venerdì 29 aprile 2011

La prima volta di Bernspan! (2)


La prima conferenza stampa di Bernspan al termine dei due giorni di seduto del Federal Open Market Committee è stata salutata con favore dai mercati, con i tre principali indici in progresso a livelli non toccati dalla primavera del 2008, anche se ancora lontani dai massimi toccati nell’ottobre del 2007, quando i venti impetuosi della tempesta perfetta soffiavano già da tre mesi ma il mercato azionario sembrava infischiarsene.

La cosa che più è piaciuta è stata la previsione di un miglioramento del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe portarsi all’8,4 per cento dall’attuale 8,8 per cento che già è in miglioramento di un punto pieno percentuale rispetto ai massimi registrati nel pieno della crisi finanziaria, una previsione che supera come impatto la delusione per la correzione al ribasso delle stime sulla crescita vista al 3,3 per cento con un rallentamento nell’ultima parte dell’anno.

Né per i mercati è una preoccupazione il significativo innalzamento delle stime sull’inflazione, con il CPI visto crescere tra il 2,3 e il 2,8 per cento, una crescita significativamente superiore alla forchetta precedente che prevedeva un massimo a 1,7 per cento.



giovedì 28 aprile 2011

La prima volta di Bernspan!




Ieri si è tenuta la prima conferenza stampa di un presidente della Federal Reserve e a questo primo appuntamento ne faranno seguito altri tre, in quanto, d’ora in poi, Bernspan, o chi gli succederà, si sottoporrà a 45 minuti di domande dei giornalisti dopo un prologo di un quarto d’ora in cui fornirà verosimilmente un quadro dello scenario macroeconomico nel quale si inserisce la politica monetaria.


Con questa decisione la Fed si allinea a quanto già succede alla Banca Centrale Europea o alla Bank of England, istituzioni che da tempo prevedono che il rispettivo numero uno si sottoponga al fuoco di fila delle domande dei giornalisti, una prassi che è intesa a dare una parvenza di trasparenza rispetto ai meccanismi decisionali delle rispettive banche centrali.


I precedenti storici dei rapporti tra Bernspan e la stampa, in particolare con l’implacabile Mary Bartiromo di CNBC, non sono stati sempre felici, ma è certo che l’uomo tirerà fuori l’abilità di professore, ha insegnato a lungo alla prestigiosa università di Princeton, per cercare di schivare le domande più insidiose e, soprattutto nel trovare risposte che non provochino soprassalti dei mercati.


Maggiori ragguagli su quanto dirà Bernspan saranno presenti nella puntata di domani del Diario della crisi finanziaria.





mercoledì 27 aprile 2011

Nuvole nere sull'area dell'euro!


Lo sforamento delle previsioni sul rapporto deficit/pil di Grecia, Irlanda e Portogallo gettano un’ombra inquietante sulla possibilità che questi tre paesi possano tornare nell’ambito dei parametri previsti dal trattato di Maastricht che per quanto riguarda il deficit prevedono che lo stesso non possa superare il 3 per cento del prodotto interno lordo, anche perché la scadenza prevista, il 2014, è meno lontana di quanto possa a prima vista sembrare.

Il dato certificato da Bruxelles vede la Grecia al 10,5 per cento del pil, quasi un punto in più della previsione che lo vedeva al 9,6 per cento, mentre il rapporto tra il debito pubblico e il pil si attesta a 142,8 per cento, un dato che si colloca ben al di sopra del 140,2 previsto, il tutto dopo che la Grecia ha ricevuto aiuti per 110 miliardi di euro.

L’altro paese destinatario degli aiuti, l’Irlanda, ha sforato solo di un punto decimale le previsioni sul rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, il problema è che lo stesso rapporto si pone a un proibitivo livello di 32,4 per cento un livello superiore di oltre dieci volte il limite consentito dal trattato, mentre il Portogallo, con il suo deficit al 9,1 per cento del pil, ha sforato di circa due punti le previsioni.

