peggiori, visti i costi della ristrutturazione messa in atto dal CEO che comportano spese per la chiusura delle dipendenze e, soprattutto, per la dismissione di circa 7 mila dipendenti solo in Germania, mentre poco si sa di quanto costerà l'uscita di dieci paesi in cui Deutsche era presente, spese che varieranno caso per caso in relazione dei sistemi di welfare e di protezione dei lavoratori ivi vigenti.

Ma, come ben sa chi ha seguito le puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate alla crisi del colosso creditizio tedesco, il problema dei problemi è rappresentato dalle due Corporate&Investment Banking di cui è dotata Deutsche. Un'anomalia che non trova riscontro nelle altre banche globali poste al di qua e al di là dell'Oceano Atlantico, che hanno sì alcune di loro due Chief Opaerating Officer, modello di derivazione Goldman Sachs e che ora è stato mutuato da Unicredit, per decisione del suo nuovo/vecchio CEO, ma il problema è che due CIB con due fabbriche prodotto non si erano mai viste e i risultati sono stati subito evidenti con un nozionale per prodotti derivati e titoli più o meno tossici asceso alla stratosferica cifra di 54 mila miliardi di euro, un comparto che, non si sa ancora come, verrà disboscato con il napalm!

giovedì 28 luglio 2016

Atlante2, la vendetta!


Come tanti, ho fatto i conti in tasca ad Atlante, il fondo costituito con massicci oboli delle maggiori banche italiane e con il contributo determinante, in termini qualitativi più che quantitativi, della  Cassa Depositi e Prestiti un'entità emanazione diretta del Ministero dell'Economia ma partecipata anche dalla maggior parte delle fondazioni bancarie, un fondo nato per aiutare lo smaltimento dei Non Performing Loans in carico alle banche italiane per 360 miliardi di euro, nonché, ed è quello che finora ha fatto, intervenire in quegli aumenti di capitale che il mercato ostinatamente rifiuta di sostenere, come ha fatto acquisendo pressoché integralmente gli aumenti di capitale della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, rispettivamente per 1,5 e 1 miliardi di euro, mentre va ricordato che per i vecchi azionisti delle due banche si è applicato un bail in alla matriciana perché si sono trovati in mano azioni del valore di dieci centesimi di euro avendo acquistato le stesse a 62 e 42 euro senza avere mai la possibilità di rivenderle e per loro non ci sarà altra possibilità di rivalsa che quella esperibile in via giudiziaria.

Di quello che resta della dotazione di Atlante è presto detto, in quanto è a tutti noto che sarà il Fondo a incaricarsi di smaltire i 10 miliardi di euro circa (sono 9,7 per l'esattezza) di sofferenze nette che la vigilanza bancaria presso la Banca Centrale Europea ha intimato al Monte dei Paschi di Siena di cancellare dai suoi bilanci entro il 2018, ma che Fabrizio Viola, l'amministratore delegato di MPS, ha saggiamente deciso di far fuori in un colpo solo sapendo che questo farà bene alla credibilità della banca senese e sapendo altrettanto bene che si è aperta una finestra irripetibile sia per il fatto di trovare un acquirente che sembra disposto a pagare questi crediti ben il 30 per cento, se non qualcosina di più, così come difficilmente ripetibile è il contesto delle trattative avanzate, molto avanzate, tra il Governo italiano e la Commissione europea per trovare una strada per non fare apparire aiuti di Stato alle banche italiane quelli che inequivocabilmente proprio aiuti di Stato in realtà sono.

Il problema, tuttavia, è rappresentato dal fatto che, dopo il salasso degli aumenti di capitale delle banche venete  e i 3 miliardi circa di euro necessari per acquisire le sofferenze del Monte dei Paschi, il Fondo Atlante avrà esaurito la sua dotazione di capitale, anzi avrà debiti per circa 300 milioni di euro e quindi negli ambienti governativi, in particolare in Via Nazionale, si è deciso di chiamare a raccolta tutti, ma proprio tutti, dalle casse previdenziali e gli altri fondi pensione, alle compagnie di assicurazione, alle banche straniere operanti in Italia a quelle tra le banche italiane che si erano sottratte agli appelli della prima ora, stabilendo anche delle cifre cumulative per comparto e poi, ovviamente di un nuovo ricorso alle disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti che dovrà provvedere a quello che manca e tutto va bene se si arriverà a mettere insieme quello che serve a MPS per fare quell'aumento di capitale da 5 miliardi di euro anche se MPS pensa, come scrivevo ieri di raccogliere questa somma sul mercato!

mercoledì 27 luglio 2016

Il Monte dei Paschi chiederà al mercato 5 miliardi


Secondo fonti ben informate e riportate dall'edizione online di Repubblica nella serata di venerdì, l'amministratore delegato di MPS, Fabrizio Viola, avrebbe inviato una lettera alla vigilanza bancaria operante presso la BCE annunciando che la banca smaltirà 27 miliardi di sofferenze lorde, che al netto degli accantonamenti esistenti sono pari a 9,6 miliardi, cioè esattamente la cifra richiesta nelle settimane scorse da Daniele Nouy, e che la banca senese si appresta varare un aumento di capitale per la cifra tonda di 5 miliardi di euro, dopo che per giorni si era parlato di due-tre miliardi, per giungere fino a 4 miliardi, ma evidentemente i vertici di MPS sono consapevoli che questa è un occasione irripetibile per giungere ad un rafforzamento patrimoniale che, al netto delle perdite previste per lo smaltimento delle sofferenze, porterebbe denaro fresco per circa due miliardi di euro, una mossa che porterebbe il coefficiente patrimoniale della banca al 13 per cento, quasi tre punti in più di quanto richiesto dalle attuali disposizioni di vigilanza e di 75 punti base al di sopra di quanto richiesto di recente ad Unicredit e a Deutsche Bank.

Il nodo sta nel fatto che per giungere alla cifra richiesta dalla banca senese al mercato ci sarebbe un passaggio molto doloroso per gli attuali obbligazionisti subordinati, in quanto sarebbe previsto che le loro obbligazioni vengano trasformate in azioni e non si sa se ciò avverrebbe distinguendo tra i risparmiatori privati e gli investitori istituzionali o facendo di tutte le erbe un fascio anche perché le obbligazioni subordinate in mano alla clientela retail sono davvero tante e non vi è dubbio che, nonostante le venti banche di rango impegnate nel consorzio di collocamento, la domanda di azioni bancarie da parte del mercato è davvero molto, ma molto scarsa, un'ipotesi quest'ultima che determinerebbe un caso Banca dell'Etruria e delle sue tre sventurate sorelle moltiplicato per alcune volte.

