venerdì 30 dicembre 2016

The Big Short 2, Steve Eisman ci riprova con le banche italiane!


In omaggio all'evento più eclatante di quest'anno di disgrazia 2016 che volge oramai al termine e, cioè, la nazionalizzazione prossima ventura del Monte dei Paschi di Siena, ripubblico la puntata del 20 novembre scorso su uno dei personaggi che più hanno contribuito a che le cose per la più antica banca italiana, se non del mondo intero, prendessero questa piega. Tanti auguri a tutti i lettori per il nuovo anno!

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Dopo essere diventato miliardario in dollari con l'attacco nel 2007-2008 alle banche a stelle e strisce che avevano in pancia il maggior numero di titoli della finanza strutturata zeppi di mutui subprime ma ai quali le più che compiacenti Moody's e Standard and Poor's avevano concesso la tripla A, non dopo aver ricevuto laute commissioni per la loro attività di consulenza alle stessa banche per costruirli in modo da rispettare i requisiti per ottenere tale massima valutazione, vendendo allo scoperto tramite il suo hedge fund, il finanziere Steve Eisman, immortalato da un bravissimo attore nel celeberrimo film The Big Short, ci riprova con le oramai inguaiatissime banche italiane gravate da Non Performing Loans  per la bella cifra di 360 miliardi di euro, una bella fetta dei quali concentrati sui primi cinque gruppi in classifica che, lo ricordo, sono Intesa-San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Unione delle Banche Italiane, tutti gruppi che si sono formati a partire dall'ultimo decennio del secolo scorso raccattando decine di banche e casse di risparmio che, a loro volta, erano zeppe di NPL's.

In un'intervista al quotidiano britannico Guardian, ripresa dal sito italiano di gossip Dagospia,  Eisman, vero emulo del mio faro nella Tempesta Perfetta, George Soros,  dichiara che il punto di debolezza delle banche italiane messe peggio sotto questo profilo, e delle quali non rivela l'identità a meno di diventare clienti del suo hedge con quote a partire da un milione di dollari, sta nel fatto di contabilizzare queste partite non al loro mark to market che, secondo standard internazionali, non va al di sopra del 20 per cento del valore nominale, applicando, altresì, cosa purtroppo concessa dalla normativa vigente, al mark to value che porta il valore di questi crediti deteriorati al 45-50 per cento, un prezzo che neppure il pilotatissimo Fondo Atlante è disposto a riconoscere, fermandosi, nelle ultime valutazioni sui crediti del Monte dei Paschi, a valori non superiori ad un terzo del valore iniziale, avendo peraltro una dotazione di capitale residua molto esigua dopo il salasso di 2,5 miliardi di euro per acquisire integralmente la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ossia il cuore di quel buco nero del credito in Italia che è rappresentato dalla Regione Veneto, due banche delle quai, in realtà, non sa bene che farsene!

Non conoscendo la tempistica delle operazioni di Eisman, né le banche cui ha rivolto le sue attenzioni, è molto difficile stimare i profitti teorici o fattuali già realizzati dal finanziere statunitense, ma un'occhiata ai valori di borse delle azioni dei primi cinque gruppi fa capire che siamo già a livelli superiori al cinquanta per cento, che, in una visione dinamica delle operazioni stesse, (che prevede un numero elevatissimo di vendite e a questi in base di valori di take profit e stop loss molto articolari e, ovviamente, molto segreti) porta a ritorni anche di molto superiori e non vi annoio con cifre sulla debacle in borse delle principali banche in questo anno di disgrazia 2016, anche perché le stesse sono riportate in molte puntate del Diario della crisi finanziaria nonché sulla stampa generalista e specializzata che sta registrando un Italian Case realmente straordinario per la chiarezza delle problematiche, un case study che spinge, seppur in tempi, con impegno finanziario  e con modalità diverse, una flottiglia di speculatori che si sono messi in scia a questo molto disinvolto finanziere a stelle e strisce.

Venendo a conoscenza solo ora delle mosse di Eisman e Company, anche se ovviamente molto era chiaro già all'inizio di questo anno di disgrazia 2016, mi sento di spezzare una lancia in favore del triumvirato di ferro (di cui fa parte anche l'italiano Ignazio Angeloni) che guida dal giugno del  2014 la neonata Vigilanza sulle banche dell'area dell'euro presso la Banca Centrale Europea e il suo pressing sulle banche italiane affinché facciano una radicale pulizia nei loro bilanci, quale quella imposta al povero Fabrizio Viola ex CEO e direttore generale del Monte dei Paschi di Siena, un gruppo creditizio che è oramai diventato il vero banco di prova per capire se vi è una possibilità di salvezza per il sistema bancario italiano, anche se credo che, visti i livelli infimi di quotazione raggiunti dall'azione della sventurata banca senese, per seguire le mosse degli speculatori bisogna osservare meglio i titoli delle altre quattro componenti del quintetto di testa, nonché un gruppo selezionato di altre banche presenti nella lista delle 15 banche italiane direttamente vigilate dalla BCE e farlo seguendo le diverse lettere di messa in mora giunte in questi mesi da Francoforte e le risposte pervenute dalla banche coinvolte, per non parlare delle ispezioni in loco che vedono impegnati sia ispettori targati Bankitalia che i loro omologhi della BCE!

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Per la rilevanza dell'argomento questo post rimarrà in testa al blog anche domani, lunedì 21 novembre, e, poiché non lo scrivo da qualche tempo, credo sia utile ricordare che è davvero utile  per i naviganti nella Tempesta Perfetta, soprattutto se coinvolti nel mare magnum del mercato finanziario, allacciare le cinture di sicurezza!

giovedì 29 dicembre 2016

Perché la Vigilanza BCE stavolta potrebbe aver ragione su MPS!


Vedo fare elenchi di banche beneficiarie del fondo da 20 miliardi di euro costituito con l'apposito decreto legge di qualche giorno fa, decreto le cui linee guida sono state approvate a larga maggioranza da entrambi i rami del Parlamento e che va a debito, cioè non incide sul deficit, un elenco che comprende le due tecnicamente fallite banche venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) salvate a suo tempo dal Fondo Atlante che ha staccato un assegno da 2,5 miliardi complessivamente e ora è chiamato ad un esborso di un altro miliardo per la fusione nella Banca delle Venezie.

Vi è poi la Banca Carige, una ex cassa di risparmio letteralmente devastata dalla gestione Berneschi ed ora saldamente nelle mani dei fratelli Malacalza che temono si concretizzi la richiesta di un nuovo aumento di capitale fino a due miliardi di euro che metterebbe in discussione la loro posizione di azionisti di riferimento e che vede i vertici della banca pensare seriamente di fare le barricate fino a contestare giuridicamente la validità della posizione della Trimurti (un nome che ricorda tanto la famigerata Troika di ellenica memoria).

C'è poi un elenco di banche più piccole sulle quali non vorrei soffermarmi, perché secondo me manca il bersaglio grosso: Unicredit Group sul quale mi sono speso nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, ma sul quale ieri ho evitato di dire che la strategia sottile della Trimurti di Francoforte è quella di indurla a smantellare sostanzialmente l'impero che ha costruito in una ventina di paesi, ma che, in alcuni di questi, segnatamente la Germania la vede in una posizione di comprimaria nel mercato creditizio locale.

Vengo ora alla decisione rappresentata dalla lettera al Ministero dell'Economia italiano giunta nel giorno di Santo Stefano, decisione che avrebbe visto contrari sia Angeloni che Panetta, membri rispettivamente del gruppo di vertice, la Trimurti appunto, il primo e in rappresentanza di Banca d'Italia il secondo, una contrapposizione che non ha precedenti e che potrebbe vedere l'intera partita demandata al Consiglio Direttivo della BCE presieduto da Mario Draghi.

Ma cosa dice la lettera inviata direttamente a Piercarlo Padoan che poi l'ha girata al CdA della banca, afferma sostanzialmente che i fabbisogni di capitale indicati a novembre, i famosi cinque miliardi di euro non valgono nel caso di intervento con fondi pubblici, mentre ne servono 8,8 di miliardi e questo sia in relazione allo stato fallimentare risultante dall'ultimo stress test che vedeva, in caso di scenario avverso, un Tier 1 negativo del 2,2 per cento (ma questo a novembre già ben lo si sapeva), sia ai paletti indicati alle quattro banche greche che avevano fatto ricorso agli aiuti pubblici, una lettera che, tuttavia, non faceva menzione dell'esclusione degli obbligazionisti subordinati retail dalla procedura di bail in (in effetti li vede prima coinvolti e poi salvati con la conversione al 100 per cento della carta straccia in loro possesso con obbligazioni senior), così come non viene messa in discussione l'esclusione dei depositanti over 100 mila euro dalla mania prevista dalle norme entro l'otto per cento del totale dell'attivo della banca.

Salvo ripensamenti in peius dell'ultima ora, quello proposto dalla Vigilanza BCE sembra un compromesso ragionevole tra una drastica applicazione delle regole e gli obiettivi politici del Governo italiano, interessato sostanzialmente ad evitare un bagno di sangue tra depositanti affluent, quelli over 100 mila nei loro depositi, e  i 42 mila piccoli risparmiatori in possesso delle obbligazioni subordinate, un salvataggio generalizzato che poteva essere sostituito dal ristorno nei casi accertati di frode da parte della banca al momento della sottoscrizione delle stesse obbligazioni subordinate!

mercoledì 28 dicembre 2016

Unicredit è la prossima vittima della BCE?


Se non tutti, molti avevano pensato che il Chief Executive Officer di Unicredit, De Mustier avrebbe continuato la campagna di vendite delle partecipazioni, nonché il ritiro da alcuni territori stranieri, riducendo così al minimo l'aumento di capitale della maggiore banca italiana per totale dell'attivo, mentre la prima per capitale e fondi di riserva è senza dubbio Intesa San Paolo, che è anche la prima per capitalizzazione di borsa, e, invece, il banchiere straniero ha stupito tutti lanciando un aumento di capitale da 13 miliardi che sarebbero tutti garantiti da una folta selva di banche straniere che avrebbero già assunto, pro quota, questo mega aumento di capitale.

Contemporaneamente, dopo aver ceduto Non Performing Loans per 18 miliardi dal 2014 ad oggi, De Mustier ha anche annunciato una cessione di sofferenze lorde per ulteriori 20 miliardi di euro tutte assistite da garanzia pubblica e un incremento delle uscite anticipate di personale per 6500 unità il che porta il totale a 14 mila, nonché la chiusura di molte dipendenze oltre quelle già previste dal piano precedente.

Ma cosa c'è alla base di queste decisioni così drastiche? Come ho ricordato in diverse puntate di questo blog, la Vigilanza europea presso la BCE ha deciso di applicare ad Unicredit e Deutsche Bank un innalzamento del ratio Tier 1 del 12,25 per cento dal 10,25 precedente e di sollecitare un'azione più energica sui Non Performing Loans pari a 52,2 miliardi di euro, di qui l'attivismo nel biennio precedente e l'annuncio della odierna maxi cartolarizzazione, ma i guai della banca di piazzetta Gae Aulenti non finiscono più e hanno a che vedere con la sterminata rete estera, edificata ai tempi in cui sulla banca regnava incontrastato Alessandro Profumo appena bilanciato dal banchiere di lungo corso Lucio Rondelli che, ad un certo punto abdicò dalla presidenza: due sono i nodi esteri più spinosi e, cioè Bank Austria, in via di cessione, e Hipoverein Bank (HVB) la quarta banca tedesca, inzeppata di NPL's quasi come una banca italiana e con problemi nell'ambito della finanza strutturata.