Come si dice in gergo, tali numeri erano già scontati dai mercati europei che ieri hanno viaggiato su valori positivi, in attesa della riunione della Federal Reserve e del prossimo salvataggio che dovrebbe riguardare il Portogallo.


martedì 26 aprile 2011

Notizie dagli States!


Dopo aver toccato in febbraio un minimo storico, le vendite di nuove case negli Stati Uniti d'America sono cresciute in marzo dell'11 per cento portandosi ad un dato annualizzato di 300 mila case, il che vuol dire 25 mila case vendute al mese, un dato ben distante da quel valore di oltre 60 mila nuove case vendute al mese che caratterizza le fasi di salute del mercato immobiliare a stelle e strisce.

Accanto alla crescita delle nuove case vi è un dato molto allarmante che è dato dallo stock di nuove case da vendere giunto in marzo ad un minimo degli ultimi 43 anni e mezzo con 187 mila case, un dato che ben testimonia come i costruttori stiano riducendo al lumicino l'attività alla luce della scarsità della domanda dovuta in gran parte alla concorrenza delle case messe all'asta da banche e finanziarie.

Un altro indicatore da tenere sotto osservazione è il prezzo mediano delle nuove case, calato in marzo del 4,9 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, una flessione che avvicina maggiormente il prezzo delle nuove case a quello delle case esistenti, una differenza di poco più di 50 mila dollari che era di 80 mila nel gennaio di quest’anno.





venerdì 22 aprile 2011

Oro, petrolio...

Dopo una virata alquanto brusca verso il basso, i prezzi del petrolio sono tornati a crescere riportandosi negli Stati Uniti intorno a 112 dollari al barile, mentre l’oro giallo è oramai stabilmente da qualche seduta nell’area dei 1.500 dollari l’oncia, una quotazione quest’ultima che la dice lunga sulle preferenze di quanti, e sono tanti, si sono bruciati le dita investendo nei vari titoli della finanza strutturata o in azioni a causa degli alti marosi della tempesta perfetta, in particolare nel periodo che va dall’autunno del 2007 alla primavera del 2009.

Sul petrolio aveva giocato un documento della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs che aveva reso noto che i livelli previsti dai suoi analisti erano stati superati, girando presumibilmente le posizioni a danno dei pesci piccoli che continuano a muoversi attorno alle corazzate della finanza, per poi rigirarsi nuovamente in un’ottica rialzista ricominciando a macinare profitti spesso a danno di quelli che avevano creduto ad una svolta effettiva del mercato.

Il problema resta sempre quello dello stato delle finanze pubbliche al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, anche se anche il Giappone sotto questo profilo non se la passa gran che bene, un problema che è esploso in tutta la sua evidenza per alcuni paesi dell’area dell’euro e sta colpendo ora anche gli Stati Uniti, con Obama che sta iniziando la sua campagna elettorale proprio dal disastro dei conti pubblici e dalla sua diversa ricetta per uscire da questa situazione rispetto a quella con l’accetta propugnata dai repubblicani e dai tea parties.

giovedì 21 aprile 2011

Standard & Poor's passa a negativo l'outlook sugli USA! (2)

Guardando i rendimenti dei Treasury Bonds a dieci anni nei due giorni successivi all’annuncio di Standard & Poor’s di avere cambiato il proprio outlook da stabile a negativo poteva sembrare che, invece di una notizia negativa si trattasse di una notizia positiva, in quanto si è registrato un calo dei rendimenti e, quindi, un rialzo dei prezzi, segno a mio avviso che mani forti siano intervenute sul mercato, prima di tutte quelle della Fed.

Siccome andare contro il mercato si può fino a un certo punto, ieri i rendimenti hanno ripreso a crescere e i prezzi correlativamente a diminuire, ma questo, a mio avviso, non è che l’inizio perché una volta che si è constato che il re è nudo è difficile che le cose tornino come prima, anche perché il deficit è oramai da tre anni sopra la soglia dei mille miliardi di dollari, 1.500 per l’anno fiscale corrente, e il tetto al debito è prossimo a essere raggiunto.