D'altro canto, che gli obiettivi del Governo italiano e quelli del top management di MPS non stessero del tutto coincidendo lo si era capito quando il massimo consigliere economico di Matteo Renzi, tal Gunfeld, aveva dichiarato che andavano ben distinte le due fasi dell'operazione, concentrandosi innanzitutto nello smaltimento delle sofferenze richiesto dalla vigilanza BCE e rinviando ad una seconda fase la questione dell'aumento di capitale, una posizione che sottintende anche che lo stesso aumento andrebbe proporzionato alle effettive necessità legate alla cessione dei crediti per la quale si sta costituendo il Fondo Atlante2, così come tra le righe sembra cogliersi una certa insofferenza per la decisione di Viola di effettuare lo smaltimento delle sofferenze in un'unica soluzione senza approfittare dell'arco temporale triennale indicato nella stessa missiva giunta nelle settimane scorse da Francoforte, ma è chiaro che, inviando la lettera alla vigilanza BCE, l'amministratore delegato di MPS si è tagliato i ponti alle spalle e ha messo il Governo di fronte al fatto compiuto!

martedì 26 luglio 2016

E se BNP comprasse il Monte dei Paschi?


Chi segue il Diario della crisi finanziaria sin dai tempi della prima ondata della tempesta perfetta, sa che è un mio vecchio pallino quello della possibilità che il molto malmesso Monte dei Paschi di Siena disastrato dalla gestione Mussari-Vigni potesse finire nelle mani di una banca globale straniera, anche se allora imperava ancora sulla banca senese l'omonima fondazione e il prezzo da pagare sarebbe stato più o meno dell'ordine che MPS aveva pagato per comprare, nel giro di 24 ore, la Banca Antonveneta e cioè più di quanto BNP Paribas aveva pagato per acquisire la Banca Nazionale del Lavoro.

Nel frattempo, lo scenario bancario italiano è radicalmente cambiato e gli sportelli che allora venivano contesi a 5-7 milioni di euro l'uno sono calati drasticamente di prezzo e i crediti deteriorati sono schizzati verso l'alto per giungere a 360 miliardi di euro a livello di sistema e a 47 miliardi per il solo Monte dei Paschi a fronte di impieghi vivi pari a 113 miliardi di euro e con un rapporto tra NPL e impieghi del 42 per per cento circa, un rapporto assolutamente abnorme e non mitigato dalla copertura per il 48 per cento delle sofferenze lorde.

Quello che è certo è che la banca senese si appresta, sentito il parere della vigilanza bancaria europea a cui ha scritto una lettera di risposta alla missiva nella quale si chiedeva una drastica riduzione delle sofferenze nette, a cedere sofferenze per 10 miliardi di euro circa al Fondo Atlante ad un prezzo che a sentire i bene informati dovrebbe aggirarsi sul 30 per cento del valore nominale dei crediti stessi, operazione che dovrebbe portare ad un aumento di capitale sino ad un massimo di 4 miliardi di euro, aumento che sarebbe garantito da un consorzio di banche, consorzio che, ovviamente, ancora non è uscito allo scoperto.

Il problema è che il Monte dei Paschi, pur avendo un patrimonio netto di 9 miliardi di euro, in questo momento non arriva ad una capitalizzazione di borsa di un miliardo e non si nota uno spasmodico interesse dei risparmiatori  e degli investitori a mettere mano al portafoglio per concorrere all'aumento di capitale, il che apre la strada all'ipotesi che si profili all'orizzonte un cavaliere bianco che desideri crescere sul mercato creditizio italiano o entrarvi mediante questa acquisizione che sarebbe certo a buon mercato ma che presenta notevoli profili di rischiosità.

E' ovvio che tutto quanto precede sarà influenzato dalle intenzioni del Governo italiano e dall'esito della trattativa in corso ormai da settimane con la Commissione europea, che, come ha ricordato giovedì scorso Mario Draghi, ha l'ultima parola sugli aiuti di Stato alle banche.

lunedì 25 luglio 2016

Le debolezze strutturali del sistema bancario italiano (2)


Nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria ho preteso francamente troppo dalla memoria dei miei lettori, in quanto ho dato per scontate molte cose delle quali mi sono occupato diffusamente nelle puntate degli anni scorsi dedicate alle tre fasi di ristrutturazione del sistema bancario italiano, un processo molto lungo e complesso che ha preso le sue mosse dopo l'approvazione della Legge Amato che prevedeva in buona sostanza la scissione della proprietà della casse di risparmio e di alcuni tra gli istituti di diritto pubblico e la trasformazione in società per azioni, governate ovviamente dal diritto privato, delle cosiddette banche conferitarie, quindi le fondazioni bancarie da un lato e le banche da esse possedute dall'altro; nacquero quindi veri e propri mostri, o almeno così li definì il padre della legge, le fondazioni bancarie appunto che avrebbero dovuto alienare in tutto o in parte le azioni delle loro banche e occuparsi sostanzialmente di beneficienza e mecenatismo in linea con quanto avviene per le omologhe istituzioni di diritto anglosassone.

E' questa sostanzialmente la prima fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano, con i banchieri ormai ex pubblici che erano in spasmodica attesa dei successivi provvedimenti governativi che avrebbero costretto le fondazioni ad accelerare il processo di dismissioni delle azioni delle ex banche di diritto pubblico e fu allora che Alessandro Profumo del Credito italiano e Corrado Passera e Bazoli dell'allora Banco Ambrosiano ebbero l'idea che fece nascere Unicredit da un lato e Banca Intesa dall'altro: offrire alle fondazioni di mettere al sicuro le azioni delle loro banche, garantendo per un lunghissimo tempo la sopravvivenza delle stesse sotto forma di banche marchio dotate per di più di una loro direzione generale, nonché di un patto fra gentiluomini per la gestione della banca risultante dalle fusioni.

Nessuno è stato in grado di calcolare esattamente i costi derivanti da questa autonomia delle banche marchio, ma è certo che sono stati estremamente ingenti, ma, e forse soprattutto, hanno impedito quella gestione del credito che ha favorito e non poco la crescita abnorme dei crediti deteriorati e delle sofferenze lorde e nette molto di più di quanto sarebbe accaduto se si fosse scelto fin da subito un modello di gestione accentrata dei nuovi gruppi bancari neonati, cosa che poi accadde ma dopo un lasso di tempo insopportabilmente lungo e con costi, vedi Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e Banca Intesa-San Paolo, veramente enormi nonché ingerenze nella gestione da parte delle fondazioni bancarie, come si è visto di recente nel blocco del processo decisionale per la nomina del nuovo Chief Executive Officer di Unicredit poi sbloccato dopo ripetuti crolli in borsa e gli appelli ultimativi di Piercarlo Padoan e Matteo Renzi.

E' in questa terza e non conclusa fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano che ci troviamo e con con qualche decina di miliardi di euro di munizioni in meno per affrontare le richieste che si faranno sempre più pressanti da parte della vigilanza europea presso la BCE!

venerdì 22 luglio 2016

Super Mario accorre in soccorso del MPS


C'era molta attesa per quanto avrebbe detto Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, nella consueta conferenza stampa che si svolge al termine dei lavori del comitato direttivo della BCE tenutosi giovedì scorso, una riunione tutto sommato di routine dal punto di vista della politica monetaria, in quanto sono stati lasciati invariati i tassi di interesse e si è confermata la prosecuzione a ritmi invariati del Quantitative Easing, ma che ha dato modo a Super Mario di intervenire a gamba tesa sul problema dei problemi del sistema bancario italiano che è quello della possibilità di aiuti pubblici nella difficile operazione di smaltimento dei Non Performing Loans, che lo ripeto assumano alla stratosferica cifra di 360 miliardi di euro e che assommano la metà circa di tutti gli NPL dell'area dell'euro.