Certo, l'aumento di capitale da solo supera anche gli aumenti di MPS (nella versione da 8,8 miliardi richiesti di recente dalla Vigilanza BCE), della Popolare di Vicenza, del Banco Popolare e di Veneto Banca che tutti assieme arrivano a 12,3 miliardi e che, tranne nel caso di Banca Popolare, sono tutti stati bocciati dal mercato e, quindi, voglio proprio vedere come andrà e, comunque, ancora non è chiaro se la cifra sarà diminuita dal valore delle vendite effettuate quest'anno dal colosso creditizio milanese!

Il giudizio della borsa non è stato particolarmente lusinghiero e, nonostante De Mustier abbia sparato tutte le sue cartucce, l'azione si trova al di sotto della soglia psicologica dei 3 euro e, pur avendo recuperato più di un euro dai minimi (1,70 euro) è ancora all'incirca alla metà del valore che quotava 12 mesi e ad un terzo di quello che valeva tornando indietro di ulteriori dodici mesi, una posizione, quella del mercato, chiaramente attendista e che si traduce nei consigli degli analisti che, nella maggior parte dei casi, non va oltre un tiepido hold. 


martedì 27 dicembre 2016

Cosa manca al piano industriale del Monte dei Paschi di Siena


Mentre continuo ad attendere risposte chiarificatrici sulle commissioni che percepiranno J.P. Morgan Chase e Mediobanca per la loro palesemente azione fallimentare come advisor di MPS, commissioni, lo ricordo, che Fabrizio Viola volle rigidamente legate ai risultati effettivi conseguiti, mentre nulla so di quanto ha previsto in proposito il nuovo amministratore delegato, Marco Morelli, in passato dipendente di J.P. Morgan, noto con piacere che si carica di attesa la nuova formulazione del piano industriale della banca senese, atteso ansiosamente il mese prossimo sia dalla Commissione UE, sia dalla Trimurti della Vigilanza della BCE, che vogliono capire due cose: l'esclusione dei piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate e, e direi soprattutto, se il piano prossimo venturo avrà la caratteristica della sostenibilità, anche perché stavolta il vertice della banca, d'intesa con il prossimo proprietario assoluto, non può assolutamente sbagliare.

Un piano industriale, solitamente su base triennale, non è in estrema sintesi che una proiezione di voci di conto patrimoniale e di conto economico, costi, in particolare quelli del personale, e ricavi, con il relativo utile o perdita di esercizio. Un esercizio previsivo per il quale fondamentali sono le azioni che il vertice aziendale intende adottare e che devono tenere conto dell'ambiente normativo e regolamentare esistente, una cornice che per i prossimi tre anni dice inequivocabilmente che bisogna approfittare della finestra aperta sul Fondo esuberi di settore dal, non proprio casuale, trasferimento di risorse pubbliche per 600 milioni di euro per il triennio che si apre tra pochi giorni e l'allungamento del periodo massimo di esodo da cinque a sette anni (modello Alitalia per hi ricorda quella estenuante trattativa che vide migliaia di lavoratori aspettare l'agognato momento della pensione con l'80 per cento del precedente trattamento economico).

L'attuale stato dell'arte dice che il Monte ha in cascina accordi per l'uscita di poco più di quattromila lavoratrici e lavoratori, ma un potenziale acquirente della banca senese aveva cercato rassicurazioni governative per ulteriori seimila posizioni lavorative e un taglio più radicale delle filiali rispetto a quanto previsto nel piano industriale licenziato da Fabrizio Viola nel luglio di questo anno di disgrazia 2016. La presenza al 60 per cento del Tesoro prevista al termine del processo di ricapitalizzazione induce a ritenere che Padoan non scordi quello che ha fatto con la sinistra, mentre con la destra darà, a tempo debito, il suo benestare allo stato prospettico triennale dei conti della sua maggiore partecipazione nel sistema bancario italiano, confortante dal fatto che, almeno sinora, si sono sempre trovati dipendenti bancari favorevoli ad uscire qualche anno prima dal lavoro ricevendo una buona percentuale dello stipendio e tutti i benefit di quando era ancora in servizio presso la banca di appartenenza.

Faceva tenerezza in proposito la dichiarazione del segretario generale della First Cisl, tal Romani, che, appena firmato un accordo per 600 dipendenti del Monte dei Paschi, diceva che oramai si era fatto il massimo sforzo e che di esuberi non si sarebbe trattato più per molto tempo e suggerisco sommessamente a lui e agli altri suoi colleghi di prenotare per tempo un alloggio a Siena per quella che sarà ricordata come la Madre di tutte le trattative!

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Anche a Francoforte fanno gli straordinari e in una lettera inviata ieri la Vigilanza BCE avverte il Ministero dell'Economia italiano che il costo effettivo dell'aumento di capitale di MPS, in base agli stress test di luglio e all'esperienza del salvataggio delle banche greche (?), sarà non più di 5 miliardi di euro come noto fino a ieri, ma di 8,8 miliardi, dei quali 4,3 a carico degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati e che, se come noto lo Stato si propone di sostituire al cento per cento le subordinate in possesso della clientela retail (2 miliardi) con obbligazioni subordinate, ebbene il conto per via XX Settembre dell'aumento di capitale sarà di 6,3 miliardi.

Il senso della lettera ci viene spiegato, in un'intervista ad un quotidiano dal membro della Trimurti della Vigilanza Ignazio Angeloni ed è proprio vero che dagli amici mi guardi Dio che dai nemici mi guardo io!

venerdì 23 dicembre 2016

Lo Stato interviene in MPS, ma la storia non finisce qui!


Come ho raccontato in precedenza, la difficilissima azione di aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena e la contestuale ripulitura di qualcosa di più di 28 miliardi di sofferenze lorde era stata  oggetto di attenzione di almeno uno dei colossi del credito in Europa e nel mondo, la francese BNP Paribas, che però pose al Governo italiano e alla Vigilanza BCE due condizioni difficili da digerire e, cioè, la rottamazione di diecimila dipendenti sul totale di 25.600 (e su questo piano il Governo Renzi inondò di denaro il Fondo esuberi del credito con 600 milioni di euro, nei prossimi tre anni allungando altresì il periodo massimo di esodo dai cinque ai sette anni) e l'esonero dell'aumento di capitale perché il Cet 1 della banca francese era capiente per "digerire" i conti della molto malmessa banca senese che sarebbe stata fusa per incorporazione e poi tornata ad una relativa autonomia con i conti in ordine sotto il cruciale profilo delle sofferenze che sarebbero state gestite direttamente dalla capogruppo al netto di quelli oramai in carico ad Atlante II.

Certo, l'ennesima scorribanda di Bollorè su Mediaset, dopo quelle su Mediobanca e Telecom, rischia di far apparire appannato il bianco del Cavaliere che si offrisse di salvare MPS, dopo aver acquisito in zona Cesarini la Banca Nazionale del Lavoro e, solo al termine di una lunga battaglia legale, la regina del credito al consumo Findomestic, nonché una significativa presenza diretta come BNP Italia, ma la disperazione che regna sovrana tra Siena e Roma è di quelle che non permetterebbero di rifiutare una seconda e più convinta avance di Jean Laurent Bonafé, uomo forte di BNP e profondo conoscitore del sistema creditizio italiano, una eventuale proposta che troverebbe il  Governo italiano, dopo il disastro evidente della strategia di Jamie Dimon di J.P. Morgan-Chase e di Mediobanca i due advisor del disastroso piano di aumento del capitale del Monte Paschi e dopo che quest'ultimo ha reso noto di aver perso depositi per 20 miliardi di euro, 6,5 dei quali dalla uscita di Fabrizio Viola (settembre 2016) ad oggi e di avere liquidità per soli quattro mesi.

Più difficile da convincere sarebbe la Trimurti che guida la Vigilanza BCE, anche perché la stessa ha appena respinto un ragionamento simile fatto da Viktor Messiah di UBI Banca che non voleva fare un aumento di capitale per acquisire Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti (chissà che fine farà la povera CariFerrara?) e alla fine ha dovuto cedere alle pretese di Madame Nouy e compagni e deliberare un aumento di capitale da 600 milioni, ma va da sé che è sempre vero quello che ha detto il terzo membro della Trimurti, l'italiano Ignazio Angeloni, quando affermava in una bella ed emblematica intervista a Fubini che le regole vanno adattate in una logica del caso per caso e quindi è difficile capire quale potrebbe essere la risposta ad una domanda che giungerebbe in ogni caso all'ultimo minuto.

Certo, tutto sembra far propendere per una soluzione che fa perno sullo Stato e su una applicazione mirata del bail in volta a salvare gli obbligazionisti retail, semmai con le farraginose regole del ristoro, e i depositanti oltre la soglia dei 100 mila euro, ma non escluderei la possibilità di un colpo di scena ad opera di BNP o di altri soggetti appartenenti alla categoria degli investitori "avvoltoi", d'altra parte mancano poche ore, o pochissimi giorni, e sapremo tutto. Quello che è più probabile è un accordo tra BNP e il Governo italiano per accompagnare la fase di uscita dello Stato da MPS, uscita che può avvenire, in base alle regole europee, non oltre i due anni successivi all'entrata con una quota di rilievo, anche perché<è allora MPS sarà una banca ripulita e con i conti in ordine, forse la più bella banca italiana!

Sono proprio curioso di sapere se di fronte alla disastrosa gestione dell'aumento di capitale Dimon e Nagel pretenderanno i 450 milioni di euro di commissioni previste o se questa somma verrà ridotta in relazione al risultato come Fabrizio Viola aveva preteso e ottenuto!

Nella tarda serata di ieri, il neo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, hanno annunciato il salvataggio di MPS con un intervento che darà la maggioranza assoluta delle azioni della banca senese al Tesoro dello Stato, mentre per gli obbligazionisti subordinati retail vi sarà la trasformazione in azioni e poi, sempre al 100 per cento del valore, la trasformazione in obbligazioni ordinarie. Le contrattazioni delle azioni del Monte dei Paschi sono, ovviamente sospese, così come, altrettanto ovviamente, si apre la caccia a chi subentrerà al Tesoro nel periodo di due anni che è il massimo che la normativa europea concede per una presenza pubblica così massiccia nel capitale di una banca.

giovedì 22 dicembre 2016

La Vigilanza BCE sta ristrutturando le banche italiane (quarta e ultima parte)


Il ristrutturando contenuto nel titolo di questa breve serie di puntate del Diario della crisi finanziaria può trarre in inganno, perché in realtà quello che la Trimurti della Vigilanza BCE sta facendo nel sistema bancario italiano assomiglia più ad un processo di distruzione creativa che porta alla quarta fase del processo di ristrutturazione e riorganizzazione, un processo che avuto il suo avvio dopo la Legge Amato dell'inizio degli anni Novanta e che si è sviluppato lungo tre fasi che hanno visto il più rilevante processo di concentrazione e che ha visto raggrupparsi intorno ai primi cinque gruppi, in particolare ai primi due, centinaia di altri istituti che, per un tempo eccessivamente lungo e che per UBI Banca si sta concludendo in questi giorni, le banche acquisite hanno mantenuto il marchio e strutture di sede centrale e altre amenità costate molte decine di miliardi e che sono proprio quelli che mancano all'appello e che avrebbero consentito alle banche aggreganti di presentare dei Cet 1 a prova di bomba.