Quello che appare strano e che nessuno degli economisti che hanno visto sfracelli dietro ogni angolo si sia peritato di mettere in guardia contro il vero pericolo che minaccia gli Stati Uniti d’America, un pericolo che non si tradurrà immediatamente in cali vertiginosi dei prezzi dei titoli di Stato americani ma che procederà a gradini, quanto erti lo scopriremo solo strada facendo!

mercoledì 20 aprile 2011

Standard & Poor's passa a negativo l'outlook sugli USA!


In una recente puntata del Diario della crisi finanziaria, avevo sottolineato l’importanza della scelta di Pimco, uno dei maggiori fondi di investimento al mondo, di andare corto di titoli di Stato statunitensi ed ecco che arriva la notizia che Standard & Poor’sha deciso di rivedere le prospettive del debito pubblico statunitensi da stabile a negativo, una decisione che potrebbe portare, con una probabilità su tre al declassamento dalla tripla A ad un gradino di meno, il tutto giustificato dall’incapacità delle autorità americane di riportare sotto controllo il deficit e iniziare a ridurre il debito.

Le reazioni della Casa Bianca e dei due maggiori partiti a stelle e strisce sono state improntate alla lesa maestà, con dichiarazioni ufficiali che sottolineano l’incapacità dell’agenzia di rating di comprendere la forza dello spirito bipartisan che dovrebbe portare a tagli di 38 miliardi di dollari su un deficit che viaggia alla velocità di 1.500 miliardi, mentre il debito sta per sfondare il tetto di 14.000 miliardi di dollari, livelli che avrebbero portato a ripetuti declassamenti se avessero caratterizzato un paese diverso dagli Stati Uniti d’America!

La notizia ha fatto presto il giro del mondo lunedì e le borse si sono messe all’unisono in territorio negativo, tendenza che è proseguita ieri sui mercati asiatici, caratterizzati da due paesi, la Cina e il Giappone che sono i maggiori possessori di titoli di Stato statunitensi, mentre ora si aspetta cosa faranno Moody’s e Fitch’s le altre due società di rating.

Marco Sarli

martedì 19 aprile 2011

L'incognita finlandese!


La politica di aiuti ai paesi dell’area euro super indebitati rischia di trovare un forte ostacolo nel nuovo esecutivo che mergerà dalle elezioni di domenica scorsa in Finlandia che hanno visto la netta sconfitta della premier uscente e la forte affermazione di un partito nazionalista ed antieuropeo dal bizzarro nome i veri finlandesi, un partito che ha condotto la campagna elettorale all’insegna della xenofobia e promettendo il blocco degli aiuti ai paesi in difficoltà, chiarendo che, se fossero andati al governo, il Portogallo poteva scordarsi il piano di aiuti.


Il problema sta nel fatto che è convinzione comune che, senza un piano di aiuti, il Portogallo non potrà farcela da solo a risanare i conti e a respingere gli assalti della speculazione internazionale, che non ha mollato la presa neanche quando da Bruxelles è pervenuta la notizia della richiesta ufficiale di aiuti da parte del governo portoghese, un’assenza di tregua dovuta al fatto che l’instabilità politica portoghese determinava un assenza di interlocutore credibile per i negoziati con l’eurogruppo, l’Unione europea e il Fondo Monetario Internazionale.


Anche prima della svolta politica finlandese, non mancavano i problemi per giungere al terzo salvataggio, dopo quelli di Grecia e Irlanda, vista l’opposizione di numerosi stati che si sono costituiti in un gruppo informale per influenzare l’andamento dei negoziati futuri con gli Stati richiedenti gli interventi, anche se finora si era trattato più che altro di pressioni sul tasso da applicare agli aiuti, mentre ora si profila la possibilità di un veto nei confronti dei piani di salvataggio!

lunedì 18 aprile 2011

Fino a quando Bernspan potrà ignorare l'inflazione?