Ovviamente, Draghi ha iniziato dal problema dei problemi che è quello di costruire un mercato dei crediti deteriorati delle banche che non porti a cessioni a prezzi eccessivamente bassi, quindi il primo compito degli Stati deve essere quello di incentivare la creazione, e il pensiero dei presenti alla conferenza stampa è ovviamente andato al Fondo Atlante e alla trattativa in corso con il Monte dei Paschi di Siena per la cessione di quei circa dieci miliardi di euro di sofferenze nette che la vigilanza bancaria europea ha chiesto di smaltire entro il 2018 e che l'amministratore delegato della banca senese, Fabrizio Viola, vorrebbe cedere in un colpo solo, determinando così la necessità di un aumento di capitale per due-tre miliardi di euro.

Come già il vice presidente Costancio e il rappresentante italiano nel comitato direttivo, la frase più utilizzata da Draghi è stata quella che dice che tali interventi sono possibili solo in circostanze eccezionali perché in quelle normali sono utilizzabili solo le norme stabilite dai trattati attualmente in vigore, ma tutti, inclusa la Commissione europea, sono d'accordo che la vittoria della Brexit ha determinato appunto tali circostanze eccezionali.

La benedizione di Draghi avrà un peso forte sia sull'istruttoria della vigilanza BCE sul caso Monte dei Paschi, sia sulle trattative in corso tra il Governo italiano e il Commissario europeo competente sui possibili interventi che l'Italia ha allo studio per ridurre sensibilmente l'ammontare degli NPL e per rafforzare patrimonialmente le banche italiane.

giovedì 21 luglio 2016

Le debolezze strutturali del sistema bancario italiano


E' ormai da più di sei mesi, in pratica dall'introduzione del nuovo sistema di risoluzione delle banche in crisi e della sua parte principale: il bail in, chela Banca Central Europea, l'OCSE e il FMI hanno messo sotto esame le banche italiane, in particolare per l'ingente massa di Non Performing Loans, cioè i crediti deteriorati, giunti alla cifra di 360 miliardi di euro, un dato che fa da riferimento per l'intensissima attività della vigilanza della BCE che tiene sì conto del fatto che le sofferenze lorde sono pari a 200 miliardi di euro e che quelle nette sono di "soli" 85 miliardi e la ragione di questa scelta della Nouy, il capo della vigilanza, risiede nel fatto che si considera che in condizioni di forte stress le banche non sarebbero in grado di utilizzare i pur ingenti accantonamenti effettuati negli anni e rischierebbero di entrare in una crisi di liquidità, una fattispecie di cui abbiamo avuto una prova generale nei primi giorni di agosto del 2007 quando nel grande mercato interbancario europeo vi fu un blocco totale della liquidità e che costrinse la Banca Centrale Europea a inondare letteralmente il mercato di quella liquidità che mancava proprio perché le 53 banche che partecipano all'Euribor non si fidavano l'una dell'altra.

Su tutto questo ho speso numerose puntate del Diario della crisi finanziaria, ma va rimarcato che il conto delle banche "risolte" o salvate dal Fondo Atlante ha ormai raggiunto il numero di sei e altre, anche di grandissime dimensioni, traballano e questo ha indotto il Governo italiano a varare un fondo da 150 per garantire le obbligazione delle banche e sta trattando per ottenere una sorta di parentesi temporale nella quale sostenere le banche maggiormente in difficoltà senza incorrere nella normativa che vieta gli aiuti di Stato a questo come a tutti gli altri settori produttivi dell'economia italiana, il tutto sfruttando la situazione eccezionale che si è venuta a creare dopo la Brexit ed anche grazie alla recentissima sentenza della Corte di giustizia europea che apre uno spiraglio in tal senso e di cui ho parlato nella puntata di ieri.

Ma, come sta evidenziando il processo di ristrutturazione in corso del colosso Deutsche che, a differenza delle banche italiane ha piuttosto un gigantesco problema sui derivati, il problema non è solo quello degli NPL, ma quello della abnorme rete distributiva delle banche italiane, cioè la rete delle filiali e degli sportelli, e che sempre più appare ridondante a causa dell'enorme sviluppo dell'internet banking, sempre più utilizzato dalla clientela che, per la parte legata al contante, si avvale delle decine di migliaia di bancomat, che sono peraltro sempre più evoluti.

Facendo due conti e vista l'entità dei tagli messi in atto da Duetsche, i tagli occupazionali nel settore creditizio italiano dovrebbero essere nell'ordine delle 30 mila unità, mentre la chiusura delle dipendenze dovrebbe essere nell'ordine delle migliaia di dipendenze!

mercoledì 20 luglio 2016

La Corte europea di giustizia assolve il bail in


Era molto atteso il pronunciamento della Corte europea di giustizia sul ricorso della Slovenia contro le nuove norme sulla risoluzione delle banche in crisi e soprattutto sul bail in, quel salvataggio dall'interno che, entro il limite dell'otto per cento del totale dell'attivo della banca in questione, chiedeva sacrifici in primis agli azionisti e agli obbligazionisti subordinati, ma anche ai depositanti per quanto eccede la soglia garantita dei 100 mila euro, misure che, secondo i critici, fanno sì che si inneschi un meccanismo perverso che porta alla fuga di questi soggetti ai primi segnali di possibile default, anche perché per non tutti è valso quello che è accaduto agli azionisti della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca entrati in possesso  e a prezzi molto elevati di azioni non quotate e che potevano essere riacquistate solo dalla banca emittente cosa che, dopo una breve fase iniziale non è stato più possibile per nessuno, con il risultato che, dopo le fallite quotazioni in borsa, quelle stesse azioni sono arrivate a valere 10 centesimi!

Cosa ha dunque deciso la Corte? Ha stabilito che il bail in si inserisce perfettamente nella normativa europea vigente, non violandone alcun principio, il che in un'Unione europea che è di fatto un libero mercato più un'unione monetaria con parti ancora disomogenee di unione bancaria non stupisce, mentre è l'altra parte della sentenza che ha fatto allargare i cuori dei banchieri dell'area dell'euro ed è quella dove si dice che in circostanza eccezionali, il che dopo la Brexit è quasi lapalissiano, i governi possono non applicare il meccanismo anche se, alla fine, l'ultima parola tocca alla Commissione europea, ovviamente sentita la BCE.

