lunedì 28 febbraio 2011

Il Leone di Omaha vede rosa, ma...

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Ho iniziato l’avventura del Diario della crisi finanziaria nel settembre del 2007 dichiarando i miei riferimento per la lettura della tempesta perfetta, John Maynard Keynes per l’approccio teorico e due uomini d’affari statunitensi, Warren Buffett e George Soros per quello che riguardava gli aspetti pratici legati al loro modo pragmatico di interpretare le vicende della finanziarizzazione spinta dell’economia.

Non sempre ho condiviso le interpretazioni che davano dei fenomeni che si sono succeduti in questi tre anni e mezzo, in particolare nel caso di Buffett che è a capo di un conglomerato industrial finanziario, la Berkshire Hathaway, che è direttamente coinvolto nelle drammatiche vicende di questi anni e il suo fondatore ha fatto scelte di investimento volte a scongiurare l’avvitamento della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e, tra le altre scelte di investimento, ha acquisito il controllo di una delle più importanti compagnie ferroviarie statunitensi.

Nel suo principale appuntamento con i suoi azionisti, Buffett ha dipinto uno scenario ottimistico delle prospettive dell’economia statunitense, spingendosi a prevedere una ripresa del disastrato settore edilizio già nel corso di quest’anno, per non parlare delle soddisfacenti notizie provenienti dagli investimenti fatti dal gruppo, fatta eccezione per le attività legate al settore edilizio.

Ma, in mezzo a tante notizie rosee, il leone di Omaha non ha omesso di chiarire quello che è il concetto di incertezza, facendo un richiamo a come si vedeva il futuro il giorno prima dell’attacco di Pearl Harbor o il 10 settembre del 2001, il giorno che ha preceduto quello in cui è avvenuto l’attacco della maggiore organizzazione del fondamentalismo islamico al cuore degli Stati Uniti d’America!

venerdì 25 febbraio 2011

Le conseguenze sociali della tempesta perfetta!

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Ripubblico questa puntata del 18 ottobre dello scorso anno dedicata al devastante problema delle foreclosure e ai trucchi delle banche per impossessarsi delle case anche quando non ne hanno pienamente diritto, trucchi che sono stati scoperti nel settembre di quell’anno e hanno portato ad un temporaneo blocco delle procedure e ad una maggiore cautela nel trattare i singoli casi.

Nei due anni e mezzo circa in cui ho pubblicato quotidianamente le puntate del Diario della crisi finanziarie, mi è stato rimproverato più volte di occuparmi prevalentemente degli Stati Uniti d’America, dedicando minore attenzione all’Europa e, in particolare, all’Italia, un’accusa solo parzialmente fondata, visto che ho dedicato al nostro Paese e al Vecchio Continente non meno di cento puntate, ma il problema è rappresentato dal fatto che la tempesta perfetta ha origine dagli USA ed è dall’evoluzione delle cose in quella grande nazione che potremo un giorno dire se è terminata oppure no!

Ma quello che vi è di meraviglioso in quella nazione è la gran messe di statistiche e l’accuratezza con cui la stampa va alla ricerca delle cause dei fenomeni che sono all’attenzione dell’opinione pubblica, spinti da motivi concorrenziali, dalla loro linea politica e, almeno in alcuni casi, da ambedue queste ragioni.

Non fa eccezioni il caso del blocco delle procedure di foreclosure, cioè l’avvio di quei procedimenti che si concludono, nella maggior parte dei casi, con l’esproprio e la successiva vendita all’asta della casa, come di mostra un eccellente reportage del New York Times che è andato a scovare il caso zero che ha innescato la ribellione dei mutuatari contro le procedure in molti casi disinvolte seguite dalle banche e dalle finanziarie per impossessarsi, spesso a caro prezzo, di case che poi, una volta messe all’asta, spesso non ripagano le spese sostenute dalle banche per portare a termine l’intera procedura.

Il servizio si apre con una foto di un’abitazione indipendente e tutt’altro che di lusso costata alla signora Nicolle Bradbury 75 mila dollari interamente finanziati dalla GMAC, che ha pure fornito la somma necessaria per la ristrutturazione e, in sede di rinegoziazione del mutuo e relativo innalzamento della rata, altro denaro, rate che la signora Bradbury ha smesso di pagare da due anni, avendo perso lei il lavoro, essendosi gravemente ammalato il marito e con due figli in età scolare (16 e 14 anni).