Il Consumer Price Index statunitense in marzo diffuso venerdì scorso ha rafforzato la pattuglia di analisti che non prevedono un aumento dei tassi da parte della Federal Reserve prima dell’anno prossimo e questo anche se l’indice complessivo viaggia oramai a tassi di crescita su base annua del 2,7 per cento e a una variazione mensile dello 0,5 per cento.

Quello che tranquillizza i suddetti analisti è il fato che l’indice core, quello che cioè esclude alimentari e prodotti energetici, è cresciuto solo dello 0,1 per cento, mentre il tendenziale annuo viaggia all’1,2 per cento, ben al di sotto di quella soglia di allarme del 2 per cento che indurrebbe il Federal Open Market Committee a porsi il problema se sia il caso di abbandonare la politica dei tassi prossimi allo zero.

La risposta europea al rialzo dell’inflazione, da noi non si distingue troppo tra l’indice complessivo e quello depurato, è stata già data dai neotemplari della Banca Centrale Europea che hanno deciso, nel loro ultimo conclave di alzare di un quarto di punto il tasso di riferimento che da alcuni anni era fissato all’uno per cento, mossa comunicata come non l’inizio di una serie, mentre io ritengo che sarà seguita da altri aumenti nei mesi prossimi.

Non so per quanto tempo la banca centrale americana e quella giapponese potranno continuare a ignorare l’effetto di trasmissione che dai prezzi delle materie prime energetiche passa alla vasta gamma di prodotti che vengono acquistati giornalmente dai consumatori, ma credo proprio che questa sottovalutazione non potrà durare sino alla fine dell’anno.


venerdì 15 aprile 2011

Cosa sta accadendo nelle grandi banche USA? (2)


Come annunciavo nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, la prima delle quattro grandi banche statunitensi ad annunciare i risultati per il primo trimestre di quest’anno è stata J.P. Morgan Chase, che ha reso noto di aver conseguito profitti per 5,6 miliardi di dollari, in aumento del 67 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e un utile per azione di 1,25 dollari rispetto i 74 centesimi conseguiti nel primo quarto del 2010.

Il risultato è stato poco influenzato dal calo dei ricavi che, sempre su base annua, sono passati dai 27,7 miliardi di dollari del primo trimestre dell’anno scorso ai 25,2 miliardi conseguiti nello stesso periodo di quest’anno e sono stati invece fortemente favoriti dal netto calo, per 2 miliardi di dollari circa, degli accantonamenti sulle carte di credito, legato al miglioramento di quasi mezzo punto della percentuale di insolventi sul totale degli utilizzatori di carte, mentre continua a pesare il comparto dei mutui a causa del perdurante meltdown immobiliare, una situazione che, secondo il numero uno della banca, è destinato a continuare per ancora molto tempo.

Gli investitori hanno letto correttamente queste criticità e il valore dell’azione, dopo un iniziale balzo in avanti ha perso qualcosa, anche alla luce della notizia che la Federal Reserve ha intimato ad alcune banche di rimborsare i mutuatari colpiti ingiustamente da procedure di foreclosure, un ordine che ha avuto effetti ben maggiori delle conseguenze pratiche dello stesso!

giovedì 14 aprile 2011

Cosa sta accadendo nelle grandi banche USA?


Inizia oggi la stagione delle presentazioni dei bilanci delle grandi banche statunitensi per il primo trimestre di quest’anno e ad aprire le danze è J.P. Morgan Chase, seguita a ruota da Bank of America, l’unica tra le grandi alla quale la Federal Reserve non ha consentito di alzare i dividendi, possibilità invece accordata a J.P. Morgan Chase, a Citigroup e a Wells Fargo, mentre la potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs e Morgan Stanley non sono soggette a restrizioni sulla loro politica dei dividendi,

Il problema degli aumenti nel pagamento agli azionisti sta in due aspetti, il primo legato al cambiamento nella politica degli accantonamenti su crediti che ha trasformato in ricavi poste prudenzialmente accantonate per rischi presenti e futuri, mentre il secondo è legato alla non ancora risolta questione delle pratiche, spesso disinvolte seguite per rientrare in possesso delle case su cui gravano mutui in arretrato sulle rate per pochi o molti mesi, procedure sulle quali stanno indagando i procuratori generali di 50 Stati.