Ma quale è la banca italiana che più ha subito le conseguenze della pronuncia della Corte? In primis il Monte dei maschi di Siena che sa che anche se riuscirà a vendere i 10 miliardi di circa di sofferenze richiesti dalla missiva della Nouy rimarrà con il cerino acceso in mano di dover fare un aumento di capitale da almeno due o tre miliardi di euro, il che, con l'attuale situazione di mercato, appare quanto meno improbabile senza un aiuto da parte dello Stato, ma anche Unicredit che ha portato a caso, regnante il nuovo Chief Executive Officer, un miliardo di euro da cessioni ma deve colmare il gap tra il Tier 1 attuale e quello richiesto da Francoforte per almeno cinque o sei miliardi di euro e, anche in questo caso, senza aiuti da parte dello Stato si tratta di una vera e propria missione impossibile.

In una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, ho detto che lo stock di depositi bancari che eccedono la soglia dei 100 mila euro ammonta alla stratosferica cifra di 425 miliardi di euro, una somma che francamente stupisce visto quello che accade ai piani alti della graduatoria delle banche italiane, ma la verità è che nessun banchiere, né in terra di Siena, né in terra milanese ha alcuna voglia di rendere noti i deflussi di capitale provenienti dai depositi eccedenti quella soglia critica, deflussi che non devono però essere irrilevanti e che, almeno in prospettiva potrebbero essere in grado di determinare conseguenze non di poco conto, come testimonia peraltro la risposta dei mercati alla decisione della Corte!


martedì 19 luglio 2016

Il CEO di Deutsche Bank afferra la scure!


Nel giro di pochi giorni, due in realtà, abbiamo assistito ad una strage di grandi proporzioni in Francia, un attentato pare messo in atto da un uomo solo, e ad un tentativo di golpe nella Turchia di Erdogan e che puntava ad eliminare fisicamente un presidente che ha mostrato negli anni non poche ambiguità nei confronti dell'estremismo islamico (Isis da un lato e Hamas dall'altro) e che ha giocato una partita perdente nel sanguinosissimo conflitto che sta da alcuni anni toccando la Siria e l'Irak. 

Questi due eventi hanno toccato in modo davvero marginale i mercati azionari occidentali che hanno in realtà oscillato di poco intorno alla parità, così come sostanziale tranquillità ha caratterizzato i mercati delle valute e delle materie prime, fatta eccezione ovviamente per la lira turca e per il mercato azionario di quel paese.

Ma la giornata di ieri è stata caratterizzata da un annuncio alquanto atteso, quello del Chief Executiva Officer di Deutsche Bank, John Cryan, che ha reso note le intenzioni del colosso tedesco sui tagli miranti a risparmi di 4 miliardi di euro su base annua, nonché un ridisegno del perimetro di attivata, un ridisegno che renderà Deutsche molto meno globale di quanto sia stata sinora.

Tradotto in soldoni, Deutsche ha annunciato che taglierà di un quarto il numero delle filiali, con correlativa perdita di diverse migliaia di dipendenti, e trasformerà molte delle dipendenze residue da agenzie che fanno di tutto ad entità che si occuperanno fondamentalmente di assistenza finanziaria alla clientela, una scelta, quella di Deutsche, che dovrebbe essere imitata dalle banche italiane, francesi, spagnole e, ovviamente, dalle concorrenti tedesche della banca di Francoforte.

Ma il riordino della banca tedesca non finisce qui ed è stato annunciato il ritiro da dieci paesi, mentre, per quanto riguarda le attività di Corporate&Investment Banking, non sono state ancora scoperte le carte ma già in comunicazioni precedenti il numero uno operativo di Deutsche aveva chiarito che la cura per il ramo di attività che più ha portato guai alla banca di Francoforte sarebbe stato molot, ma molto radicale. 

lunedì 18 luglio 2016

Il mancato esame di coscienza dei banchieri italiani


A sentire le cronache riportate dai giornali, vi è un certo numero di banchieri che hanno ricoperto, spesso per lungo tempo incarichi di massima responsabilità in banche che sono tecnicamente fallite e spesso salvate solo dall'invenzione di un fondo come Atlante o chiude e poi rinate dopo che azionisti, obbligazionisti e depositanti oltre la soglia dei 100 mila euro erano stati debitamente tosati; ebbene questi banchieri si risentono quando giornali importanti come il Corriere della Sera ospitano un articolo a firma Ferruccio de Bortoli (già direttore di quel quotidiano) che attacca con un certo grado di veemenza Gianni Zonin, per decadi presidente della Banca Popolare di Vicenza, sì di quella banca che si è presentata all'appuntamento con l'aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro andato praticamente deserto e che ha reso necessario l'intervento del Fondo Atlante che con quella cifra ha acquisito il 99,3 per cento del capitale sociale e che, prevedibilmente, farà di quella banca e di Veneto Banca carne da macello per poter rientrare dell'investimento effettuato.

Sono certo che De Bortoli, come ovviamente ho sempre fatto io, ha espresso un giudizio basato sul fatto che non si può ricoprire la carica di presidente di una banca per un ventennio circa e poi dire che dello sfacelo che è sotto gli occhi di tutti non si ha alcuna responsabilità, essendo in questo in buona compagnia con il precedente presidente di Carige, l'ex amministratore delegato della stessa, Piero Montani e personaggi di spicco di Apollo che si sono altrettanto risentiti per la richiesta che i nuovi vertici della banca hanno mosso nei loro confronti nel tentativo di recuperare la bella somma di 1,2 miliardi di euro per responsabilità nella vendita del ramo assicurativo del gruppo creditizio ligure che solo un giudice, ed è questo anche il caso di Zonin, dovrà eventualmente accertare.

Chiarito questo, è altrettanto evidente che la lunga teoria di decision makers bancari si sta allungando sempre di più, a partire da Mussari e Vigni, rispettivamente presidente ed amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena ai tempi della sciagurata nonché costosissima acquisizione di Banca Antonveneta, per passare ai vertici di Banca Etruria e delle altre tre banche su cui è intervenuto il provvedimento governativo che ha applicato per la prima volta in Italia e due mesi prima della sua entrata in vigore il bail in con le conseguenze descritte sopra cui si metterà una pezza con i risarcimenti avviati proprio in questi giorni, per giungere poi a Zonin e ai vertici del passato di Veneto Banca.

Ripetendo che non si vuole anticipare nessun pronunciamento giudiziario eventuale, invito i lettori a guardare le numerosissime interviste rilasciate in passato da questi banchieri e vedere come essi presentavano se stessi come i deus ex machina delle rispettive banche, altro che quello che dicono ora quando presentano se stessi come persone che ricoprivano incarichi senza quasi nessun potere decisionale!

venerdì 15 luglio 2016

Facciamo il punto sulla crisi bancaria italiana


Scrivo dall'estero e con la morte nel cuore per l'ennesimo attacco terroristico compiuto dall'Isis in Francia, la strage di Nizza che ha fatto decine e decine di morti in un giorno di festa nazionale culminato in tragedia!

Come ho scritto nelle puntate precedenti del Diario della crisi finanziaria, il mercato sembra prendere sul serio gli stringenti negoziati in corso a Bruxelles per individuare gli strumenti attraverso i quali il Governo italiano può intervenire a sostegno del proprio sistema bancario nazionale senza incorrere negli strali della normativa che impedisce gli aiuti di Stato.