Si trattava di una causa vinta per la GMAC, parlo di causa perché la località in cui vive la signora Bradbury è situata in uno Stato, il Maine, nel quale, come accade in altri 22 Stati, per avviare l’esproprio è necessario andare in giudizio, ma la GMAC aveva fretta e ha affidato la pratica a un funzionario che, senza troppe verifiche ne sforna, come ha lui stesso testimoniato 400 al giorno, divenendo il primo robo-signer ad aver ammesso l’esistenza di tali procedure non proprio accurate.

La fortuna della signora Bradbury è stata quella di rivolgersi a una associazione no profit che le ha assegnato pro bono un legale, Thomas A. Cox, che ha lavorato per anni per una banca locale occupandosi proprio di procedure di foreclosure e relativi espropri, e che ha scoperto subito l’omissione di alcuni passaggi nelle procedure stesse e che è riuscito a farle ammettere in giudizio al dipendente di GMAC, che è stata pure condannata a corrispondergli 27 mila dollari a titolo di onorario, ed è sulla base degli sviluppi di questo caso che le maggiori banche statunitensi si sono viste costrette a bloccare i pignoramenti alcune sull’intero territorio degli USA, altre nei 23 Stati in cui è necessario andare in giudizio, mentre pende la possibilità che si giunga a una moratoria disposta per legge ed è in corso un’indagine federale sulla materia degli espropri!

giovedì 24 febbraio 2011

L'ombra della Libia su Unicredit Group!


Non sono mancati quanti hanno visto nel prolungato black out della Borsa di Milano di martedì un goffo tentativo di contenere la frana dei titoli di società legate alla crisi libica, tonfi davvero sonori nella seduta di lunedì e che la sospensione di quasi cinque ore ha ridotto nell’entità, riducendosi l’operatività a poco più che le aste di chiusura, un’opinione, questa, che mi sento francamente di condividere.

Tra le numerose entità colpite, vi è anche Unicredit Group che vede una presenza libica nel suo azionariato pari al 7,5 per cento, una percentuale che colloca i libici come primi azionisti di un gruppo bancario di grandi dimensioni e che ha perso il suo amministratore delegato, l’ex enfante prodige della finanza italiana, Alessandro Profumo, proprio per non essersi opposto all’ingresso in forze dei libici nell’azionariato in funzione antagonista a quelle fondazioni bancarie, come Cariverona, che sino a quel momento facevano il bello e il cattivo tempo in Unicredit.

Certo, in un momento che vede la Libia in piena guerra civile e con un numero di morti multipli di quelli che ci sono stati in Tunisia e in Egitto non sembra pertinente occuparsi del futuro di un gruppo bancario per quanto importante come Unicredit, tuttavia non si può neanche sorvolare su un problema che va a sommarsi a quelli che da tempo affliggono il gruppo quali la scarsa redditività, la grana dei derivati e i rischi connessi alla presenza nei paesi dell’Europa dell’est, per limitarci solo a quelli principali.


mercoledì 23 febbraio 2011

Una tempesta perfetta sul Nord Africa!


E’ oramai indubitabile che il vento di tempesta che ha scosso la Tunisia, l’Egitto, lo Yemen e ora sta scuotendo sin dalle fondamenta il regime del colonnello Gheddafi promette di interessare anche l’Algeria, il Marocco e la Giordania, si tratta di una sollevazione pressoché simultanea che ha sorpreso gli analisti e gli osservatori, in particolare quella parte del personale delle ambasciate straniere in questi paesi che svolge di fatto un lavoro di intelligence, tutte persone che sono state incapaci di prevedere un sommovimento di tale portata.

La crisi libica si differenzia da quella tunisina e da quella egiziana per la reazione violentissima del regime ai moti di piazza, con l’utilizzo spregiudicato di mercenari e dell’aviazione contro la folla, ma anche perché le proteste non sono state innescate dall’aumento del prezzo dei generi di prima necessità come negli altri due paesi arabi, ma dalla sollevazione contro un regime che è in piedi dal 1969.