Ma quello che è andato molto bene è il trading su materie prime, petrolio in testa, azioni e obbligazioni, un mercato molto volatile come sta dimostrando la brusca interruzione del movimento al rialzo del prezzo del greggio, un’interruzione seguita di poco da una nota di Goldman Sachs nella quale si avvertiva che il prezzo aveva già superato le previsioni della case e preceduta certamente dall’inversione delle posizioni di Goldman in quel mercato!


mercoledì 13 aprile 2011

Terremoto, tsunami e tempesta perfetta! (5)



Quello che è accaduto ieri era già prevedibile in quanto scritto nelle quattro puntate del Diario della crisi finanziaria dedicate al disastro della centrale nucleare di Fukushima, ed ora è certo che la catastrofe in corso in quel sito caratterizzato dalla presenza di sei reattori in tutto o in parte fuori controllo è stato classificato al livello 7 della scala internazionale volta a misurare gli incidenti nucleari, un livello che per ora è il massimo e che è stato occupato a lungo in solitudine da quanto accadde nell’aprile del 1986 nella centrale di Chernobyl.


Nell’ultima puntata in cui mi sono occupato del disastro si fornivano i dati relativi alla contaminazione, dati che venivano definiti a livelli da brividi: 1,1 milioni di volte i limiti consentiti per il cesio 137 e 8,5 milioni di volte per lo iodio 131, livelli riferiti ad un campione prelevato prima dello sversamento in mare di decine di migliaia di tonnellate d’acqua proveniente dalla centrale, mentre, si ricordava, non era più sufficiente l’area di 30 chilometri soggetta ad evacuazione, perché livelli di radioattività superiore alla norma sono stati rilevati a distanze maggiori.

Non posso che concordare con quanto affermato ieri dall’inviato di un grande quotidiano italiano e, cioè, che quanto sta accadendo nella centrale nucleare nipponica potrebbe superare facilmente quanto accade nella centrale russa, anche perché lì l’incidente fu subitaneo e in tempi relativamente brevi le squadre di intervento costruirono un sarcofago sopra il reattore, mentre a Fukushima si va a tentoni mentre i rischi crescono ogni giorno che passa sia per la popolazione che per i kamikaze utilizzati per tenere sotto controllo una situazione che diventa sempre più incontrollabile.

martedì 12 aprile 2011

Pimco va corto di titoli di Stato USA!


Mentre il petrolio registra una lieve flessione in gran parte spiegabile con il rafforzamento del dollaro, giunge la notizia che uno dei più grandi fondi di investimento statunitensi, Pimco, è andato corto in marzo di titoli del tesoro USA, sta cioè vendendo titoli che non ha per il 3 per cento del totale delle sue attività, mentre in febbraio la sua posizione in Treasury Bonds e Treasury Bills era pari a zero.


Non credo di dovere molte spiegazione ai miei smaliziati lettori sul significato di una posizione del genere, non a caso spiegata dal prossimo esaurirsi del Quantitative Easing II e dal fatto che la lotta tra repubblicani e democratici al Congresso sul budget ha visto un compromesso su tagli per 38 miliardi di dollari contro un rosso previsto di oltre 1.300 miliardi di dollari e un indebitamento totale oramai prossimo ai 14 trilioni di dollari.


Senza il supporto della Fed e la marea di titoli in mani straniere, in particolare cinesi, il prezzo dei titoli del Tesoro statunitensi colerebbero a picco e i rendimenti andrebbero alle stelle, ad una velocità non molto diversa da quella dei titoli dei paesi dell’area euro per i quali si è dovuti ricorrere agli interventi tripartiti tra FSFB, Unione europea e Fondo Monetario Internazionale o per quelli, come il Portogallo che è in attesa di ricevere gli aiuti richiesti.