Mancava una risposta alla domanda posta nel titolo della puntata di ieri sul perché i falchi tedeschi e olandesi hanno assunto nei confronti delle richieste del Governo italiano in sede comunitaria ed è quella data dal fatto che, con la fine della crisi politica britannica e la nascita del governo May-Johnson, è ormai chiaro a tutti che non si può favorire la crisi di grandissime banche italiane, una crisi che avrebbe oltretutto un effetto sistemico sull'intera area dell'euro.

Sistemata la partita delle banche venete, con la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca ormai saldamente in mano al Fondo Atlante e il Banco Popolare che pare essere riuscito a portare a termine il suo aumento di capitale, la vigilanza europea presso la BCE è passata ai due obiettivi grossi che sono rappresentati dal Monte dei Paschi di Siena che, su ordine di Francoforte, sta trattando la cessione di 10 miliardi di euro di sofferenze al Fondo Atlante, mentre sarebbe questione di ore l'invio della lettera a Unicredit nella quale la Mouy chiederà ai nuovi vertici della banca di colmare quel gap di due punti percentuali nei requisiti patrimoniali già segnalato in una missiva precedente e alla quale l'istituto di Piazza Cordusio ancora non ha risposto in modo fattivo.

Intanto gli amministratori di Intesa-San Paolo e di Ubi Banca, le uniche due del quintetto di testa del sistema bancario italiano a essere state escluse dalle attenzioni della Nouy, non stanno dormendo sonni tranquilli perché sanno che presto o tardi la letterina da Francoforte arriverà anche a loro.

Proprio ieri, un'altra delle banche attenzionate dalla vigilanza della Banca Centrale Europea, la Carige, ha messo in piedi un'azione di responsabilità contro i precedenti amministratori della banca ligure, in primis l'ex presidente e padre padrone della banca, chiedendo agli stessi 1,2 miliardi di euro di risarcimento.

Nel frattempo sono arrivate le procedure per risarcire i truffati di Banca dell'Etruria e delle altre tre banche fallite, e in una di queste, Cariferrara, l'indagine della magistratura sta compiendo passi in avanti.

giovedì 14 luglio 2016

Perché i falchi sono diventati improvvisamente colombe?


Alle orecchie di Padoan e di Renzi sono suonate come miele le parole concilianti sulle possibilità che l'Italia trovi un accordo con l'Unione europea sullo spinoso argomento del salvataggio delle banche italiane senza dover ricorrere ai meccanismi di risoluzione previsti dall'apposita direttiva europea, una direttiva che prevede il bail in, ossia la partecipazione degli azionisti, degli obbligazionisti e dei depositi per la parte eccedente ai 100 mila euro (in Italia, secondo la nostra banca centrale, ve ne sono per 425 miliardi di euro) il tutto entro il limite massimo dell'otto per cento del totale dell'attivo della banca in questione.

A pronunciare queste parole sono persone come Angela Merkel, come l'arcigno presidente olandese dell'eurogruppo, come lo stesso ministro tedesco delle finanze, tutte persone che fino a poche ore prima si trinceravano dietro il mantra dell'inviolabilità delle regole, pur avendo, in tempi assolutamente non lontani, utilizzato centinaia di miliardi di euro di fondi pubblici, cioè soldi dei contribuenti per ripianare le perdite delle banche olandesi e tedesche appunto, cosa fatta anche dai governi di altri importanti paesi dell'area euro, in particolare Francia e Spagna.

Poiché è molto improbabile che i suddetti personaggi siano stati illuminati sulla via di Damasco, credo proprio che siano stati invece convinti da considerazioni molto più prosaiche al limite degli interessi di bottega e che sono rappresentate da un lato dalle difficoltà incontrate da un numero crescente di banche tedesche a rispettare le dure previsioni della vigilanza europea presso la Banca Centrale Europea (è di pochi giorni fa la notizia che la Deutsche Bank avrebbe fallito gli stress test della Federal Reserve, cui è soggetta in quanto banca globale, e sia in attesa di quelli disposti dall'EBA, mentre è nota a tutti la difficoltà che sta vivendo la Landesbank di Brema), mentre, dall'altro lato, vi è un timore crescente di rischio di controparte per le loro banche derivante dall'eventuale default di qualche importante banca italiana, compresa tra le cinque che sono state sottoposte agli stress test il cui esito sarà noto il 29 giugno.

D'altra parte, il fatto che l'accordo sia pressoché cosa fatta lo dimostra la mossa del fondo Atlante che si è offerto di rilevare 10 miliardi di euro di sofferenze nette dal Monte dei Paschi di Siena, una mossa che esaudisce i desiderata della vigilanza BCE ma che apre il problema della ricapitalizzazione della banca senese per colmare le perdite derivanti dalla cessione.


mercoledì 13 luglio 2016

Il Financial Times va giù duro sulle banche italiane


E' stata davvero una giornata surreale quella di lunedì, seguita sullo stesso tono da quella successiva, con tutti i giornali italiani e anche parecchie testate di altri paesi europei che discettavano sui possibili accordi e probabili scontri in seno alla riunione dell'eurogruppo prima, presieduta dal falco olandese dal cognome impronunciabile, e quella dell'Ecofin a seguire, accordi o scontri sul non marginale argomento dei possibili salvataggi delle banche europee derogando dalle regole sui processi di risoluzione e bail in stabiliti da una direttiva che gli eurodeputati italiani prima e i parlamentari del nostro paese poi hanno approvato pressoché all'unanimità senza dibattito alcuno.

Si è creato così un clima di attesa tale da costringere il ministro dell'Economia italiano, Piercarlo Padoan, a improvvisare una sorta di comizio nell'atrio del palazzo dove si tenevano gli incontri per ribadire che l'argomento degli aiuti pubblici alle banche non era presente nell'ordine del giorno di nessuna delle due riunioni, ma approfittando dell'occasione per ribadire che i provvedimenti precauzionali sono in parte stati già presi, mentre altri sono in dirittura d'arrivo, sempre in sintonia con gli organismi decisionali di Bruxelles e sempre a scopo esclusivamente precauzionale, anche se non sfugge nelle parole di Padoan e nei passaggi della lunga intervista del premier Renzi al Corriere della Sera che i meccanismi di garanzia sarebbero orientati a proteggere i depositanti e gli obbligazionisti intesi come persone fisiche ma non gli azionisti e gli obbligazionisti intesi come investitori istituzionali.

Ma a rinfocolare le polemiche sulle banche italiane ci ha pensato un breve ma feroce articolo del Financial Times, forse il più autorevole quotidiano finanziario del mondo, che sostiene che, nonostante la riforma delle banche popolari e di quelle di credito cooperativo, l'Italia ha perso più occasioni per dare una raddrizzata al proprio pletorico sistema bancario come fatto dalle banche tedesche, da quelle francesi e, in ultimo, da quelle spagnole, possibilità ora precluse dalle nuove regole che bloccano di fatto gli aiuti di Stato, e che il nostro paese ha più filiali di banche che pizzerie e che, quindi, una delle soluzioni è quella di ridurre il numero degli istituti di credito mediante fusioni che mettano mano drasticamente ala rete distributiva e tagliando, a livello di sistema, decine di migliaia di posti di lavoro.

martedì 12 luglio 2016

Perché Deutsche Bank propone un piano da 150 miliardi per le banche?