A differenza delle prime tre fasi del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano che nascevano dall'interesse convergente di banche aggreganti ed aggregate, questa quarta fase è sostanzialmente eterodiretta da Francoforte con la Vigilanza BCE che adatta misure importanti come gli indici patrimoniali a seconda di altri elementi non sempre a conoscenza della banche italiane oggetto della sua attenzione, anche se è ovviamente vero che Cet 1 come quello di Intesa o di altri gruppi sono talmente elevati che è difficile per i magnifici tre operanti in quel di Francoforte eccepire qualcosa, almeno in questa fase in cui ci sono banche molto più esposte a ricevere quelle poco piacevoli missive.

Continuando a scorrere l'elenco troviamo Mediobanca, o come si diceva al Nord la Mediobanca, giocattolo creato da Raffaele Mattioli per il giovane Enrico Cuccia, il genero di Beneduce, star economica del Fascismo e fondatore dell'IRI noché salvatore delle tre banche che da quel momento si chiamarono di interesse nazionale, Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banca di Roma; sì Mediobanca la banca di affari per eccellenza e storicamente il salotto buono del capitalismo italiano, che grazie all'opera indefessa di Cuccia poté continuare per lungo tempo a fregiarsi del titolo di capitalismo delle grandi famiglie, gli Agnelli e i Pirelli solo per citare le più famose, l'inventore della storica frase "le azioni si pesano non si contano" morto ad oltre novanta anni quando il suo sistema era oramai scosso da sinistri scricchiolii e sul quale ha oramai messo le mani il corsaro bretone Bollorè, ma le prime unghiate le aveva date un uomo che non a caso fu definito il pirata, Raul Gardini, sì proprio quello che gli strappò l'amata Montedison per poi pagare con la vita la sua improntitudine,

Ebbene Mediobanca non ha nulla, proprio nulla da temere dalla Trimurti della Vigilanza europea, non fosse altro che è una banca sostanzialmente a medio termine e che pochi, pochissimi dei suoi clienti oserebbero non onorare le scadenze dei prestiti da loro contratti con una tal blasonata istituzione creditizia, un gesto che costituirebbe un rischio certo di vedersi chiudere istantaneamente tutte le linee di credito con le banche italiane ed europee.

Di Unicredit e dell'Unione di Banche Italiane (UBI) ho già parlato diffusamente in questo blog e rinvio alle puntate a loro dedicate, se non per dire che la prima è chiamata, all'inizio dell'anno  prossimo, ad un aumento mostre da 13 miliardi di euro e sta ristrutturando ferocemente la galassia delle sue partecipazioni e presenze all'estero, mentre la seconda è chiamata ad un aumento di capitale da 5-600 milioni di euro per la sua acquisizione di Banca Etruria, Banca delle Marche e CariChieti, un aumento del quale avrebbe fatto volentieri a meno. (fine)


mercoledì 21 dicembre 2016

La Vigilanza BCE sta ristrutturando le banche italiane (terza parte)


Dopo molte chiacchiere e non poche incertezze, il Consiglio dei Ministri ha varato una nota di variazione alla Legge di Bilancio 2017 che impegna una somma fino a venti miliardi (erano 15 fino a pochi giorni fa) per intervenire sulle banche in difficoltà e in odore di procedura di risoluzione, quelle banche, ad esempio Monte dei Paschi di Siena, dove, secondo il BRDD, si potrebbe applicare il bail in con relativo bagno di sangue per azionisti, obbligazionisti subordinati e depositanti per la quota eccedente la soglia garantita pari a 100 mila euro e che, solo per MPS, era pari a 64,8 miliardi di euro con area di applicazione pari a 13 miliardi di euro, interventi che non eviteranno comunque la conversione forzosa delle obbligazioni subordinate in azioni ad un prezzo svantaggioso rispetto a quello offerto nella finestra che si chiude domani dalla banca senese (tra l'85 e il 100 per cento del valore nominale contro il 50-60 per cento circa dei valori di mercato). L'elevazione del paracadute a 20 miliardi fa pensare che vi siano molte più banche in difficoltà rispetto a quelle di cui si parla, MPS e le due banche venete, ma allo stato dei fatti e delle informazioni è difficile capire se si tratti soltanto di un'apposizione prudenziale o se il lavoro comune incessante tra Governo italiano, Commissione UE, BCE e Banca d'Italia non abbia già prodotto dossier significativi su banche italiane di medie o grandi dimensioni!

Dall'elenco delle quindici banche, ridottesi a tredici per la fusione di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano (che sarà legalmente efficace dal 1° gennaio 2017) e quella molto probabile e fortemente voluta dal proprietario Fondo Atlante tra Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, possiamo tranquillamente superare la Banca Popolare di Sondrio, Barclays Italia (presente solo perché non consolida i dati con l'illustre capogruppo britannica), la holding delle BCC, ICCREA e il Credito Eniliano, a meno di sorprese oggi non prevedibili e anche perché si tratta di realtà ben patrimonializzate e con un livello di Non Performing Loans non preoccupante, cosa che non si puà certo dire per quella Unipol Banca che sta zavorrando da anni i conti della relativa Holding con il suo mare di sofferenze per crediti andati a male nei confronti di aziende impegnate nel settore edilizio e immobiliare per complessivi quattro miliardi di euro nel 2015.

Con Intesa san Paolo veniamo alla regina delle banche italiane nato attorno alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde e sulle ceneri del vecchio Banco Ambrosiano divenuto poi il nuovo Banco Ambrosiano, una banca che ha continuato per anni nello shopping di banche di ogni dimensione, incluse la Banca Commerciale Italiana e il San Paolo di Torino che, a loro volta si erano date parecchio da fare acquisendo banche di ogni dimensioni prima di essere acquisite a loro volta dal duo Bazoli-Guzzetti due uomini che sono oggi al centreo di quella rete di salvataggio che vede nella loro creatura Fondo Atlante un elemento indispensabile, anche se il loro euolo in Atlante è talmente forte che molte banche ed entità finanziarie italiane e straniere non hanno voluto partecipare all'iniziativa, pur condividendone gli obiettivi.

Sul piano delle sofferenze lorrde, Intesa presenta un totale di circa 32 miliardi di euro che sono coperti per quasi il 50 per cento da appositi fondi e rappresentano il 9 per cento del totale degli impieghi vivi, ma è in corso una gestione attiva delle sofferenze che vede molti operatori specializzati interessati ai 2,5 miliardi di sofferenze lorde offerte dalla banca milanese, va inoltre considerato che il Cet 1è appena al di sotto del 14 per cento e di quattro punti percentuali superiore a quello della concorrente Unicredit che, non a caso, dovrà fare un aumento di capitale da 13 miliardi e rivedere buona parte delle sue strategie. (continua)


martedì 20 dicembre 2016

La Vigilanza BCE sta ristrutturando le banche italiane (seconda parte)


Nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, ho parlato di Banca Carige, di Monte dei Paschi, di Banco Popolare e Banca Popolare di Milano e delle due sventurate banche epicentro del buco nero del credito italiano: Banca Popolare ddi Vicenza e Veneto Banca. 

Ma ho dimenticato di dire che, nel settore bancario italiano, le prime cinque pesano per il 40 per cento del totale dell'attivo, mentre con le prime quindici, quelle appunto vigilate dalla Vigilanza BCE, andiamo di molto oltre la metà del totale dell'attivo di un sistema che ne rappresenta circa settecento, ma, con l'inserimento dell'ICCREA, holding di larga parte del mondo delle BCC, andiamo a coprire alcune centinaia di queste banche di credito cooperativo (anche quelle che daranno vita ad un'altra holding delle BCC del centro Nord) e allora la copertura del sistema direttamente vigilato si porta vicino se non oltre il 70 per cento, anche considerando che i primi cinque gruppi sono nati dalla fusione per incorporazione di decine di banche, compresi colossi come la Banca Commerciale e il  San Paolo di Torino nel gruppo Intesa, fenomeno, inoltre che ha portato alla pressoché totale scomparsa del mondo delle casse di risparmio, le più importanti delle quali sono confluite nei due maggiori gruppi, Unicredit e Intesa San Paolo.

Ma procediamo con ordine e arriviamo alla Banca Popolare dell'Emilia Romagna, un caso nel quale vediamo applicata, nel 2014, la regola non scritta che bene ci ha spiegato uno dei componenti della Trimurti di Francoforte, l'italiano Ignazio Angeloni, quella che prevede come a volte non basti avere il coefficiente patrimoniale previsto del 10,25 (e anche di più nel caso della solida e molto efficiente banca con sede nella ricca Emilia Romagna, no non basta perché non sarebbe sufficiente a superare quegli stress tests di cui molto si discute nel mondo accademico che spesso si spinge a giudicarli assurdi, ma non è questa la sede per affrontare questo spinoso argomento, anche se è quello che ha fatto perdere il sonno alla maggior parte dei presidenti e amministratori delegati delle maggiori, e non solo quelle, banche italiane.

Ebbene, agli esterrefatti amministratori della BPER è stato chiesto nel 2014 di lanciare un aumento di capitale da 750 miliardi di euro che avrebbe portato il loro coefficiente patrimoniale a superare di un miliardo di euro il requisito previsto e, per fortuna, la reputazione della banca, tranquillamente trasformata in SpA prima dell'emanazione della contestata legge sulle Banche Popolari, legge su cui è intervenuto il Consiglio di Stato che ha dichiarato inapplicabile la Circolare di Bankitalia che prevedeva, a giudizio della banca di volta in volta in questione, il non esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti in sede di trasformazione della scarl (società cooperativa a responsabilità limitata) in società per azioni, il meccanismo infernale in cui sono incorsi, ad esempio, gli sventurati azionisti della banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca che hanno visto azzerarsi il valore delle proprie quote nelle due banche, anche se la decisione del Consiglio di Stato varrà solo per quanti hanno fatto ricorso entro i termini stabiliti.

Sul sito della BPER è presente in bella vista una finestra cliccando sulla quale è possibile vedere il requisito patrimoniale tempo per tempo previsto dalla Autorità di Vigilanza residente in quel di Francoforte, sicuri come sono che, se verrà chiesto un nuovo aumento, gli azionisti non avranno problemi a sottoscriverlo, ma, purtroppo, non tutte le banche che esamineremo o che abbiamo già esaminato, versano in tale felice situazione! (continua)

lunedì 19 dicembre 2016

La Vigilanza BCE sta ristrutturando le banche italiane (prima parte)


Mentre scrivo questa puntata del Diario della crisi finanziaria ho accanto a me il foglio contenente l'elenco delle 15 banche italiane vigilate dalla Trimurti composta dalla Nouy, dalla sua vice tedesca e da Ignazio Angeloni, l'italiano che sulla carta è un consigliere come gli altri ma che, in realtà, è stato ammesso a quella sorta di triumvirato non ufficiale che governa questo organismi che ha visto la luce soltanto nel giugno del 2014, ma che in questi neanche due anni e mezzo di attività ha fatto piangere molti presidenti e amministratori delle banche italiane da esso vigilate e guardate che spesso si tratta di persone che nella maggior parte dei casi sono realmente rotte a tutto ma che non potevano prevedere le conseguenze del combinato disposto tra richieste perentorie della Vigilanza e rischi connessi alle procedure spesso conseguenti di risoluzione della banca da essi guidate, bail in ovviamente incluso!