Ovviamente, il petrolio è schizzato sopra i 100 dollari al barile e le borse di tutto il mondo, ad eccezione di quella statunitense che lunedì era chiusa per festività, hanno registrato perdite, in particolare quella italiana, anche a causa della presenza di capitale libico in numerose aziende e del ruolo italiano di primo partner commerciale della Libia.

Gli stretti legami tra Silvio Berlusconi e Gheddafi hanno favorito un’intensificazione dei rapporti di Eni, Impregilo e altre società italiane, legami che ora sono visti come una zavorra dalle società interessate, una situazione che è alla base delle incertezze della nostra diplomazia, ministro degli Esteri in primis, che solo all’ultimo minuto si è accodata alla posizione di netta condanna espressa dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America.


martedì 22 febbraio 2011

I repubblicani all'assalto del budget USA!


Lavorando anche di sabato, i nuovi 87 deputati repubblicani stanno sforbiciando la finanziaria di Obama per quest’anno e hanno portato a 61 miliardi di dollari i tagli apportati a centinaia di programmi di spesa federali, dando, al contempo, colpi di maglio a misure volte a salvaguardare l’ambiente in particolare nel settore dell’energia e in quello delle miniere che il governo intendeva chiudere.

Ma l’obiettivo grosso dei repubblicani continua ad essere la riforma sanitaria che Obama è riuscito faticosamente a portare a casa quando aveva la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, una riforma che viene ora minata ai fianchi inaridendo i flussi di denaro pubblico che dovevano alimentarla.

Alla vigilia dell’insediamento della nuova Camera dei Rappresentanti e del Senato rinnovato soltanto per un terzo, Obama aveva cercato di trovare un’intesa bipartisan, ma aveva di fatto ceduto sulla richiesta repubblicana di rinnovare per due anni i tagli fiscali voluti da George W Bush senza eliminarli per il 2 per cento più ricco della popolazione, come aveva invece promesso nel corso dell’infuocata campagna elettorale che lo aveva portato alla Casa Bianca.

Incassato il risultato, i repubblicani nuovi e vecchi hanno immediatamente disseppellito l’ascia di guerra e, così, a meno di due mesi dall’insediamento sparano ad alzo zero sul budget e si preparano in un prossimo futuro a toccare le poche riforme introdotte da Obama, non solo quella sanitaria ma anche quella della finanza!

Marco Sarli

lunedì 21 febbraio 2011

Si riduce il delinquency rate!

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Nei tre anni e mezzo da quando è iniziata l’avventura del Diario della crisi finanziaria, non ho mai omesso o sottovalutato i segnali positivi provenienti dall’economia americana o da quelle degli altri paesi maggiormente industrializzati, omissioni o sottovalutazioni che non avrebbero alcun senso, anche perché io, come tutti, spero che finisca definitivamente la tempesta perfetta, anche se non vedo segnali seri di riforma dei mercati finanziari, riforma necessaria perché il fenomeno non abbia a ripetersi, semmai in modo ancor più distruttivo.

La buona notizia la fornisce la Mortgage Bankers Association, comunicando che nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ‘solo’ l’8,2 per cento dei proprietari di casa ha saltato almeno una rata del mutuo, sensibilmente meno del 9,1 per cento del terzo trimestre o dell’oltre 10 per cento del primo trimestre dell’anno.

Ma, nello stesso tempo, il numero delle case entrate nel processo di foreclosure è salito dal 4,4 al 4,6 per cento, un massimo storico che dovrebbe peggiorare nel corso dell’anno in corso perché sono 5 milioni le abitazioni che sono in qualche stadio del lungo percorso che, spesso, si conclude con la vendita all’asta dell’appartamento.

La riduzione del delinquency rate è comunque un dato positivo che gli economisti del MBA collegano alla creazione di 1,2 milioni di posti di lavoro nel settore privato nel 2010 e alla riduzione del numero di persone che chiedono sussidi, anche se giovedì scorso vi è stato un inatteso balzo in avanti di questo indicatore.

venerdì 18 febbraio 2011

L'inflazione USA rialza la testa!