Parlo ovviamente di velocità ma non di livelli assoluti, anche se una decisione di parziale alleggerimento dei grandi detentori stranieri potrebbe tradursi in cali dei prezzi ancora più sensibili, mentre è certo che gli investitori istituzionali statunitensi non potranno non tenere conto della mossa di Pimco.



lunedì 11 aprile 2011

Tempi duri per Obama!


Ripubblico questa puntata del Diario della crisi finanziaria del 25 gennaio scorso perché l'accordo sul budget USA che si profila è una chiara vittoria dei repubblicani e una sconfitta del presidente!
*
Che la possibilità di un appeasement tra i vincitori repubblicani e gli sconfitti democratici fosse solo una chimera, è chiaramente dimostrato dall’atteggiamento tenuto dai repubblicani a camere insediate, forti della salda maggioranza ottenuta nella totalmente rinnovata Camera dei rappresentanti e della riduzione dello svantaggio precedentemente esistente al Senato che è stato rinnovato solo per un terzo.

Come oramai tutti sanno, i repubblicani hanno portato a casa l’estensione per due anni dei tagli fiscali voluti da George W Bush, un taglio che include anche quel 2 per cento di americani maggiormente abbienti ai quali, in piena campagna elettorale, Obama aveva promesso che il loro privilegio sarebbe stato cancellato, una scelta, quella del presidente, che molti eletti democratici hanno cercato di contrastare in ogni modo.

La settimana scorsa, la maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti ha aperto le ostilità votando una sostanziale cancellazione della riforma sanitaria pur non riuscendo che marginalmente a far breccia nella minoranza democratica, tre defezioni che hanno reso ancor più forte lo sbilancio tra i due schieramenti.

Ora i repubblicani tentano l’impossibile al Senato, cercando di far passare un analogo disegno di legge per il quale non hanno i numeri, ma che vuole essere nelle intenzioni dei capi del partito un chiaro segnale agli elettori cui era stata promessa in campagna elettorale la cancellazione della riforma fortemente voluta da Obama.

Come avevo scritto in una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, si prospettano tempi davvero cupi per il presidente, al punto da metterne in discussione la rielezione per il secondo mandato!

venerdì 8 aprile 2011

Tanto tuonò che piovve!

Nei due anni e mezzo di vita del Diario della crisi finanziaria ho parlato tante di quelle volte del banchiere di Marino, al secolo Cesare Geronzi, che non voglio esprimere alcun commento o riflessione nel giorno della rovinosa caduta, memore del manzoniano “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”, anche se all’urna metaforica non leverò alcun canto.

Se mi fossi cimentato avrei intitolato l’ode “Tanto tuonò che piovve, un titolo che può riferirsi tanto alla caduta da anni annunciata di Geronzi che all’aumento di un quarto di punto del tasso di riferimento della Banca Centrale Europea, forse l’aumento dei tassi più scontato che si sia visto negli ultimi anni.

In una recente puntata avevo, come l’universo mondo di analisti e previsori, previsto questa decisione dei neotemplari di Francoforte, una decisione che si spiega, non solo e non tanto per il rialzare la testa dell’inflazione, quanto perché la BCE non è che una prosecuzione della storica Bundesbank, quella Buba che rialzava i tassi al primo stormir di fronde, mentre era di una lentezza esasperante nel ridurli, così fanno e faranno i convitati alla tavola, non so se rettangolare o rotonda del consiglio della BCE.

Non vi fate ingannare dall’entità del rialzo, anche se 25 punti base sono sempre un aumento del 25 per cento del tasso precedente che era inchiodato a uno dal lontano 2008, quando il timore che crollasse tutto il casinò a cielo aperto della finanza indusse Trichet e compagni ad adottare una misura percentuale che nella storia della Buba equivale allo zero adottato da Bernspan e complici e dal quale per molto tempo ancora non si allontaneranno, mentre è certo che quello di ieri è solo il primo di una serie di rialzi!


giovedì 7 aprile 2011

Terremoto, tsunami e tempesta perfetta! (4)


Anche se viene relegato in fondo alle pagine online dei principali quotidiani italiani, la crisi nella centrale nucleare giapponese di Fukushima continua a segnalare contaminazioni dell’ambiente circostante a livelli da brividi: 1,1 milioni di volte i limiti consentiti per il cesio 137 e 8,5 milioni di volte per lo iodio 131, livelli riferiti ad un campione prelevato prima dello sversamento in mare di decine di migliaia di tonnellate d’acqua proveniente dalla centrale, mentre non basta più l’area di 30 chilometri soggetta ad evacuazione, perché livelli di radioattività superiore alla norma sono stati rilevati a distanze maggiori.