Seguo rigorosamente l'ordine alfabetico dell'elenco e inizio con Banca Carige che ha completato negli anni scorsi un robusto aumento di capitale, aumento che ha portato i Malacalza al loro ruolo di azionisti di riferimento, ma la banca ligure è sottoposta ora a ben due ispezioni condotte da pattuglie miste di uomini e donne di Bankitalia sotto la guida dei loro omologhi della BCE, una sui conti e l'altra sulla governance e che puntano ad un nuovo aumento di capitale che dovrebbe aggirarsi intorno ai due miliardi, richiesta che sta incontrando molte resistenze dei vertici della banca e dei maggiori azionisti e che ha portato a momenti di frizione tra il presidente del collegio sindacale ed il molto determinato neo presidente dell'istituto di credito, Giuseppe Tesauro, già membro della Corte di giustizia europea, presidente emerito della Corte Costituzionale, nonché a lungo presidente dell'Antitrust, un banchiere che sta dando fondo a tutta la sua profonda conoscenza del diritto per rintuzzare punto per punto le pretese della triade di Francoforte.

La seconda banca dell'elenco è il Monte dei Paschi di Siena, per la quale rinvio a quanto già detto in proposito in numerosissime puntate di questo blog, anche se mi preme sottolineare che in questi giorni è emerso che, a partire dal gennaio di questo anno di disgrazia 2016 vi è stato un deflusso di 20 miliardi circa di depositi e che liquidità in possesso della banca senese basta appena per coprire le esigenze dei prossimi 29 giorni, una notizia che dovrebbe indurre gli obbligazionisti subordinati, siano essi investitori istituzionali o clientela retail,  ad accettare la conversione la conversione "a premio" dei bond in loro possesso in azioni, pena il rischio di rimanere con il classico pugno di mosche in mano.

La terza banca, il Banco Popolare, si è mossa in anticipo e ha concordato la fusione con la quinta banca dell'elenco, la Banca Popolare di Milano, ma, nonostante le due banche fossero state caratterizzate ex ante della fusione da significativi eccessi di patrimonio, al Banco Popolare, la banca acquirente, è stato richiesto ed ha già fatto un aumento di capitale da un miliardo di euro più o meno nel periodo in cui sono andati deserti gli aumenti di capitale della Banca Popolare di Vicenza (1,5 miliardi di euro) e Veneto Banca (un miliardo), situazione incresciosa che ha fatto sì che entrambe le banche fossero acquisite dal Fondo Atlante che sta ora studiando, seppure in tempi biblici, la fusione delle due banche, con relativo bagno di sangue del personale e contestuale chiusura o cessione delle numerose sedi sovrapposte. (continua)


venerdì 16 dicembre 2016

Corsa contro il tempo per Monte dei Paschi


Ormai  quella del maxi aumento di capitale da cinque miliardi di euro richiesto al mercato e agli sventurati possessori di bond subordinati e titoli assimilati (Fresh), nonché la cessione degli oltre 28 miliardi di euro di sofferenze che rende necessario l'aumento stesso è davvero una corsa contro il tempo che denota le lentezze e l'approccio alquanto burocratico di quella CONSOB che ha perso lo smalto e la credibilità che aveva quando a presiederla era Guido Rossi, avvocato di affari che una risposta all'istanza della banca sull'estensione dell'offerta di scambio dei bond subordinati nelle mani dei quarantamila clienti persone fisiche k'avrebbe data in tempo reale, anche perché, al di là di quanto contenuto bel supplemento proposto dalla banca senese al prospetto, non vi è chi possa sostenere che i termini dell'offerta che non si può proprio rifiutare sono noti a tutti, fatta eccezione forse per quanti non vedono i telegiornali, non leggono i giornali e non hanno amici "premurosi" pronti a dare consigli sull'alquanto ingarbugliata situazione di chi, a suo tempo, si è fatto convincere a investire in un bond del quale a suo tempo vidi il prospetto e ne fuggii inorridito per le condizioni e i rischi devo ammettere chiaramente esposti nero su bianco!

L'offerta ai bondholders, siano essi appartenenti al segmento retail o a quello degli investitori istituzionali è del tipo "carta contro carta", ossia si propone di acquistare a premio rispetto ai corsi attuali, ulteriormente depressi nel corso di queste frenetiche e alquanto convulse giornate (siamo intorno al 50-60 per cento del valore facciale di questi titoli e al 20 per cento in un caso), proponendo l'85-100 per cento (di meno ovviamente per il bond che quota 20) con la condizione tassativa di investire queste somme in azioni MPS dal valore molto depresso e sottolinenando che la banca senese, al termine dell'aumento di capitale e della cessione delle sofferenze lorde, sarà una delle banche più patrimonializzate e l'unica senza sofferenze né lorde ne nette, mentre l'informazione economica tutta ricorda che, in caso di rifiuto, nessuno può garantire che il valore dei bond non sarà azzerato in sede di bail in, anche perché la Vigilanza BCE mal potrebbe vedere una distinzione tra bond in mano agli investitori istituzionali e bond in mano ai clienti retail.

L'unico modo per fare accettare la distinzione alla Triade che guida dal giugno del 2014 la Vigilanza bancaria presso la BCE sarebbe quello di prevedere l'azzeramento di tutti i bond subordinati, con possibilità di ristoro per quei clienti privati in grado di dimostrare di essere stati truffati da dipendenti di MPS che li hanno a suo tempo convinti ad acquistare titoli che eccedevano il proprio profilo di rischio, insomma una procedura simile a quella messa in piedi per gli sfortunati acquirenti di bond della specie presso Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, una procedura, ahimè, lenta e molto perigliosa.

Intanto il ministero dell'Economia sta limando il decreto salvabanche e ne sta alzando, dopo l'intervento dell'ex presidente di Montepaschi ma in precedenza a lungo CEO di Unicredit, l'ammontare delle risorse da 15 a 95 miliardi di euro. Insomma, una bella partita che ci sveglierà dal torpore delle festività natalizie!

giovedì 15 dicembre 2016

L'ago acuminato della Yellen farà scoppiare le bolle a stelle e strisce?


Il Federal Open Market Committee della Federal Reserve statunitense presieduto con piglio una volta tanto deciso da Janet Yellen ha deliberato ieri, e credo proprio all'unanimità, di alzare il tasso di rifinanziamento allo 0,50 per cento dallo 0,25 precedente e il tasso ufficiale di sconto presso la riserva federale allo 0,75 per cento dallo 0,50 in vigore dal dicembre del 2015, si tratta del secondo aumento dall'inizio della crisi finanziaria ed è accompagnato da previsioni al rialzo della crescita a stelle e strisce per l'anno in corso e per quello successivo e da previsioni al ribasso del tasso di disoccupazione, di per sé a livelli già infimi e vicini alla cosiddetta disoccupazione frizionale che la teoria economica colloca a valori intorno al 4 per cento.

Nonostante abbia reclamato a gran voce una politica monetaria più incisiva nel corso della di per sé infuocata campagna elettore per le presidenziali, Donald Trump ha poco da essere felice perché nel comunicato si parla di ulteriori aumenti dei tassi nel 2017, che in quanto ad anno di disgrazia promette di competere con l'anno in corso, che, a questi ritmi di aumento, porterebbero i tassi  all''1,25-1,50, per poi assestarsi al 3-3,25 a fine corsa nel 2018, anno in cui scade anche la presidenza della Yellen che, a quel punto potrebbe giustamente dire a sé stessa: mission accccomplished! con buona pace delle prospettive di crescita fantasmagoriche del prodotto interno lordo statunitense promesse a gran voce dall'improvvido Donald.

Il problema è che il mercato finanziario, almeno nella sua componente più speculativa che poi è quella largamente maggioritaria almeno al di là dell'Oceano Atlantico, sa fare bene di conto, quel livello del tre per cento per il tasso di rifinanziamento lo introietta sin da subito, l'impatto sulle tre bolle più rigonfie: l'azionario americano con i suoi record a ripetizione e quella mitica soglia di 20 mila punti per il Dow Jones distante solo pochissime decine di punti; il mercato immobiliare e quello delle materie prime energetiche drogato dal recente accordo tra paesi OPEC e alcuni paesi esterni a questa molto potente organizzazione, ebbene tutte e tre queste bolle e/o bollicine rischiano di scoppiare contemporaneamente con effetti che si riprodurranno istantaneamente sulle altre bolle sparse nell'orbe terraqueo, Repubblica Popolare Cinese ovviamente e totalmente inclusa, in particolare per la gigantesca e molto marcescente bolla del credito che rischia di propagarsi immediatamente al molto assistito dalla politica e dal credito apparato industriale cinese, per altro apertamente minacciato dai muri che si stanno elevando e non solo negli Stati Uniti d'America di Donald Trump!

Il bello è che questa dell'inasprirsi della politica monetaria a stelle e strisce non è uno di quei cigni neri di cui da un po' di tempo si favoleggia, ai miei tempi si chiamavano wild cards, perché se c'è una cosa che si può rimproverare alla Yellen e ai suoi compagni della Fed è quella di avere ritardato all'inverosimile l'inevitabile di fronte ad una crescita statunitense oramai del tutto evidente e un mercato del lavoro del tutto effervescente, testimoniato ampiamente dal Non Farm Payrolls e dai Jobless Claims, tutte cose di cui da ora in poi vi renderanno edotti giornalisti, analisti e commentatori a un tanto al chilo!

mercoledì 14 dicembre 2016

Unicredit lancia un aumento di capitale da 13 miliardi di euro


Pur avendo alienato Banca Pekao, quote rilevanti di Pioneer e altre piccole partecipazioni, il Chief Executive Officer di Unicredit, De Mustier, ha reso noto che ha proposto, ottenendone il via libera, al Consiglio di Amministrazione del colosso creditizio di deliberare un aumento di capitale da 13 miliardi di euro, il più alto mai realizzato in Italia, chiarendo subito che, a differenza di quanto sta accadendo in casa Monte dei Paschi di Siena, l'aumento è organizzato e garantito da un parterre de roi  di banche italiane e internazionali e che quindi avverrà senza i patemi d'animo che stanno caratterizzando la banca di Rocca Salimbeni.

Vorrei ricordare i motivi che stanno alla base di questa decisione e che risiedono nella richiesta alquanto perentori fatta da Madame Nouy, capo della Vigilanza bancaria presso la BCE, di portare il livello del Tier 1 della banca da livelli poco sopra il 10 per cento all'alquanto proibitivo 12,25 per cento, anche se va detto, ad onor del vero, chili raggiungimento di un analogo livello è stato chiesto al colosso tedesco dai piedi di argilla Deutsche Bank, una richiesta che spiega le ansie di Angela Merkel e del suo ministro delle finanze, Wolfgang Schauble, che sanno che l'aumento di capitale della prima banca tedesca sarà di entità tale da dover richiedere un intervento statale per giungere al quale è però necessario che una misura simile sia adottata dal Governo italiano e che la stessa riceva il via libera dai regolatori europei e dalla Commissione UE.