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Dopo il deludente dato delle vendite al dettaglio in gennaio, sono venuti, nel giro di due giorni, due dati preoccupanti rispetto all’inflazione e un balzo inatteso delle richieste settimanali di disoccupazione, un dato quest’ultimo che sembrava avere preso una china discendente nelle scorse settimane sino al punto da fare sperare che potesse essere infranto verso il basso il muro delle 300 mila unità.

Ma andiamo per ordine, l’altro ieri è stato diffuso il dato sui prezzi all’ingrosso che nella versione totale e quindi non escludendo alcune componenti definite volatili è cresciuto in gennaio dello 0,8 per cento (0,4 per cento nella versione core), una dinamica che prima o poi si rifletterà ineluttabilmente anche sul dato annuo.

Ieri è stata la volta del consumer price index che, sempre in gennaio, è cresciuto dello 0,4 per cento, mentre il CPI core è cresciuto dello 0,2 per cento, il doppio esatto di quanto previsto dagli analisti, mentre la variazione rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è stata dell’1 per cento, contro una previsione dello 0,9 per cento.

Quello che dicono questi due dati, attentamente monitorati dalla Federal Reserve, è che il trend discendente dell’inflazione ha ormai toccato il punto più basso alcuni mesi fa e ora può solo risalire con buona pace della politica dei tassi di interesse sui finanziamenti concessi dalla Fed alle banche dovrà presto allontanarsi da quel corridoio compreso tra zero e 0,25 per cento per tornare a livelli più ragionevoli, proprio quanto sostengono i membri del Federal Open Market Committee dissenzienti rispetto all’infimo livello dei tassi e al Quantitative Easing II.

Ma il balzo in avanti di 25 mila unità nei jobless claims, da 385 mila a 410 mila unità, preoccupa molto di più dei dati relativi all’inflazione, anche se il dato continua ad essere molto più basso del picco di 651 mila toccato nel marzo del 2009 quando l’economia statunitense era nel punto più basso della recessione.

giovedì 17 febbraio 2011

Madoff attacca le banche!

In una serie di interviste concesse al New York Times, Bernard Madoff, l’uomo condannato a 150 anni di carcere per aver truffato migliaia di investitori utilizzando una versione aggiornata dello schema di Ponzi, ha dichiarato che banche e hedge funds non potevano non sapere dell’esistenza del suo schema e che, anzi, erano complici di un’operatività che si è conclusa con un buco di svariate decine di miliardi di dollari.

Con un sapiente dosaggio delle informazioni, Madoff non ha fatto il nome di quelle banche né di quegli hedge funds, limitandosi a dire che l’atteggiamento prevalente dei suoi interlocutori operanti in queste entità era del tipo “se stai facendo qualcosa di sbagliato noi non lo vogliamo sapere”, ribadendo tuttavia che essi non potevano non sapere.

Il bancarottiere settantaduenne è ristretto al Burtner Federal Correctional Complex è libero di comunicare con l’esterno via e-mail, ma ha anche avuto la possibilità di un colloquio di due ore con la giornalista Diana B. Henriques, che oltre agli articoli sul quotidiano sta scrivendo un libro sul caso che ha sconvolto il mondo della finanza e minato la fiducia degli investitori e dei risparmiatori nelle entità protagoniste di quello stesso mondo.

Certamente le dichiarazioni di Madoff hanno fatto provare qualche brivido ai massimi esponenti di J.P. Morgan-Chase, la banca contro la quale l’organismo incaricato da una corte di giustizia ha avanzato un esposto nel quale si afferma che la banca aveva la consapevolezza che vi fosse qualcosa di sbagliato nell’operatività di Madoff.

mercoledì 16 febbraio 2011

Vendite USA a passo di lumaca!

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Vi era molta attesa ieri negli Stati Uniti d’America per il dato sulle vendite al dettaglio nel mese di gennaio, anche perché non solo tutti scommettevano sul settimo dato positivo consecutivo, ma anche sul fatto che si sarebbe ripetuto come minimo quel +0,6 per cento registrato nel mese di dicembre.