Tra gli addetti ai lavori, non è un mistero che il vero problema del sistema bancario europeo non è rappresentato dai Non Performing Loans che, per l'intera area dell'euro sono pari a circa 700 miliardi di euro, 360 dei quali concentrati nelle banche italiane, ma che la vera bomba ad orologeria risiede nella montagna di derivati per molte decine di migliaia di miliardi di valore nozionale, una parte dei quali fanno capo al colosso tedesco Deutsche Bank che, per ragioni che non sono state mai chiarite a sufficienza, rappresentano un multiplo del totale dell'attivo della banca tedesca e a sua volta pari a mille e settecento miliardi, una sproporzione tale da escludere che si tratti soltanto di operazioni di hedging, ma lascia pensare piuttosto ad un'intensissima attività di trading con un numero elevatissimo di controparti, per non parlare poi dei 32 miliardi di titoli a livello 3, comunemente definiti titoli tossici e che segnalano una crescita costante segno del fatto che non riescono proprio ad essere smaltiti.

Ma Deutsche Bank in questo non è sola, in quanto quasi tutte le banche globali del Continente, per quelle britanniche sarebbe necessario un discorso a parte, presentano situazioni analoghe anche se i loro multipli rispetto al totale dei rispettivi attivi non raggiungono il livello stratosferico toccato dalla banca con sede a Francoforte, una circostanza che tuttavia fa interrogare sul fatto che nello stabilire i criteri prudenziali sia stato assegnato un peso maggiore ai crediti, che nella maggior parte dei casi sono assistiti da garanzie reali e personali, e uno molto più basso ai derivati.

In questi mesi, le autorità governative tedesche si sono sgolate nel ripetere il solito mantra che recita che Deutsche è solida come una roccia e in questo si è distinto in particolare l'arcigno ministro delle finanze tedesco, Schauble, ma, nonostante quanto detto sopra sulla sottostima dei rischi da parte della vigilanza europea, Daniele Nouy ha richiesto a Unicredit e Deutsche di elevare i loro coefficienti patrimoniali da poco sopra il 10 per cento all'alquanto proibitivo 12,25 per cento, quasi due punti che significano uno sforzo considerevole per entrambe le banche in termini di aumento di capitale o cessione di attività, ma soprattutto un'implicita ammissione del fatto che il mantra sulla solidità del colosso tedesco era alquanto infondato.

Ma ecco che, in vista di una riunione decisiva dei ministri delle finanze dell'Unione Europea, Deutsche avanza a sorpresa la proposta di istituire un fondo di 150 miliardi di euro in favore delle banche in difficoltà, una proposta che è in apparente contrasto con la posizione ufficiale del governo tedesco che per ora ammette solo le difficoltà della più piccola delle Landesbanken, quella basata a Brema e che richiede interventi per poche centinaia di milioni di euro e che fa pensare che, mai come in questo caso, Deutsche abbia parlato come Cicero pro domo sua!

lunedì 11 luglio 2016

Il Fondo Monetario Internazionale in soccorso delle banche italiane


Doveva essere il giorno dell'Associazione Bancaria Italiana, con la relazione del presidente Patuelli e gli attesissimi interventi del ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, e del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ma, da oltreoceano, è pervenuta una nota del Fondo Monetario Internazionale che invita le autorità monetarie italiane ad utilizzare tutta la flessibilità presente nella normativa europea sulle banche, quel processo di risoluzione delle stesse con annesso bail in che tanto sta facendo discutere anche perché è evidente a tutti che si tratta di norme che sono state introdotte in assenza di un'unione bancaria e, soprattutto, di un meccanismo di salvaguardia dei depositi a livello europeo.

Mentre Padoan, Visco e Patuelli intrattenevano una folta platea di banchieri, di giornalisti ed esperti del settore, tutti gli occhi dei presenti erano fissi sulle cifre riportate sui loro touchscreen che indicavano una netta inversione di rotta delle azioni delle banche che, in particolare dalla Brexit, sembravano ormai destinate a proseguire nella loro caduta libera, mentre ieri, in particolare per alcune di loro, è stato il giorno del riscatto, con il Banco Popolare, con un rialzo di oltre il 18 per cento, ha ritrovato il livello posto per l'aumento di capitale, 2,17 euro, livello che era stato fissato quando l'azione del Banco valeva oltre quattro euro, ma bene sono andate tutte le principali banche italiane, compreso il Monte dei Paschi di Siena, la cui azione non è riuscita però a chiudere oltre la soglia dei 30 centesimi con un rialzo del 5 per cento circa che è stato molto più basso di quello medio delle principali concorrenti.

Ma è davvero giustificata questa euforia dei mercati? Da un lato, vi è la certezza che il Monte dei Paschi verrà aiutato nella sua opera di pulizia delle sofferenze, ma soprattutto nel conseguente aumento di capitale che, a bocce ferme, è assolutamente indigesto per il mercato, così come è chiaro è che questo avverrà con il soccorso di Atlante o del Fondo bis in corso di costituzione, ma, d'altro lato, è sicuro che all'orizzonte si profila una fusione con una banca di cui si sa nome e cognome, ma il cui amministratore delegato minaccia querele se qualcuno gli attribuisce l'intenzione di compiere questo passo verso cui, e questo si può dire, lo stanno spingendo in tanti e, tra questi, vi sono persone a cui è difficile dire di no.

Ma il problema vero è rappresentato dal fatto che nessuno conosce le vere intenzioni di Madame Nouy e della sua fida collaboratrice tedesca, anche se è evidente che dal solo gruppo di testa dei cinque grandi gruppi bancari la responsabile della vigilanza europea può chiedere pulizie di bilancio per qualcosa come 30-40 miliardi di euro, una cifra che andrebbe ad aggiungersi ai 9,6 miliardi chiesti al Monte dei Paschi!

venerdì 8 luglio 2016

Il Monte dei Paschi si mette nelle mani della BCE


Dopo aver toccato ieri, in pieno blocco delle micidiali vendite allo scoperto disposto per tre mesi dalla CONSOB, un nuovo minimo storico nell'area dei 26 centesimi e aver incassato la doccia fredda dell'arcigno presidente olandese dell'eurogruppo che ha ribadito che per il salvataggio delle banche valgono le nuove regole, bail in incluso, continuano le febbrili trattative tra Italia e Commissione europea per trovare una soluzione alla ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, un aumento da 2 forse 3 miliardi di euro necessari per eliminare in via definitiva sofferenze per 9,6 miliardi di euro come richiesto dalla vigilanza presso la Banca Centrale Europea nella sua recente lettera alla banca senese.