De Mustier sa bene che, una volta che l'assemblea straordinaria della banca avrà dato il via libera al maxi aumento di capitale, non potrà tornare indietro sulla decisione o non portare fino in fondo l'operazione senza incorrere nella procedura di risoluzione con effetti sui titolari della massa aggredibile dal bail in, una massa certamente superiore a quella già di per sé enorme di MPS che, lo ricordo, è pari a 64,8 miliardi di euro con un limite di aggressione pari a 13 miliardi, ma il CEO di Unicredit ha dalla sua il controvalore miliardario della cessioni che ricordava all'inizio e due fatti importanti che sono nel frattempo uno in via di finalizzazione e l'altro è oramai diventato legge con l'approvazione da parte del Parlamento della Legge di Bilancio.

Il primo di questi due eventi è contenuto nel decreto già pronto per essere approvato dal nuovo Governo e che prevede la possibilità per il tesoro della Repubblica italiana di intervenire nelle banche utilizzando l'articolo 32 della procedura di risoluzione bancaria europea, un decreto con una dotazione di 15 miliardi e che produrrebbe un bail in mirato che escluderebbe i risparmiatori, siano essi depositanti o detentori di bond subordinati, un intervento che consentirebbe di partecipare agli aumenti di capitale senza incorrere nella normativa contro gli aiuti di Stato, anche se non è ancora ben chiara la copertura di questi 15 miliardi, se cioè provenienti dalle risorse dell'ESM o ottenute operando in deficit, ma basta pazientare un po' e lo sapremo quando il decreto legge sarà varato e sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, non so, inoltre, a quanto ammontano i bond subordinati o assimilati in Unicredit.

L'altro evento è rappresentato dal taglio di 14 mila dipendenti, di cui quattromila circa in Italia, dove verranno soppresse o cedute 800 dipendenze e, almeno per quanto riguarda l'Italia, viene bene la ricapitalizzazione da parte dello Stato e per 600 milioni in tre anni del Fondo esuberi del settore bancario e che rende molto più conveniente per le banche operanti in Italia questa politica di alleggerimento degli organici, mentre per quanto riguarda i numerosi paesi in cui Unicredit è presente si tratta, nella maggior parte dei casi, di licenziamenti veri e propri e, vedi l'Ucraina, nell'uscita tout court da quei mercati!

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Dalla BCE è giunto ufficialmente ieri il diniego alla richiesta avanzata dal Monte dei Paschi di Siena di poter spostare il termine della complessa operazione di ricapitalizzazione e di cessione di tutte le sue sofferenze lorde per oltre 28 miliardi di euro. Nel frattempo, la banca senese ha reso noto di aver "perso" rispetto al dato di inizio anno 9 miliardi di euro di depositi ed è questo uno dei motivi alla base della decisione della Vigilanza BCE che paventa esplicitamente il rischio di una crisi di liquidità per la banca di Rocca Salimbeni!

L'agenzia di rating Moody's intanto si è portata avanti con il lavoro e ha abbassato l'outlook sulle banche italiane portandolo da stabile a negativo, trascurando che tra aumenti di capitale annunciati e già effettuati in questo anno di disgrazia 2016 siamo già a poco meno di 25 miliardi di euro.

martedì 13 dicembre 2016

Perché Angela Merkel aspetta con ansia l'intervento statale in MPS!


Tutti i Governi dei paesi dell'area dell'euro aspettano di vedere come si concluderà la telenovela della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo dopo quella istituita dall'ordine dei Templari che garantì i primi  trasferimenti di denaro a quanti si recavano alle varie crociate contro l'Islam per la riconquista della Terrasanta, ma non è azzardato dire che ad aspettare con ansia la capitolazione del Governo italiano con la promulgazione del famoso decreto, quasi un'araba fenice che vi sia ognun lo dice quale sia nessun lo sa, decreto che dovrebbe stabilire forme e quantità dell'intervento pubblico per il salvataggio di MPS, forme e quantità concordate fino alle virgole da Padoan con la Commissione UE, dunque ad attenderlo quasi con impazienza sono soprattutto la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo molto arcigno ministro delle finanza, il bavarese Wolfgang Schauble.

Il perché è presto detto: mentre l'italia ambisce ad un ricorso all'ESM per "soli" quindici miliardi di euro per sistemare le partite MPS, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, anche se qualcuno si spinge pure a parlare di Unicredit, la germania ha in mente un piano molot, ma molto più ambizioso che passa per la nazionalizzazione di Deutsche Bank e l'aumento di quella già effettuata a suo tempo in Commerzbank, nonché un meccanismo di garanzia solidale per le molto mal masse Landesbanken e Sparkassen, un qualcosa che costerebbe centinaia di miliardi di euro, in parte finanziati dai clamorosi risparmi che lo Stato tedesco ha conseguito in questi anni dal tanto vituperato in Germania Quantitative Easing di Mario Draghi nella sua funzione di Presidente della Banca Centrale Europea, risparmi che, come ha ricordato Supermario nel suo primo intervento di fronte ad un molto ostile Parlamento tedesco, sono stati, nel solo 2015, pari a 28 miliardi di euro e che dovrebbero essere ancora superiori in quest'anno di disgrazia 2016, quando il decennale tedesco è stato per diversi mesi a livelli di rendimento negativi e gli stessi titoli erano oramai quasi introvabili sul mercato!

La mossa italiana, se ovviamente avrà luogo, sarà quindi una sorta di "tana libera tutti" e consentirà ai paesi del rigore di fare in grande quello che l'Italia farà per pochi spiccioli, ma intestandosi agli dell'Unione europea tutta come il Paese del lassismo finanziario e degli scandali bancari, sì perché, se qualcuno lo avesse dimenticato, le vicende precedenti all'arrivo a Siena di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, rispettivamente Presidente e Chief Executive Office e Direttore Generale, sono ormai nelle aule di giustizia, chiamate a giudicare su Mussari, Vigni e altri alti dirigenti della banca senese, nonché sul "suicidio" del giovane direttore centrale addetto alla comunicazione, David Rossi, sulla cui morte sono state riaperte le indagini, anche perché le perizie effettuate non sembrano compatibili con l'ipotesi iniziali di un tragico atto volontario.

Perché non è solo la Germania, che pure insieme alla Francia, la Spagna, il Belgio, l'Olanda e altri paesi dell'eurozona ha effettuato interventi pubblici negli anni passati per centinaia di miliardi in favore dei rispettivi sistemi bancari, ad avere bisogno di un via libera volto alla ricapitalizzazione del suo sistema bancario, ma anche gli altri paesi citati di sopra, e non so come stanno Irlanda e Portogallo, vicini al default sistemico durate gli alti marosi della prima fase della Tempesta Perfetta, anche se ho il sospetto che il pressing un po' esagerato della Vigilanza della BCE voglia indurcia a fare questa mossa, il salvataggio pubblico di MPS, per dare modo anche agli altri Stati di sistemare le cose a casa loro!

domenica 11 dicembre 2016

MPS e quei 64,8 miliardi di euro esposti al bail in!


Premetto che personalmente non credo che il decreto, pronto a quanto pare da mesi, del Governo sul Monte dei Paschi di Siena, al momento terzo gruppo bancario italiano, preveda un'applicazione tout court della procedura di risoluzione della banca senese, bail in incluso, ma poiché Roma propone e Francoforte, leggi Vigilanza BCE, e Bruxelles, il riferimento è, ovviamente alla Commissione europea, dispongono, è meglio prepararsi a tutte le eventualità e vedere quali sono le somme previste e in gioco in questa partita che è oggettivamente stata lasciata per troppo tempo a bagnomaria, come sosterrebbe se potesse e volesse parlare l'ex CEO e direttore generale di MPS, Fabrizio Viola che, sulle incertezze e tentennamenti del Governo si è giocato la doppia poltrona, al punto da rendere l'intera vicenda putrescente.

Ebbene da dati ufficiali risulta che l'intera massa assoggettabile a salvataggio interno, il cosiddetto bail in, è enorme e arriva a sfiorare i 65 miliardi di euro (64,8 miliardi, per la precisione), mentre quella che verrebbe materialmente aggredita in una versione integrale della procedura di risoluzione (che, ripeto, non è prevista nelle intenzioni del Governo, né in quella della Nouy e della triade che guida dal giugno 2014 la Vigilanza bancaria presso la BCE, né tantomeno in quelle dell'alquanto terrorizzata Commissione UE) non arriva ai 13 miliardi di euro.

Una somma comunque enorme di denaro che fa impallidire quanto "prelevato" dai loro omologhi in Etruria-Marche-carichieti-Cariferrara che non verrà raggiunta perché la soluzione prevista prevede per gli azionisti la "sola" pena della diluizione del valore dell'azione prevista da un aumento mostre di capitale (5 miliardi di euro che sommati ai precedenti fanno 13 miliardi) al quale non sarebbero chiamati, mentre per gli obbligazionisti subordinati appartenenti alla componente retail della clientela vi sarebbe sì, insieme agli obbligazionisti subordinati definiti investitori istituzionali, la conversione forzosa in azioni della banca ma con possibilità di ristoro da parte dello Stato, a meno che dal profilo MIFID e dal loro portafoglio non emerga che  non di clientela sprovveduta e mal profilata si tratti, ma bensì di investitori professionali e in grado di comprendere a pieno il profilo di rischio di quanto a suo tempo avevano comprato.

Ora, come ricorda l'articolo di Massimo Giannini che ho postato ieri, il problema è che le verifiche sul giusto o meno profilo di 40 mila risparmiatori non è facile, come dimostra l'assurda lentezza delle procedure in corso per i loro sfortunati colleghi delle quattro banche fallire nel novembre 2015 e ancora in attesa di un cavaliere bianco che le tolga dal guado in cui sono e nel quale, nonostante la pulizia radicale avvenuta quando avvenne la scissione tra good e bad bank, sono riuscite in pochi mesi ad aggiungere poco meno di 4 miliardi di nuove sofferenze!

Quello che continua a stupirmi è che vi siano oltre 50 miliardi di euro oltre la soglia dei 100 mila euro in un banca che almeno dal 2012 è pericolosamente sull'orlo del baratro, nonostante gli sforzi di Fabrizio Viola e, per un triennio, del presidente Alessandro Profumo, ma, come ho ricordato in una precedente puntata, di depositi oltre la soglia dei 100 mila euro nel sistema bancario italiano ve ne sono per la bella cifra di 425 miliardi di euro, pari ad oltre 800 mila miliardi di vecchie lire!

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Questa puntata rimarrà anche domani in testa al blog, a meno di decisioni strabilianti del CdA di Monte dei Paschi convocato per oggi pomeriggio, CdA che ha deciso, dopo dieci ore di discussione, di riaprire i termini della conversione dei bond subordinati, aprendo stavolta anche alla clientela retail e che, solo in caso di fallimento della operazione di conversione, ci sarebbe l'intervento dello Stato nelle forme ancora sconosciute previste dal decreto che, almeno stando alle dichiarazioni di esponenti  governativi, sarebbe già pronto.

sabato 10 dicembre 2016

Le condizioni di BNP per comprare MPS


Come faccio spesso nelle giornate del fine settimana, ripubblico oggi la puntata del Diario della crisi del 24 settembre scorso sul tentativo, al momento abortito, di BNP Paribas  di mettere le mani sul terzo gruppo bancario italiano e sulle condizioni poste al Governo italiano e alla BCE considerate fondamentali per il progetto stesso.