La borsa di Tokyo ha chiuso ieri in rialzo grazie alla notizia che sarebbe stata tappata la falla al reattore numero due dalla quale fuoriusciva materiale altamente radioattivo che andava a contaminare le decine di migliaia di tonnellate d’acqua presenti nella centrale, acqua che presumibilmente verrà riversata in mare, a meno che non giunga in soccorso una piattaforma russa specializzata nel raccogliere l’acqua radioattiva dei sommergibili nucleari russi, intervento che non si sa ancora se e quando avverrà.


Sarà fra poco un mese che terremoto e conseguente tsunami hanno determinato il più grave incidente nucleare della storia del Giappone, un incidente che non si sa ancora se classificato a livello di 6 come Three Mile Island o 7 come Chernobyl, ma quello che è chiaro è che, quando accadono incidenti simili, si va a tentoni mentre i rischi crescono ogni giorno che passa sia per la popolazione che per i kamikaze utilizzati per tenere sotto controllo una situazione che diventa sempre più incontrollabile.

mercoledì 6 aprile 2011

Tra le pieghe del bilancio della Fed


In un lungo reportage apparso su Yahoo Finance, Daniel Gross fa le pulci al bilancio della Federal Reserve dal 2009 alla fine del 2010, un’analisi che permette di vedere come il total assett della Fed non sia cresciuto quanto si poteva ipotizzare sulla base del Quantitative Easing I e del Quantitative Easing II, il primo un acquisto di Mortgage Backed Securities per 1.250 miliardi di dollari e il secondo un acquisto di 600 miliardi di dollari di Treasuries di varia durata, un impegno complessivo che ha determinato un aumento del totale dell’attivo dell’organismo guidato da Bernspan soltanto del 30 per cento, anche se va detto che l’aumento dall’inizio della tempesta perfetta è stato pari al 275 per cento.


Il bello è che la Fed ha veramente acquistato MBS per la cifra per la quale si era impegnata, ma molti dei mutui sottostanti sono stati pagati e la cifra si è ridotta di qualcosa come 200 miliardi di dollari, una circostanza che pone una freccia nell’arco di quanti sostenevano che era giustificato non prevedere la svalutazioni di titoli come questi per il semplice motivo che una parte dei loro sottostanti sarebbe andata a buon fine.


Da questa analisi si evince dove sia andata a finire una parte dei titoli della finanza strutturata, anche se è di tutta evidenza che si tratta soltanto della punta dell’iceberg e che le grandi banche poste al di là e al di qua dell’Oceano Atlantico continuano ad avere, al di sopra o al di sotto della linea di bilancio, carta per un multiplo di quella presente nel bilancio della Fed, un peso che non consente loro di spiccare il volo!

martedì 5 aprile 2011

La resistibile ascesa del prezzo del petrolio!


Mentre si aspetta il tutt’altro che prevedibile finale della crisi libica, il prezzo del petrolio fa un altro balzo in avanti e si porta al di sopra dei 108 dollari, un massimo degli ultimi trenta mesi e un livello che farà da propellente per l’aumento dei presi sia all’ingrosso che al consumo e che porterà altro fieno in cascina per quanti all’interno delle banche centrali spingono per un aumento del livello dei tassi di interesse.


I motivi di un rialzo così consistente del prezzo del greggio non sono del tutto scontati e, inoltre, già avvengono su livelli che hanno oscillato a lungo intorno ai 90 dollari al barile che si ponevano quasi al doppio di quelli che avrebbero dovuto essere in base alle previsioni di un autorevolissimo centro studi di settore presieduto dallo sceicco Yamani, un uomo che è stato per quasi venti anni alla presidenza dell’OPEC.