Vi era anche un motivo in più per sperare ed era legato alla riduzione dei contributi scattata proprio in gennaio e che ha lasciato più soldi nelle tasche dei lavoratori, per non parlare poi della prosecuzione degli sgravi fiscali varata dopo il compromesso tra Obama e i repubblicani, una prosecuzione che pur non portando vantaggi ulteriori esercita comunque un effetto psicologico sui consumatori.

E invece la crescita è stata solo di un modesto 0,3 per cento, il dato più basso dal giugno 2010, ed è stata anche una crescita molto concentrata nella grande distribuzione, con il dovuto corollario che nei negozi normali le cose sono andate molto meno bene, tutti fenomeni che gli ottimisti a un tanto al chilo attribuiscono alle avverse condizioni metereologiche e non, come più probabile, come una sana reazione alle esagerazioni avvenute nel periodo natalizio.

Va tuttavia considerato che nel confronto con il punto più basso delle vendite al dettaglio, verificatosi in quel terribile dicembre 2008, si registra un incremento del 13,5 per cento, anche se ci sono voluti venticinque mesi per realizzare questo incremento.

martedì 15 febbraio 2011

La grande caccia al tesoro!


La caccia al tesoro del dimissionario presidente dell’Egitto Hosni Mubarak non sarà né semplice né facile, anche se la Svizzera si è precipitata a congelare tutti i depositi riconducibili all’ex capo dell’Egitto e alla sua famiglia, ma sarebbe da ingenui pensare che un personaggio scaltro come Mubarak abbia concentrato tutte le sue ricchezze nella Confederazione elvetica, uno Stato che non è più la fortezza inespugnabile che era un tempo, come dimostra peraltro la velocità del congelamento, decisa quando non era ancora asciutto l’inchiostro della firma apposta in calce alla lettera di dimissioni.

D’altra parte, le vie per nascondere le tracce di un tesoro che Mubarak ha iniziato ad accumulare sin da quando era un alto ufficiale dell’esercito egiziano sono realmente infinite ed esistono porti ancora sicuri come Hong Kong dove le richieste di informazioni e le rogatorie internazionali vengono rispedite al mittente senza neanche essere aperte.

Le stesse dimensioni del tesoro sono alquanto incerte, si va, infatti, da stime si 70 a 170 milioni di dollari, cifre comunque immense per un presidente che riceveva come compenso mensile un cifra di poco superiore agli 800 dollari, un tesoro che avrebbe trovato alimento nel discusso processo di privatizzazioni iniziato nel 1990.

Sorprende che la famiglia Mubarak sia ancora in territorio egiziano, in una località del Mar Rosso, una decisone certo legata alle gravi condizioni di salute, che si tratti di una misura restrittiva decisa dall’esercito, una decisione alla quale non sarebbe estranea l’appena iniziata caccia al tesoro!

lunedì 14 febbraio 2011

Tintinnio di manette a Wall Street! (3)

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La Securities and Exchange Commission ha reso noto di aver intentato un’azione contro tre top manager di IndyMac Bancorp, un’entità che svolgeva funzioni di holding nell’ambito del gruppo IndyMac, miseramente fallito nel giugno del 2008, per aver fornito false informazioni agli investitori sul disastroso stato di salute del gruppo.

Dei tre indagati, solo Blair Abernathy, codirettore finanziario, ha deciso di patteggiare accettando di pagare una multa di 100 mila dollari e la restituzione di una somma pari a 26.592 dollari, somma inclusiva dei relativi interessi.

Più spavaldo l’atteggiamento dell’ex amministratore delegato, Michael Perry e dell’altro direttore finanziario, Scott Keys che hanno rigettato tutte le accuse, decisi a far valere le loro ragioni di fronte al giudice.

Secondo la Sec, i tre avrebbero elaborato rapporti destinati al pubblico, rapporti che rappresentavano lo stato di salute del gruppo IndyMac in modo completamente distorto ed ingannevole e facevano ciò pur disponendo sia nel 2007 che nella prima metà del 2008 di tutte le informazioni che dimostravano come il gruppo stesse andando al collasso.