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Ho dedicato numerose puntate del Diario della crisi finanziaria all'ipotesi che l'unica banca europea che poteva avere interesse e che aveva la forza di misurarsi con gli immensi problemi che la gestione Mussari-Vigni, ancora  regnante sulla banca senese l'omonima Fondazione, era proprio quella BNP Paribas che, in piena Tempesta Perfetta aveva salvato l'intero sistema creditizio e finanziario belga, acquisendo la tecnicamente fallita Fortis e che, alla vigilia della crisi finanziaria, si era presentata come terzo incomodo tra il Bilbao Vizcaya Argentaria e l'Unipol, una contesa con risvolti penali che determinò l'allontanamento del Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, e l'arrivo al vertice di Via Nazionale direttamente dai piani alti di Goldman Sachs in Europa di Mario Draghi, l'uomo che da Direttore Generale del ministero del Tesoro aveva guidato il più imponente e alquanto controverso processo di privatizzazioni che l'Italia ricordi, e confermando la giustezza del detto che afferma che tra i due litiganti il terzo gode, comprò per la stessa cifra prevista dalla contro opa di Unipol la Banca Nazionale del Lavoro un ex istituto di diritto pubblico sfiancato negli anni precedenti dallo scandalo di Atlanta e da quello legato a Federconsorzi, una banca con un personale assai ridondante e con una redditività alquanto scarsa, ex banca degli enti e delle imprese, ma con una presenza territoriale a maglie larghe.

Prima dell'acquisizione della BNL, la presenza di BNP in Italia era pressoché tutta concentrata a Milano dove si svolgevano essenzialmente attività di Corporate & Investment Banking, anche se, successivamente e al termine di un lungo contenzioso con la Cassa di Risparmio di Firenze, il colosso creditizio francese mette le mani in via esclusiva su Findomestic, un'entità specializzata nel credito al consumo, un'attività che negli precedenti aveva consentito di lucrare profitti molto elevati ma che, con l'aumento della concorrenza e i limiti fortunatamente posti dal legislatore e dai regolatori, presenta margini più bassi.

Ora è certamente vero che una rete di sportelli come quella del Monte dei Paschi di Siena, risultante di numerose fusioni, da quella con la banca Toscana a quella sciagurata con Antonveneta, passando per lo shopping spinto nel Meridione e in Sicilia, è un po' ridondante, ma quella attuale di BNL è decisamente insufficiente per coprire l'area affluente del nostro Paese e di questo a Parigi sono ben consapevoli, per cui non è da oggi che un dossier intestato alla banca di Rocca Salimbeni è presente sul tavolo del Chief Executive Officer di BNP, Jean Laurent Bonnafé, che certamente non ha tenuto all'oscuro gli organismi di vertice della banca delle sue intenzioni e delle conseguenti mosse più o meno esplorative, mosse che prendono in considerazione che questo è il momento migliore per un'eventuale acquisizione, sia dal punto di vista del prezzo, variabile importante per un gruppo che ha dovuto pagare una multa miliardaria negli Stati Uniti d'America (sì non c'è solo Deutsche Bank ad incorrere nelle ire dei regolatori a stelle e strisce), che da quello altrettanto importante delle condizioni che un Governo italiano alla disperazione per un aumento di capitale che rischia di non andare bene e portare dritti al processo di risoluzione (bail in incluso) potrebbe accettare pur di evitare questa grana che da un punto di vista politico è talmente delicata che si è deciso di rinviare l'aumento al 2017, senza nemmeno indicare il mese.

Il gruppo Monte dei Paschi di Siena, seppur gravato da 49 miliardi di crediti dubbi e sofferenze, è già il terzo gruppo creditizio italiano per totale dell'attivo e con una rete distributiva di oltre 2.500 presenze sul territorio ed è fortissimo nelle aree più ricche del nostro Paese, con un'acquisizione da parte di BNP si arricchirebbe di una CIB guidata da un ex Lehman Brothers come Filippo Boria e di una BNL con meno sportelli ma presenti in tutti i capoluoghi di provincia e con rapporti consolidati con il mondo della Pubblica Amministrazione e con quello delle imprese appartenenti a tutte le classi dimensionali, fino agli artigiani che segue da decenni attraverso la controllata Artigiancassa ora assorbita in una divisione della banca.

Come in ogni giallo che si rispetti, abbiamo il movente e l'occasione, ma un articolo di oggi del Corriere della Sera ci dice che, in parte saltando l'onnipotente, almeno dalle dimissioni di Fabrizio Viola, advisor e arranger dell'aumento di capitale, nonché della maxi operazione di cartolarizzazione di MPS, J.P. Morgan Chase, Bonnafé ha manifestato il suo interesse direttamente al Governo italiano e alla Banca Centrale Europea, più in particolare agli uffici della Vigilanza europea guidata da un'altra francese, Daniele Nouy,  ponendo al contempo due condizioni non del tutto digeribili sia per il primo che per la seconda e che possono essere, in estrema sintesi, riassunte nella riduzione dell'organico del gruppo senese per 10 mila unità sulle attuali 25 mila circa e nella assicurazione da parte della BCE che non verrà richiesto al gruppo creditizio francese un aumento di capitale post fusione, condizioni che possono ovviamente essere negoziate, in particolare da parte del Governo italiano, ma, fino a che non sarà possibile intravedere un eventuale punto di caduta del negoziato, non è possibile affermare se l'operazione andrà in porto o no!

P.S. Questa e tutte le altre recenti puntate dedicate al Monte dei Paschi di Siena sono dedicate alla memoria di David Rossi, il giovane direttore della comunicazione tragicamente scomparso e per il quale si indaga ancora sulle reali cause della sua morte.

venerdì 9 dicembre 2016

Un bail in mirato per il Monte dei Paschi!


Nonostante il fermo delle attività innescato dalle dimissioni che il Premier Matteo Renzi ha rassegnato nelle mani del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, al ministero dell'Economia, d'intesa con la Commissione europea e con la BCE di Mario Draghi, sarebbe, stando a quanto riferiscono le agenzie di stampa e i maggiori quotidiani, tutto pronto per un decreto che vede il Tesoro della Repubblica italiana stendere una rete di protezione attorno al molto mal messo Monte dei Paschi di Siena.

Il tutto avverrebbe avviando per decreto una procedura che vede un bail in mirato alla conversione forzosa delle obbligazioni subordinate, senza distinzioni tra quelle in possesso di investitori istituzionali e quelle detenute dalla clientela retail, due tranche che ammontano entrambe a due miliardi di euro, in quanto poco più di un miliardo è stato già convertito a condizioni molto favorevoli mentre la conversione prevista sarà a prezzi di mercato, e una possibile partecipazione dello Stato alla ricapitalizzazione anche oltre la quota attualmente in suo  possesso (il 4 per cento del capitale sociale), una manovra che non toccherebbe i depositanti oltre la soglia dei 100 mila euro e colpirebbe gli azionisti soltanto per la diluizione già prevista dall'annunciato aumento da 5 miliardi di euro.

Si è ancora in attesa della risposta della Vigilanza BCE sul rinvio di un mese della operazione di ricapitalizzazione e per la contestuale cessione dei 28 miliardi di euro di sofferenze lorde al Fondo Atlante e ad altri soggetti, cessione che determina appunto il fabbisogno di capitale con il conseguente e citato maxi aumento di capitale, il terzo nel giro di pochi anni e, anche per questo, alquanto indigesto agli investitori nonché agli attuali azionisti.

Per gli investitori retail non vi sarebbe l'automatico riacquisto delle loro obbligazioni subordinate, a meno che non risulti una discrasia tra il loro profilo di rischio rispetto all'acquisizione avvenuta in passato di titoli soggetti ad un rischio elevato, possibilità che può essere dimostrata anche ove il dipendente della banca incaricato della raccolta del questionario MIFID abbia forzato il profilo di rischi al di là delle condizioni oggettive del cliente.

Nel primo pomeriggio, è giunta la notizia, non smentita dalla Vigilanza BCE, che sarebbe stata negata la proroga al 20 gennaio del prossimo anno dell'operazione di ricapitalizzazione da cinque miliardi di euro che doveva chiudersi entro il 31 dicembre prossimo venturo, un rifiuto questo che apre la strada all'intervento pubblico come descritto di sopra e viene salutato in borsa da un'ondata di vendite dell'azione della banca senese.


Is globalization over?


Quando ho scritto questa puntata del Diario della crisi finanziaria non si era ancora abbattuto sull'orbe terraqueo il ciclone di Donald Trump, con una vittoria alle presidenziali statunitensi che non molti avevano previsto, ma che vede nella lotta senza quartiere alla globalizzazione uno dei punti forti del suo programma e un punto che si è ripromesso di realizzare nei primi cento giorni della sua attività da quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d'America e credo che lo smantellamento del NAFTA sarà una delle prime sue mosse, con l'introduzione di dazi nei confronti delle merci messicane e canadesi a meno che lo stuolo di consiglieri a libro paga lo inducano a più miti consigli, d'altra parte, questo è il vero Muro che Donald ha in mente e che gli ha assicurato la vittoria in quegli Stati industriali che gli hanno garantito la vittoria a novembre.

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Nell'unico intervento pubblico che ho fatto sulla genesi della Tempesta Perfetta, nell'ambito di un convegno svoltosi al Residence Ripetta di Roma il 19 marzo del 2008 e che vedeva come altri relatori i professori Luigi Spaventa, Paolo Leon ed Elsa Fornero, vedevo nella deregolamentazione selvaggia delle norme abbastanza chiare che vigevano nei mercati finanziari fino al 1975 una delle cause principali dello scoppio della più grave crisi finanziaria mai registratasi sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, una crisi ampliatasi a dismisura attraverso l'altro fenomeno che ha caratterizzato l'ultimo scorcio del secolo scorso e che si è poi ampliato nei primi quindici anni del secolo in corso e che è rappresentato dalla globalizzazione, un fenomeno da molti visto come salvifico ma che ha colpito duramente i lavoratori dei paesi maggiormente industrializzati, ha di fatto abbattuto i dazi, mettendo in totale concorrenza merci e servizi prodotti da paesi con condizioni molto diverse tra di loro, abbattendo al contempo quasi ogni forma di barriera ai movimenti di capitali.

Anche i più ferventi sostenitori della deregolamentazione dei servizi finanziari e della libera circolazione dei capitali a livello planetario hanno dovuto riconoscere che l'estrema instabilità esistente ancora oggi nei mercati finanziari, e qui non faccio distinzioni tra azionario, obbligazionario valute (incluso il clamoroso crollo di oltre il 6 per cento in pochi minuti avvenuto due giorni fa ad Hong Kong mentre i cittadini del paese che adotta questa antica valuta dormivano profondamente) e materie prime, oro e petrolio in primis, un'instabilità che ha fatto dire ieri, in margine ai lavori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, all'arcigno e molto misurato nelle parole ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che oramai non è possibile escludere lo scoppio di una nuova crisi finanziaria globale, anche se esperti e politici sono restii a riconoscere che la crisi di fatto non è mai terminata, anche perché, dopo le prime due devastanti ondate della tempesta perfetta (2007/2010 e 2011/2015), dall'inizio di quest'anno di disgrazia 2016, siamo nel pieno della terza ondata che ha già fatto scoppiare più di una bolla speculativa, in particolare nel settore bancario a livello globale e in quello delle materie prime energetiche.