Al termine di un consiglio di amministrazione straordinario durato oltre sei ore, è stato diffuso un comunicato scritto a firma dell'amministratore delegato, Fabrizio Viola, un testo alquanto stringato nel quale si rende noto che è stata approvata la lettera di risposta alla vigilanza europea, ma che, sia i contenuti della lettera ricevuta dal Monte dei Paschi, sia quelli della risposta della banca senese saranno resi noti solo quando perverrà la lettera definitiva da Francoforte, lettera che dovrebbe tenere conto, almeno in parte, delle controdeduzioni contenute nella missiva che partirà oggi per Francoforte.

Nel comunicato, Viola rivendica i successi della gestione ordinaria della banca e, soprattutto, rimarca  con forza il fatto che i cinque milioni di clienti sono rimasti legati alla banca, nonostante i rischi connessi al bail in, questo, ovviamente non lo ha detto esplicitamente ma, come si suol dire, intelligenti pauca...

Solo ieri si è saputo che dal maggio di questo anno di disgrazia 2016 è in corso un'ispezione della vigilanza della BCE coadiuvata da un esponente della vigilanza Bankitalia, ispezione che viene definita di routine ma chiunque abbia esperienza di cose bancarie sa bene che un'ispezione si sa come comincia ma nessuno sa come finisce.

Credo di aver fatto una cronaca fedele di quanto è successo ieri, ma quello che è certo è che l'istituto di Rocca Salimbeni non intende avvalersi dell'arco temporale offerto dalla vigilanza BCE e cioè non diluirà l'intervento da qui al 2018 perché una soluzione, quale che essa sia, deve essere trovata entro pochi mesi!

giovedì 7 luglio 2016

La politica britannica in pezzi dopo la Brexit


Sono di ritorno da un breve soggiorno in una città dell'Inghilterra che è stato un epicentro della rivoluzione industriale e una storica roccaforte del partito laburista ma dove, una settimana prima del mio arrivo aveva vinto il leave, seppur non in proporzioni drammatiche, lasciando intendere quanto sia stato profondo il sommovimento che ha portato, forse al di là delle stesse reali intenzioni dei promotori del fronte dell'abbandono dell'Unione europea, quasi un milione e mezzo di cittadini britannici a fare la differenza con quel 48 per cento di loro compatrioti che invece hanno votato per rimanere.

Ma è quello che è successo dopo il voto ad essere realmente surreale con le dimissioni a certo tempo data di David Cameron che ha dato due mesi e mezzo di tempo al suo partito, che gode alla Camera dei Comuni di una maggioranza solida, per individuare il nome del suo successore, aprendo di fatto una fase di estrema incertezza sul nome, anche se è quasi certa l'investitura al congresso dell'attuale ministro dell'interno, la non proprio carismatica May, ma quello che ha colpito davvero è stato il passo indietro del vincitore nell'ambito del partito conservatore, Boris Johnson, un uomo che tutti davano a Downing Street in sostituzione di Cameron e che è stato certamente vittima di una congiura di partito, ma che è sembrato sollevato all'ipotesi di non essere lui il primo ministro che dovrà trattare con la Commissione europea i termini della separazione.

Ma se Atene piange Sparta di certo non ride e, con una schiacciante maggioranza di eletti in Parlamento, è stato chiesto al leader laburista, Jeremy Corbyn, di farsi da parte e lasciare il passo ad un nuovo leader che eviti, in caso di nuove elezioni, che i laburisti patiscano una cocente sconfitta, richiesta alla quale il pressoché neoeletto Corbyn ha opposto un netto rifiuto, effettuando un rapido rimpasto del governo ombra con pochissimi esponenti che hanno dovuto accettare doppi incarichi per sopperire ai vuoti lasciati dai dimissionari.

Ma quello che ha fatto più clamore è stato l'abbandono della scena politica da parte del vero vincitore del referendum, quel Nigel Farage che non ha convinto nessuno sui veri motivi del suo gesto e che ha dato l'idea di non volere essere coinvolto in quella oscura fase del dopo rispetto alla quale nessun politico britannico sembra avere le idee chiare, con la sterlina che continua ad essere ai minimi storici e mentre non si sa nulla delle intenzioni di imprenditori e finanzieri che, prima del voto, avevano minacciato di trasferire sul continente europeo la sede delle loro attività, con un impatto che è stato stimato, se alle parole seguiranno i fatti,  come quantificabile nella perdita di qualche centinaio di migliaia di posti di lavoro!

mercoledì 6 luglio 2016

Sara' il Governo a salvare il Monte dei Paschi?


E' stata un'altra giornata di fuoco sull'azione del Monte dei Paschi di Siena dopo altrettante giornate terribili seguite alla Brexit, un fuoco incrociato di vendite che si e' intensificato quando la banca senese ha finalmente ammesso di avere ricevuto una missiva da parte della vigilanza bancaria operante presso la Banca Centrale Europea, una lettera nella quale senza giri di parole si chiedeva di eliminare 10 miliardi circa di euro di sofferenze nette entro il 2018, un vero e proprio bagno di sangue per la banca guidata da Fabrizio Viola che produrra' miliardi di euro di perdite che dovranno giocoforza essere coperte da un aumento di capitale, il tutto mentre il mercato ha gia' mandato deserti due aumenti di capitale richiesto dalle due tecnicamente fallite banche venete e quando ancora non si hanno notizie dell'aumento da un miliardo di euro richiesto, sempre dalla vigilanza BCE al Banco Popolare.

Mentre sono in corso febbrili trattative tra il Governo italiano e la Commissione europea, quello che e' chiaro e' che quello che e' stato gia' concordato non risolve assolutamente il prolema del Monte dei Paschi di Siena, cosi' come non risolve quello di Unicredit e delle altre banche italiane in attesa ansiosa di sapere se riceveranno a loro volta una draft piu' o meno ultimativa da Francoforte, perche' in realta' il problema delle banche italiane e' molto semplice e consiste nel fatto che servono, come scrive la potente ma ancor piu' preveggente Goldman Sachs, circa 40 miliardi per coprire le perdite derivanti dalle pulizie di bilancio e, di questi tra i 7 e i 9 miliardi per la sola Unicredit, un fabbisogno che non ha niente a che vedere con quello scudo da 150 miliardi di euro che la Commissione ha autorizzato per garantire l'emissione di altrettanti bond da parte delle banche italiane, una possibilita' che rischia di arrivare quando alcune delle maggiori banche potrebbero essere nel pieno della procedura di bail in che, lo ricordo, prevede che gli azionisti, gli obbligazionisti e i correntisti per la quota eccedente i 100 mila euro paghino il conto del default entro il limite dell'otto per cento dell'attivo della banca in questione.

Avendo a mente quanto e' accaduto con Banca Etruria e le altre tre anche coinvolte a novembre dello scorso anno in tale procedura, non voglio nemmeno pensare a cosa accadrebbe nel caso dello terza banca italiana e credo che altrettanto stiano pensando i nostri vertici governativi e il governatore della Banca d'Italia e sono quindi sicuro che alla fine uscira' un coniglio dal cilindro e che una simile eventualita' verra' scongiurata nell'interesse nazionale!  

martedì 5 luglio 2016

Quale e' il male oscuro del Monte dei Paschi di Siena?