Come ho spesso scritto nel Diario della crisi finanziaria, è sempre più concreto il rischio che l’un tempo rutilante mondo della finanza venga sommerso da una miriade di cause civili o penali per i comportamenti tenuti prima, durante e dopo la tempesta perfetta.

venerdì 11 febbraio 2011

Mario Draghi nuovo capo della BCE?


Se verrà confermata l’intenzione dell’attuale presidente della Bundesbank, Axel Weber, di non rinnovare il suo mandato, rinunciando così alla corsa alla successione di Jean Claude Trichet, aumenteranno, e non di poco, le chance di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e presidente del Financial Stability Board.

Mentre l’Italia viene vista all’estero con incredulità e sarcasmo per le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, la credibilità di Draghi nel consesso internazionale non è mai stata scalfita neppure da un ombra e, nella sua veste di numero uno del FSB, lavora da anni alla riscrittura delle regole della finanza internazionale, una sorta di missione impossibile che dovrebbe riportare alla normalità quello che Nicholas Sarkozy ebbe a definire un mercato completamente impazzito o, a mio parere un immenso casinò a cielo aperto.

L’ascesa di Draghi, comunque, non sarà né semplice né facile, in quanto gli appetiti sulla poltrona di Trichet caratterizzano numerosi paesi dell’area dell’euro e difficilmente la Germania rinuncerà a piazzare uno dei suoi uomini, come l’attuale capo del fondo salva Stati, Klaus Regling, ma candidature vengono anche dal Lussemburgo e dalla Finlandia.

Draghi è stato per dieci anni direttore generale del Tesoro con delega alle privatizzazioni, poi alla guida della presenza europea della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs per poi prendere il posto di Antonio Fazio alla guida della Banca d’Italia.


giovedì 10 febbraio 2011

Bernspan sulla graticola alla Camera!


Quella di ieri è stata la prima audizione di Bernspan davanti ad una Camera dei Rappresentanti che da poco più di un mese è dominata a larga maggioranza dai repubblicani, ma è da questi che ha ricevuto le maggiori punzecchiature, se non critiche aperte per il ruolo interventista nell’economia che la Federal Reserve sta esercitando.

Eppure Bernspan non è solo un repubblicano, ma ha servito come capo economista della Casa Bianca ai tempi di George W Bush e che da quel presidente è stato designato alla guida della Fed all’inizio del 2008, mentre è sotto Obama che ha ricevuto il secondo mandato, seppure con il più basso margine di voti mai ottenuto da un presidente della banca centrale americana, proprio per i voti contrari provenienti dalle fila del suo stesso partito.

Più che il ruolo svolto insieme al Tesoro nella gestione dei due anni più duri della tempesta perfetta ancora in corso, incluso quell’incredibile decisione di lasciare fallire Lehman Brothers, quello che i repubblicani proprio non sopportano sono i due mega tentativi di rinvigorire l’economia attraverso l’acquisto di titoli di Stato, il Quantitative Easing I da 1.700 miliardi di dollari e il Quantitative Easing II da 600 miliardi di dollari che è tuttora in corso.

Uno dei suoi maggiori detrattori è oggi lo speaker della Camera, mentre a guidare l’opposizione repubblicana al Senato è un altro dei suoi nemici, ma è chiaro che il fronte repubblicano è dsposto a deporre le armi di fronte ad un fermo invito di Bernspan al Congresso a tagliare la spesa pubblica, cosa che è nelle corde della maggior parte dei repubblicani sia eletti che elettori.

martedì 8 febbraio 2011

La FDIC aggredisce i bonus USA!


Quella di oggi è la puntata numero 800 del Diario della crisi finanziaria, il diario di bordo non ufficiale della tempesta perfetta iniziata il 9 agosto del 2007, anche se sinistri scricchiolii della potente flotta dei vari soggetti che compongono il mercato finanziario si erano già avvertiti nei primi mesi di quell’anno; colgo l’occasione per ringraziare i lettori che sin dal settembre del 2007 hanno seguito questo sforzo quotidiano.

La Federal Deposit Insurance Corporation ha proposto che solo il 50 per cento dei bonus per i manager delle grandi banche statunitensi possa essere pagato in contanti, mentre l’altra metà dovrà essere differita di tre anni.