Di fatto, a partire dagli anni Ottanta, negli Stati Uniti d'America, ma anche in Gran Bretagna e in altri paesi dell'Occidente industrializzato, vennero meno le barriere tra le banche di investimento e le banche commerciali, purché in queste ultime venissero ben delineati i confini tra il landing e l'investment banking, una distinzione che vide la nascita di specifiche divisioni denominate CIB (Corporate and Investment Banking) che si dotarono presto di proprie fabbriche prodotto con alla guida una schiera di apprendisti stregoni che, grazie alla consulenza remunerata delle stesse società di racing chiamate poi a fornire la valutazione dei prodotti stessi, valutazione che molto spesso era di tripla A, escogitarono titoli della finanza strutturata sempre più complessi che vennero poi vendita banche più piccole, a investitori istituzionali e al  pubblico desideroso di rendimenti più elevati e che considerava questi titoli sicuri come i Treasury Bonds, visto il racing massimo che li caratterizzava.

Ma da dove veniva la materia prima con la quale si costruivano questi titoli poi ignominiosamente e in breve tempo finiti per essere totalmente illiquidi e senza prezzo, al punto di essere classificati come di categoria 3 e cioè del tutto tossici)? Venivano da una categoria di intermediari, vere e proprie finanziarie, che aprivano questi mutui residenziali piuttosto che finanziamenti per credito al consumo o per l'acquisto dell'automobile,  ne facevano dei pacchetti che vendevano alle banche che poi li rimpacchettavano a loro volta, tenendoseli o, come si è detto, cedendoli a terzi, finanziarie che sono tutte o in larghissima parte fallite impedendo alle banche acquirenti di poter far valere la clausola che avrebbe costretto le finanziarie a riacquistare i finanziamenti ceduti.

Se fossero state ancora in vigore le regole antecedenti alla deregolamentazione, le finanziarie avrebbero avuto come unico sbocco le molto smaliziate banche d'investimento, ossia le Big Five, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Bear Stearns, Lehman Brothers e Morgan Stanley, che però, per le loro logiche di diversificazione, non avrebbero rappresentato uno sbocco sufficiente per il volume immenso di questi titoli, ma che rimasero comunque scottate al punto che una di loro fallì e le altre vennero, ad eccezione ovviamente di Goldman, rilevante da banche globali.

Questa in pochissime parole è la storia della genesi della Tempesta Perfetta, un fenomeno talmente devastante che diede luogo alla più rilevante riregolamentazione della storia ad opera del gruppo di lavoro coordinato e diretto da Mario Draghi, ma è evidente che senza il concomitante fenomeno della globalizzazione che ha avuto il suo apogeo con la nascita della World Trade Organization, vero crocevia e regolatore di dispute tra i vari paesi, ma anche qui si sta iniziando ad andare in direzione opposta con la crescita esponenziale dei ricorsi per vero o presunto dumping, mentre sembra destinata ad andare alle calende greche l'accoglimento della richiesta della Cina di essere considerata a tutti gli effetti economia di mercato!

mercoledì 7 dicembre 2016

Nel Veneto buco nero del credito nasce la Banca delle Venezie


Quando il Fondo Atlante nato grazie ai generosi contributi di banche e altre entità finanziarie con una dotazione di 4,2 miliardi di euro si vide costretto a sostituirsi al mercato nell'aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza, 1,5 miliardi di euro, e poco dopo in quello di Veneto Banca, 1 miliardo di euro, la maggior parte degli analisti e dei giornalisti specializzati capì subito che le due banche sarebbero state fuse con evidenti risparmi sui costi operativi derivanti da una procedura che avrebbe fatto morti e feriti tra i dipendenti di ogni ordine e grado e dalla unificazione delle strutture centrali delle due banche che sono in genere molto più pletorici di quello che si attende da banche che rimangono sempre banche di provincia, seppure di province molto ricche ed è ieri la notizia che è appunto a questa fusione che sta pensando il Fondo Atlante che ha deciso anche il nome della nuova banca che sarà Banca delle Venezie, un nome che ricorda un po' quello della seconda delle due banche e che vuole richiamare il livello regionale, una regione che come ho detto in numerose puntate del Diario della crisi finanziaria è stata davvero il buco nero del credito in Italia negli ultimi decenni.

Non so se nell'organigramma di vertice della nuova banca veneta è previsto un ruolo di primo piano per Alessandro Penati, gestore del Fondo Atlante, ma quello che è certo è che anche se non sarà presidente o amministratore delegato della Banca delle Venezie non mancherà di entrare nelle scelte strategiche della nuova banca, anche perché ha certamente in mente il conto economico della nuova banca, un conto che verrà, rispetto a quelli attuali delle due banche destinate ad andare a nozze, dal già citato taglio degli organici e dei costi generali, il tutto favorito dal forte potenziamento del Fondo esuberi del settore creditizio destinato a vivere 600 milioni di euro nel prossimo triennio per favorire l'uscita di quanti tra i dipendenti hanno i requisiti per andare in pensione entro i successivi sette anni o hanno già i requisiti per andare in pensione ma hanno chiesto di proseguire nella loro attività lavorativa, cosa che non sarà più consentita se non in casi davvero eccezionali valutati caso per caso dal nuovo management della nuova banca.

Visto il pressoché totale azzeramento dei capitali sociali delle due banche alla vigilia dell'aumento di capitale, la nuova banca, che si misura nel Veneto con il Banco Popolare che tra poche settimane sarà fuso completamente con la Banca Popolare di Milano, dovrebbe avere un patrimonio di poco superiore alla somma dei due aumenti di capitale andati deserti e sottoscritti integralmente dal Fondo Atlante e aggirarsi tra i 2,5 e i tre miliardi di euro che non sono pochi per la banca più snella e comunque forte come presenza di dipendenze in quello che rimane uno dei territori più ricchi in Italia.

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Avviso ai naviganti nella tempesta perfetta

Come ho scritto a febbraio, vi sono almeno tre bolle speculativo in giro per il mondo e la prima di esse, il mercato azionario statunitense sta continuando, almeno per il Dow Jones, polverizzando un record via l'altro, il tutto tra inquietanti scricchiolii che ora vengono avvertiti anche dagli esperti embedded alla flotta del mercato finanziario.

Il secondo segnale d'allarme riguarda il settore creditizio cinese che sta finanziando a più non posso la traballante economia di quel grande Paese, una situazione molto pericolosa e che sta suscitando l'interesse di analisti e commentatori, mentre non sono ancora del tutto chiare le motivazioni del brusco allontanamento del presidente dell'istituto nazionale di statistiche.

La terza bolla riguarda ancora gli Stati Uniti d'America ed è riferita alla crescita dei prezzi nel settore immobiliare e alle fonti di finanziamento che vedono di nuovo la proliferazione di mutui con revisione a certo tempo data delle condizioni iniziali, insomma qualcosa che ricorda molto da vicino quella dei mutui subprime di prima del 2007, uno scenario preoccupante rispetto all'idea di Donald Trump di abrogare il Dodd-Frank Act!

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Il Diario della crisi sta ricevendo diverse centinaia di visite giornaliere da lettori statunitensi e russi che oramai sovrastano nettamente i lettori italiani e, da una ricerca tra le statistiche che mi offre il provider, ho scoperto che l'interesse di questi graditi lettori è concentrato sulle puntate legate alla prima fase della Tempesta Perfetta, quella che va dal settembre del 2007 al dicembre del 2010, puntate alle quali anche io sono molto affezionato!

martedì 6 dicembre 2016

"Nave sanza nocchiero in gran tempesta"


Qualche lettore del Diario della crisi finanziaria si sarà stupito del fatto che ho mantenuto ieri la puntata programmata sulle conseguenze, poche in realtà, per le banche popolari della importante sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato sulla legge di riforma delle banche popolari per la parte che riguarda il congelamento del diritto di recesso degli azionisti in sede di trasformazione in SpA, una sentenza molto importante perché boccia clamorosamente una circolare della Banca d'Italia che aveva sostanzialmente consentito l'atteggiamento di chiusura delle banche popolari, in particolare delle due banche venete poi finite nel carniere (sic) del Fondo Atlante gestito dall'ineffabile ed enigmatico Alessandro Penati che ora potrebbe essere indirettamente chiamato a pagare il conto agli azionisti che, nei termini, avevano chiesto di esercitare, appunto, il loro diritto sancito dalle apposite norme del Codice Civile.

Ebbene, per quanto importante fosse la bocciatura dell'atto amministrativo emanato dalla Banca d'Italia, era evidente che la notizia del giorno era maturata nella notte tra domenica e lunedì, quando, a partire dagli alquanto esaustivi exit poll era risultato evidente che il tentativo di Matteo Renzi di strappare al fronte del no alla riforma costituzionale e che pesava a bocce ferme il 65 per cento dell'elettorato quanto serviva per dare al fronte del sì, che partiva, invece, da un misero 35 per cento, una vittoria per quanto risicata alla sua ambiziosa riforma, tentativo abortito sui freddi numeri del risultato definitivo che vede vedeva un 59,1 di no contro un 40,9 di sì, e questo nonostante l'apporto generoso di quel terzo di aventi diritto residenti o dimoranti all'estero che hanno approvato la riforma con il 65 per cento di voti favorevoli.

Sì, ho aspettato tutta la giornata di lunedì per capire se la mia lettura del voto era condivisa e l'ho vista racchiusa in alcuni, non tanti, titoli di articoli di quotidiani che notavano che la percentuale di voti favorevoli a Renzi è stata la stessa, anzi con un decimale in più, di quella che aveva sorpreso tutti alle elezioni europee, quando, dopo sondaggi e opinioni che volevano il PD di Renzi impegnato in un testa a testa con il movimento cinque stelle, la tenzone si era risolta in realtà con un sonoro 40,8 contro il 21 per cento di un Grillo che aveva giurato che, in caso di insuccesso, avrebbe lasciato la guida del movimento da lui fondato.

Questa pressoché totale identità di lusinghiera percentuale, non me ne voglia lo NCD e le altre minuscole forze, socialisti inclusi, che hanno contato davvero molto poco in questa aspra tenzone elettorale fortemente polarizzata sulla figura del presidente del Consiglio, è stata confermata da una platea molto più ampia di elettori del dal 57 per cento circa del 2014 si è portata al quasi 70 per cento di ora, appena un po' di meno del 75 per cento delle politiche del 2013.

Cosa accadrà ora? Sono evidenti le chance dell'attuale ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, uomo che fu letteralmente imposto ad un riottoso e recalcitrante Matteo Renzi dall'allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano, e che è l'unico che può garantire, visto che la cifra del passato Governo, fatta eccezione per alcune lodevoli e molto care all'ex Premier battaglia civili divenute, con molti maldipancia trasversali leggi dello Stato, è tutta sull'economia, il controverso rapporto con l'Unione europea e misure di redistribuzione del reddito, tutte misure che hanno visto l'ex capo economista dell'OCSE assolutamente in prima linea, con differenze che in realtà sono stata più di dettaglio che di sostanza!

lunedì 5 dicembre 2016

Dal Consiglio di Stato dolori per le banche popolari!