Qualche anno fa, posi sul Diario della crisi finanziaria la stessa domanda che pongo nel titolo di oggi, ma allora il gruppo senese era ancora dominato dalla fondazione omonima e guidato dall'allora presidente Mussari e dal direttore generale Vigni, gli stessi che, insieme ad altri, sono sotto processo per diverse ipotesi di reato legate alle operazioni messe in piedi per occultare il buco miliardario emerso dopo la dissennata acquisizione di banca Antonveneta, un'acquisizione non solo costata quasi dieci miliardi di euro, ma che ha portato in dote un ammontare pressocche' equivalente di crediti andati a male che hanno quasi raddoppiato l'ammontare delle sofferenze del Monte dei Paschi di Siena.

Il nuovo ticket posto alla guida della banca senese, composto dal presidente Alessandro Profumo, l'ex golden boy di Unicredit, e dall'amministratore delegato Fabrizio Viola, si trovo' di fronte una situazione dei conti davvero disastrosa e fu costretto a convincere i molto riottosi soci, in particolare la fondazione omonima, a procedere a sostanziosi aumenti di capitale che pero' non erano in grado di affrontare radicalmente il problema delle sofferenze che, in particolare nell'ultimo triennio, sono aumentate in linea con quelle dell'intero sistema creditizio, e cioe' molto, portando alla fine i Non Performing Loans a circa 40 miliardi di euro.

Su questo fronte, Fabrizio Viola sta lavorando molto intensamente ed entro fine anno dovrebbe partire una piattaforma delle sofferenze gestita da Mediobanca, ma il tempo stringe e l'ultimatum della vigilanza europea di cui ho dato conto ieri prevede un abbattimento delle sofferenze nette (che sono ovviamente di gran lunga inferiori agli NPL) nell'ordine del 40 per cento dello stock attuale entro il 2018.

Come e' noto, la Commissione europea ha dato il via libera ad uno scudo da 150 miliardi di euro sotto forma di garanzie governative alle obbligazioni di nuova emissione, ma e' rimasta sorda rispetto alla richiesta italiana di poter iniettare fino a 40 miliardi di euro di nuovo capitale nelle banche o di poter fare qualcosa di piu' sul fronte delle sofferenze, il che ha provocato una forte insoddisfazione del Governo italiano, sfociata,a quanto pare, in un diverbio tra Renzi e il presidente della BCE Mario Draghi.



lunedì 4 luglio 2016

BCE da' un ultimatum al Monte dei Paschi di Siena


L'attenzione della vigilanza bancaria della Banca Centrale Europea si sposta dalle banche venete tutte costrette a procedere ad aumenti di capitale che hanno fatto finire la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca nel non molto capace carniere del Fondo Atlante e il Banco Popolare ancora alle prese con la risposta del mercato alla sua richiesta di aumento da un miliardo di euro propedeutico alle nozze entro l'anno con la Banca Popolare di Milano (il prezzo di mercato nelle ultime sedute e' posto al di sotto di quello di offerta).

Ora e' giunta la volta del Monte dei Paschi di Siena che ha ricevuto una missiva da Francoforte che intima alla banca guidata dal bravo Fabrizio Viola di abbattere entro il 2018 le sofferenze nette (pari all'incirca al patrimonio della banca senese), una richiesta che produrra' perdite per centinaia di milioni di euro, con conseguente aumento di capitale nell'ordine presumibile di un miliardo di euro almeno da effettuare nel prossimo biennio.

Ovviamente, la notizia e' piombata come un macigno su un mercato alquanto depresso e il valore dell'azione del Monte dei Paschi, gia' crollato nelle precedenti sedute, ha perso in apertura qualcosa come il 10 per cento, discesa che si e' accompagnata con le solite sospensioni per eccesso di ribasso, sospensioni che hanno innervosito ancora di piu' gli investitori che davvero non sanno quando il mercato tocchera' il fondo.

Ma non e' stata questa l'unica notizia riguardante il gruppo creditizio senese, perche' sempre stamane si e' saputo che la banca ha chiesto il patteggiamento nel processo sui derivati Alexandria e Santorini, quelli messi in piedi per nascondere il buco miliardario determinato dall'acquisizione fulminea nel 2007 di Banca Antonveneta dal Santander allora guidato da Emilio Botin, un'acquisizione fortemente voluta dalla coppia Mussari-Vigni e che ha determinato il fatale deterioramento dei conti del gruppo senese. Con il patteggiamento, il Monte dei Paschi accetta di dichiararsi colpevole di non avere vigilato a sufficienza sull'operato della coppia allora al vertice e propone di pagare 600 mila euro come sanzione e un sequestro di 10 milioni di euro.


venerdì 1 luglio 2016

Unicredit: guarda chi si rivede!


Dopo che si erano esaurite tutte le possibili strade di pressione istituzionale sui vertici di Unicredit per giungere alla nomina di un nuovo amministratore delegato che prendesse il posto di Federico Ghizzoni dimissionario dal 14 maggio, erano intervenuti, nell`ordine, il ministro dell`Economia, Padoan e lo stesso premier Renzi. mancava solo il presidente della Repubblica ma i contrasti tra i soci storici e gli stranieri non permettevano di giungere ad una soluzione e alla fine ha deciso il mercato spingendo l'azione giu' del 30 per cento circa in poche sedute e allora gli azionisti hanno ritrovato l'unita' nominando all'unanimita' Jean Pierre Mustier nuovo Chief Executive Officer del colosso creditizio milanese.

Il nome di Mustier certamente non dice molto ai piu' ma mi permetto di ricordare che era a capo della Corporate&Investment Banking di Socgen ai tempi dello scandalo Kerviel il trader che si imposseso' di svariati miliardi di euro della banca francese e fu lui stesso multato per insider trading e poi da li' passo' a fare il capo della CIB di Unicredit per tre anni dal 2011 al 2014 per poi passare alle dipendenze di una banca straniera.

Mustier e' dunque un uomo di finanza e cioe' esattamente il contrario dello skill di uomo retail fortemennte voluto dai soci di Unicredit nei loro primi e un po' confusi intendimenti anche se la borsa ha ieri timidamente premiato il titolo perche' francamente non se ne poteva piu' di questa situazione di stallo e perche' la mission principale che ha ricevuto e' quella di evitare la svendita degli assets e portare a termine un massiccio aumento di capitale che riporti i ratio patrimoniali ai nuovo livelli richiesti a Unicredit e Deutsche Bank dalla vigilanza europea.

Sono in viaggio nella patria della Brexit e cerchero' di mantenere questo appuntamento anche se non necessariamente a livello quotidiano (anche se spero che la prossima puntata del Diario della crisi finanziaria potro' scriverla con una tastiera che prenda le virgole) ma voglio subito dire che le cose qui sono gia' un po' cambiate rispetto alla mia visita di sei mesi fa pur in assenza di variazione dei trattati.