Si tratta di una proposta timida rispetto a quanto è stato previsto a dicembre scorso nell’Unione europea, dove è già previsto che i top bankers non possano ricevere che il 20 per cento dei bonus in contanti.

Sia al di qua che al di là dell’Oceano Atlantico, le mosse avvenute o in preparazione dei regolatori stanno spingendo ad un innalzamento dei compensi fissi dei top manager, come è già avvenuto nella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e in Citigroup, con la triplicazione dello stipendio di Larry Blankfein di Goldman e la fissazione di uno stipendio di 1,75 milioni di di dollari per il numero uno di Citi.

Le banche statunitensi cui verrà applicata, se approvata la proposta della FDIC sono quelle con oltre 50 milioni di dollari di assets e, cioè, oltre alle due già citate, Bank of America, Wells Fargo, J.P. Morgan Chase e Morgan Stanley.



lunedì 7 febbraio 2011

Pochi nuovi occupati negli USA!

skip to main | skip to sidebar Venerdì scorso è stato reso noto il Non Farm Payrolls relativo al mese di gennaio e le attese erano di un saldo positivo di 150 mila unità circa e di un lieve peggioramento del tasso di disoccupazione che gli analisti prevedevano passasse dal 9,4 al 9,5 per cento, due dati che, come è noto, sono frutto di due indagini separate.

Nella realtà, le cose sono andate in modo alquanto diverso, con le nuove buste paga cresciute soltanto di 36 mila unità, mentre il tasso di disoccupazione ha registrato una forte contrazione portandosi al 9,0 per cento, quattro punti decimali in meno rispetto alla precedente rilevazione e otto rispetto a quella di pochi mesi fa.

La divergenza tra i due dati è spiegabile con la crescita dei cosiddetti scoraggiati, persone che pur non lavorando, e in certi casi da molto tempo, hanno smesso di cercare un posto di lavoro, accontentandosi di vivere di sussidi e buoni pasto, nonché della protezione offerta dal lavoro di uno o più familiari.

La sostanziale stabilità del Non Farm Payrolls dopo alcuni mesi di relativa crescita preoccupa non poco analisti ed economisti consapevoli che servono saldi positivi di questo indicatore nell’ordine delle 4-500 mila unità al mese per fare, nel giro di qualche anno, tornare la situazione del mercato del lavoro ai livelli precedenti l’avvento della tempesta perfetta, così come sono consapevoli che senza un trend di questo tipo difficilmente migliorerà la situazione nel disastrato settore immobiliare.

venerdì 4 febbraio 2011

Perché non possono salire i tassi!

La decisione della Banca Centrale Europea di mantenere all’1 per cento il tasso della repo con le banche, così come i ripetuti nulla di fatto del Federal Open Market Committee della Federal Reserve rendono chiaro anche a chi non vuole sentire che la crisi finanziaria è tutt’altro che terminata e che, anzi, si sta trasformando sempre più in una crisi sociale dai contorni sempre più inquietanti e dagli esiti difficilmente prevedibili.

Basta vedere quello che sta succedendo nel mondo arabo, dalla Tunisia all’Egitto, ma anche il Marocco e la Giordania sono in fermento, crisi politiche contro regimi decennali spesso innescate dall’incremento vertiginoso dei generi di prima necessità, a loro volta oggetto della speculazione internazionale via derivati, così come accade per il prezzo del petrolio ormai stabilmente sopra quota 90 dollari al barile.

Sia la Fed che la BCE sembrano non vedere i focolai di inflazione sempre più sotto gli occhi di tutti, eppure i loro tetti di inflazione su base annua sono già superati e, in un altro contesto avrebbero già fatto tramontare l’epoca del denaro a tasso zero, per le sole banche si intende, negli Stati Uniti d’America, e lo stesso, anzi con maggiore celerità, sarebbe accaduto a quel livello così infimo per la storia della BCE e prima ancora della Bundesbank.

Il problema è che la ripresa stenta a partire sia al di là che al di qua dell’Oceano Atlantico e nessuno ha il coraggio di tirare la corda del boia, riportando il livello dei tassi di interesse a valori più elevati!

giovedì 3 febbraio 2011

L'industria USA va su, le case vanno giù!