La sesta sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata venerdì scorso, rigorosamente a mercati ancora aperti, su numerosi ricorsi di azionisti delle banche popolari, sino alla riforma del 2015 società cooperative a responsabilità limitata, opportunamente riunificati dallo stesso collegio amministrativo giudicante in unico ricorso di azionisti che lamentavano la lesione del loro diritto di recesso in presenza della trasformazione delle loro banche in società per azioni, ricordo per tutti i disgraziati casi delle due banche popolari di quello che è il buco nero del credito in Italia, il Veneto, e cioè la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca che negarono, in virtù della circolare applicativa della legge ora rinviata al giudizio della Corte Costituzionale e i cui effetti sono stati sospesi dai giudici, il diritto di recesso ai soci stessi con grave danno visto che il valore nominale delle loro quote ammontava, rispettivamente, a 42 e a 62 euro per quota, ma il discorso riguarda anche UBI, Banco Popolare, Banca Popolare di Milano e tutte le altre banche popolari, fatta eccezione per la Popolare di Bari e un'altra popolare che non hanno ancora provveduto a completare il percorso di trasformazione da Scarl a Società per Azioni.

Ovviamente il Consiglio di Stato non può intervenire sui profili di legittimità costituzionale di una legge che può solo essere giudicata dalla Corte Costituzionale che non si è ancora pronunciata sui numerosi ricorsi innanzi a lei prendenti, ma può pronunciarsi, e venerdì lo ha puntualmente fatto, sulla circolare applicativa della Banca d'Italia, che è per l'appunto un atto amministrativo conseguente a quanto previsto nell'articolo 1 della legge sotto esame e che è poi l'atto che ha permesso alle banche popolari in corso di trasformazione di sbattere letteralmente la porta in faccia di fronte alle istanze di migliaia di azionisti inferociti che ora, insieme anche ad altri che avevano rinunciato a far valere i propri diritti, torneranno puntualmente alla carica rispetto alla loro richiesta di avere indietro i loro soldi, non accontentandosi certo di quel zero assoluto cui sono giunte dopo l'acquisizione totalitaria effettuata da Alessandro Penati e dal suo Fondo Atlante, Fondo che ovviamente lui si limita a gestire in quanto costituito da una cordata di banche e d enti finanziari, Intesa-San Paolo e Unicredit in primis. Per ora comunque, il ricorso vale solo per quanti hanno proposto l'azione di recesso entro i termini vigenti banca per banca.

Nel corso della mia lunga permanenza alle dipendenze di una delle, allora, prime banche italiane, sono stato anche per un breve ma intenso periodo ai rapporti con la Vigilanza che allora era esercitata in via esclusiva da Bankitalia che scoprii, con mia sorpresa, che definita "la Mamma", una madre severa se non si rispettavano alla lettera le sue indicazioni, ma sempre pronta a difendere verso l'esterno il sistema bancario italiano e non mi stupisce, quindi, che sia andata allegramente in questo caso verso un chiaro danno reputazione, mai come quello in cui è incorsa nel caso delle da tempo tecnicamente fallite Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche, banche che dovevano essere commissariato tanti anni prima e non essere vive e vegete quando vennero messe in procedura di risoluzione che ora non si sa se verranno, tre di loro, acquisite da UBI Banche che è un'altra delle banche popolari uscite malconcio da questa vicenda, come ben dimostrano le quotazioni di borsa di venerdì scorso!

Sono molto curioso di sapere come se ne uscirà, anche perché nessuna delle banche in questione può affrontare allegramente la pioggia torrenziale di ricorsi che potrebbero esservi con un onere patrimoniale di tutto riguardo, anche se penso che i ricorrenti farebbero bene ad aspettare il giudizio della Corte Costituzionale.

Sempre a proposito di popolari, è di ieri la notizia che il consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza (oramai saldamente nelle mani di Alessandro Penati del Fondo Atlante e in procinto, si dice, di essere fusa con Veneto Banca) ha deliberato di chiedere all'assemblea che si terrà il 15 dicembre di avviare un'azione di responsabilità contro Gianni Zonin e altri vertici della sciagurata banca veneta per danni valutati in centinaia di milioni di euro, peccato che nel frattempo l'ex presidente abbia trasferito tutto il suo patrimonio ai figli e risulti, quindi, un vero e proprio nullatenente!

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Con una larga partecipazione al voto che ha sfiorato il 70 per cento, una larga maggioranza di italiani, poco meno di 6 elettori su dieci, ha sconfitto la legge di riforma costituzionale e il Premier Renzi ha annunciato immediatamente le sue dimissioni, annunciando che formalmente le rassegnerà oggi nelle mani del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, un uomo che, al di là dell'aspetto mite e gentile, è un politico consumato e determinato, nonché autore di una legge elettorale molto apprezzata dalla maggioranza dei partiti. Aspettando le sue mosse, non resta che allacciarsi nell'immediato le cinture di sicurezza!


venerdì 2 dicembre 2016

Let the trend be your friend!


Non appartengo alla schiera dei previsori e/commentatori che si affezionano alle proprie idee al punto da non vedere quello di diverso che accade nella realtà e la decisione dell'Organizzazione dei paesi petroliferi presa l'altro ieri a Vienna è una di quelle "carte selvagge" che possono cambiare, supply side, l'andamento del mercato del petrolio, anche perché, agli 1,2 milioni di barili al giorno di riduzione dell'offerta per sei mesi, da gennaio aa giugno compreso, da parte dei paesi membri dell'organizzazione, si affiancano 600 mila barili, sempre al giorno, di tagli effettuati dalla Russia e da altri paesi produttori non appartenenti all'OPEC, un accodo che risparmia l'Iran che chiede giustamente di tornare al livello precedente alle sanzioni da poco eliminate, mentre si è giunti alla decisione di espellere l'Indonesia che si è dichiarata indisponibile per ragioni di politica interna a ridurre la propria produzione di greggio (che ora è libera di incrementare la produzione approfittando dei prezzi aumentati).

La risposta dei mercati è stata immediata e sia l'europeo Brent che lo statunitense WTI sono cresciuti del 9 per cento nel future attualmente in trattazione, mentre un sospiro di sollievo è stato tratto dai produttori statunitensi dello shell oil che avevano rallentato o bloccato la produzione di questo greggio dai costi di estrazione molto costosi e che diventa profittevole solo a prezzi al barile molto più elevati di quelli attuali e che vedrebbero con estremo favore prezzi compresi in una forchetta 60-70 dollari al barile.

Certo, un taglio di 1,8 milioni di barili di greggio al giorno, una cifra che rappresenta quasi il 2 per cento dell'output giornaliero di petrolio, è quasi equivalente al gap che oggi esiste tra offerta e domanda, un gap che non ha determinato ancor più drastici cali del prezzo al barile solo per la vischiosità e la poca trasparenza di questo immenso mercato, ma quello che viene da chiedersi a 43 anni dal primo shock petrolifero è se qualcosa non sia cambiato negli aggiustamenti della domanda di greggio ad un approccio aggressivo supply side come quello appena deliberato dall'OPEC e la risposta è positiva, in quanto i paesi importatori hanno fatto in questi decenni enormi investimenti in risparmi energetici e sviluppo di fonti alternative che hanno reso molto più elastica la domanda di fronte alle "prepotenze" dal lato dell'offerta, ma tutto questo si vedrà solo quando si sarà diradato il polverone mosso dalle tigri un po' ammaccate riunitesi, dopo parecchi mesi di annunci non proprio concordi tra di loro.

In tutto questo bailamme, vi è un vincitore indiscusso ed è il presidente venezuelano Maduro, un uomo sull'orlo della peggiore catastrofe economica e sociale e con oltre metà del Paese contro, ma che ora potrà ruprendere a finanziare il modello inventato dal suo predecessore, il defunto Hugo Chavez, golpista con chiare simpatie castriste, un modello che consisteva nel finanziare apertamente il blocco sociale che lo sosteneva, cosa che in questi ultimi anni è stata così difficile al suo successore, letteralmente massacrato dai continui cali del prezzo del greggio.

giovedì 1 dicembre 2016

Mani fortissime sul titolo MPS!


Quella di oggi, più che una puntata del Diario della crisi finanziaria sembrerà una breaking news, perché il titolo è del tutto self expleining soprattutto per chi si sia sintonizzato da qualche mese sulla lunghezza d'onda di questo blog.

Nonostante la non del tutto prevedibile solerzia della CONSOB, si susseguono movimenti da cardiopalma del titolo del Monte dei Paschi di Siena, sceso lunedì, giorno del raggruppamento delle azioni (una nuova per ogni cento vecchie possedute) e dell'avvio, con la benedizione della Vigilanza della BCE, della conversione "volontaria" dei bond subordinati in possesso degli investitori istituzionali e di quelli appartenenti alla clientela retail (per i primi si parla di un'adesione al momenti di 1,4 miliardi di euro di capitale nominale su un totale di 3 miliardi, mentre nulla si sa riguardo l'adesione dei secondi),  una flessione dicevo di poco meno del 14 per cento, seguita da un rimbalzo del 17 per cento martedì con il ritorno a quota venti euro (che sarebbero poi 20 centesimi per le vecchie azioni prima del raggruppamento), quota superata mercoledì giornata nella quale si registra una prosecuzione del rimbalzo.

Tra due giorni si saprà se, come tutto lascia pensare, l'operazione di conversione è giunta a quella soglia del 50 per cento dello stock (5 miliardi) che il nuovo CEO, Marco Morelli, si era prefisso, anche se io scommetto che tale soglia verrà rapidamente superata quando i big players avranno capito che è il caso di accodarsi e, soprattutto se i borsisti del gruppo creditizio senese saranno in grado di cantare ai risparmiatori la suadente canzoncina che gli uomini al vertice e i loro advisor hanno predisposto con cura.

Ma uno dei motivi per i quali credo che tutto si risolverà nel migliore dei modi è dato dal fatto che Eisman e la sua compagnia di giro hanno già guadagnato abbastanza speculando contro questa ed altre banche italiane e contro Deutsche Bank, anche per la drastica decisione della CONSOB di prorogare ad libitum il divieto di vendere allo scoperto che è una mossa di tipo segnaletico e che denota l'attivismo della Commissione sui movimenti più o meno consentiti attorno al titolo della banca senese.

Come bene ha detto qualcuno prima di me, quello a cui stiamo assistendo è una sorta di bail in mascherato, con gli obbligazionisti "convinti" a trasformare un titolo di credito in un'azione di rischio acquisiti quando la stessa è a livelli infimi e vedremo alla fine che investitori istituzionali e clientela retail accomunati da un medesimo sentire, mentre per gli azionisti della banca il discorso ca va sans dire, anche se, se l'intera operazione di conversione e successiva ricapitalizzazione va in porto, potrebbe rivedere almeno parte di quanto hanno perduto.

Non mi è piaciuto il modo in cui Mario Morelli è tornato in MPS, né quelle che son le sue compagnie in questa avventura, ma mi vedo costretto a dire: chapeau!