Che quello di giocare sul prezzo del petrolio e delle altre materie prime sia il gioco preferito della potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs, così come di Morgan Stanley e le divisioni di Corporate & Investment Banking è cosa risaputa, così come è noto che una miriadi di piccoli e piccolissimi investitori è solita aggregarsi alla flotta delle grandi entità per poi finire spesso con le ossa maciullate quando le grandi invertono la rotta.


Come andrà a finire stavolta è difficile dirlo, ma credo proprio che alla fine il prezzo del greggio planerà nuovamente nell’area dei 70 dollari al barile!

lunedì 4 aprile 2011

A presto un rialzo dei tassi USA?

Nei due anni e mezzo di vita del Diario della crisi finanziaria ho sempre sottolineato l’importanza dei dati relativi all’occupazione negli Stati Uniti d’America, un set di dati che comprende il Non Farm Payrolls, il tasso di disoccupazione, un indicatore specifico sulle assunzioni nel settore privato, un altro che misura i licenziamenti sempre nel solo settore privato e le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione.

Si tratta di cinque indicatori che consentono di comprendere come sta andando il mercato del lavoro statunitense e che da quattro mesi a questa parte, come ha sottolineato in un discorso il presidente Obama, vanno tutti in direzione positiva, in aumento quelli relativi all’occupazione e in diminuzione quelli relativi alla disoccupazione e quello relativo ai licenziamenti.

I dati diffusi venerdì scorso indicano un aumento netto delle buste paga in marzo di 216 mila unità, un dato superiore alle previsioni degli analisti e alla crescita di 190 mila buste paga registrate in febbraio, mentre il tasso di disoccupazione si è portato dall’8,9 all’8,8 per cento, contro le attese che lo volevano tornare al 9,0 per cento, anche se un indicatore alternativo che tiene conto degli scoraggiati e coloro che sono costretti ad accettare un lavoro part time è passato dal 15,9 per cento al 15,7.

La maggior parte degli analisti è concorde nel ritenere che una prosecuzione di questo trend potrebbe indurre la Federal Reserve ad abbandonare la politica dei tassi prossimi allo zero per iniziare un ciclo di aumenti del costo del denaro, anche se è molto diverso il timing di questa inversione di tendenza, perché la maggior parte vede il primo aumento nel primo trimestre del 2012, mentre io ritengo che avverrà molto, ma molto più presto.


venerdì 1 aprile 2011

Notizie dagli States!

Dopo diversi giorni che non mi occupo degli Stati Uniti d’America, sono attratto da due notizie provenienti da quella grande nazione, la prima riguarda il conglomerato guidato da Warren Buffett e la seconda la decisione della Federal Reserve di rendere noti i nomi dei destinatari di prestiti d’emergenza per complessivi 110 miliardi di dollari concessi nel periodo più caldo della tempesta perfetta dall’agosto del 2007 al marzo del 2010.

Partendo dalla seconda, devo dire che lo sforzo di trasparenza della Fed è stato fortemente contrastato dalle banche prenditrici ed è stato possibile solo dopo una pronuncia della Corte Suprema che ha respinto il loro ricorso e consentito quindi la pubblicazione delle informazioni che, al momento non è ancora avvenuta.

La seconda notizia riguarda le dimissioni improvvise di uno degli uomini di punta della Berkshire Hathaway, David Sokol, che ha dichiaratamente investito in una delle avventure di Buffett, l’acquisizione della compagnia russa Sobrizol. Buffett lo ha difeso dai sospetti di insider trading, ma, conoscendone il carattere, non è escluso che lo abbia spinto alle dimissioni.

Ora Sokol dice di non avere mai aspirato alla carica di Chief Executive Officer della Berkshire e di essersi dimesso per occuparsi di opere filantropiche, ma soprattutto per creare una società che ricalchi in piccolo quella di Buffett.