La componente manifatturiera dell’indice ISM (Institute for Supply Management) si è portata in gennaio appena al di sopra di 60, conseguendo il diciottesimo dato positivo consecutivo, ed è importante che da parecchi mesi l’indice si trova al di sopra di quel valore di 50 che indica espansione.

D’altra parte, che le cose stiano migliorando nel settore manifatturiero è comprovato dal fatto che nel 2010 il settore ha aggiunto 136 mila posti di lavoro, il primo dato positivo netto dal 1997 e che segnala un’inversione di tendenza che lascia ben sperare per il prossimo futuro, anche se non va dimenticato che, nel comparto manifatturiero, sono stati persi 2,2 milioni di posti di lavoro nel biennio 2008-2009.

A guidare la ripresa sono le esportazioni di macchinari e la crescita degli acquisti di auto e computer da parte degli americani, anche al dato positivo del settore non è estraneo il cosiddetto ciclo delle scorte, mentre continua ad essere negativo l’apporto del settore delle costruzioni.

Come che sia, il dato ha spinto verso l’alto gli indici azionari al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico e l’indice Dow Jones ha chiuso martedì per la prima volta al di sopra della soglia psicologica dei 12 mila punti dal 2008.



mercoledì 2 febbraio 2011

S&P's spara sulla mezzaluna rossa!


Con grande tempestività, l’agenzia di rating Standard&Poor’s ha degradato il debito dell’Egitto da BB+ a BB, una decisione che fa un po’ sorridere visto la situazione prerivoluzionaria in cui è immerso il grande paese arabo, che proprio ieri ha visto milioni per le strade gioiosamente per le strade a chiedere la cacciata del presidente Moubarak.

In piena tempesta perfetta si è assistito a un ben diverso atteggiamento da parte delle agenzie di rating che degradarono Lehman Brothers solo dopo il fallimento, un’inerzia che non poca parte ebbe nelle disavventure di portatori di obbligazioni Lehman che forse avrebbero avuto una possibilità di salvarsi se avessero ricevuto un qualche segnale dalle tre grandi società di rating statunitensi.

Uno tra i tanti nodi irrisolti della tempesta perfetta è proprio rappresentato dal conflitto di interessi esistente nell’ambito delle società di rating, una situazione che è chiaramente rappresentata dal fatto che queste società da un lato esprimono un giudizio sulle emissioni di titoli e dall’altro fanno consulenza agli emittenti.

D’altra parte perché meravigliarsi di questo quando le tanto sbandierate riforme del mondo della finanza non hanno prodotto neanche reale efficaci per mettere il sale sulla coda a quanti speculano, via derivati, sulle materie prime!

martedì 1 febbraio 2011

Zapatero alle corde!


In un’intervista televisiva Josè Luis Zapatero ha affrontato il cruciale tema della disoccupazione in Spagna, giunta al 20,3 per cento alla fine dello scorso anno e che, secondo il premier spagnolo, non potrà registrare che segnali lievi di miglioramento nell’anno in corso, una previsione pessimistica che spiega bene perché nei sondaggi il suo partito sia intorno al 30 per cento, mentre il partito popolare viene dato al 44 per cento.

Zapatero confida comunque molto nella riforma in corso delle casse di risparmio, che sono state ricapitalizzate dalla banca centrale spagnola per oltre 15 miliardi di euro e che dovrebbero riprendere ad erogare prestiti alle famiglie e alle imprese, un ciclo virtuoso che dovrebbe spingere verso l’alto, seppure in maniera non rilevante, il tasso di occupazione.

La Spagna risulta essere uno dei paesi europei maggiormente colpiti dagli effetti sociali della tempesta in corso, anche perché la bolla immobiliare fragorosamente esplosa era non troppo difforme da quella statunitense, senza dimenticare che il settore delle costruzioni è stao parte importante della forte crescita registrata negli anni passati.

La Spagna, insieme all’Italia, resta, d'altra parte, l’obiettivo grosso nel mirino della speculazione internazionale che per ora resta alla finestra ma che sta scaldando i motori per una battaglia che potrebbe essere favorita dal nulla di fatto sia nella recente riunione dell’Ecofin che in quella dell’Eurogruppo.