giovedì 31 marzo 2011

L'Irlanda nazionalizza altre due banche!


Mentre si aspetta il prevedibile finale della crisi portoghese che avverrà quando il governo dimissionario ma ancora in carica (o quello che scaturirà dalle elezioni anticipate o un esecutivo delle larghe intese creato per evitarle) accetterà l’aiuto internazionale per la ventilata somma di 75 miliardi di euro, i riflettori tornano ad accendersi sulla Grecia e sull’Irlanda, le due prime nazioni dell’area euro che hanno accettato consistenti aiuti finanziari dall’apposito fondo di salvataggio, dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale.


Per quanto riguarda la Grecia, c’è stato ieri l’ennesimo declassamento di Standard & Poor’s che ha portato la valutazione ancor più nell’area dei junk bonds, mentre l’Irlanda dovrà, dopo il prevedibile pessimo esito degli stress test, a nazionalizzare anche le uniche due grandi banche ancora non sotto il controllo dello Stato.

Attualmente sono sotto il controllo del ministero delle finanze irlandese la Anglo Irish Bank, la Irish Allied Bank, la EBS Building Society e la Irish Nationwide Building Society, con interventi finanziari complessivi per decine di miliardi di euro, uno sforzo a cui si aggiungerà ora quello necessario a ricapitalizzare la Bank of Ireland e la Irish Life & Permanent, un esborso che dovrebbe costare poco meno di trenta miliardi di euro (27,5 miliardi per la precisione).

L’ennesimo salvataggio delle banche irlandesi si accompagna a un feroce attacco al welfare state, una contraddizione che era già chiara ai tempi del salvataggio dell’Irlanda e che ha acceso un dibattito che ha lacerato il Paese.

mercoledì 30 marzo 2011

Il Portogallo è il prossimo! (3)


Ho dato conto, nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria, del degradamento operato da Standard & Poor’s del debito sovrano del Portogallo, o meglio del Portogallo tout court, notizia che era disponibile sui siti internazionali ma che è stata riportata solo oggi dai mezzi di comunicazione di massa italiani, un ritardo che può essere frutto di distrazione o di scarsa considerazione dei rischi insiti nella crisi finanziaria portoghese, mentre la novità è rappresenta dalla decisione della stessa società di rating di portare i titoli di Stato della Grecia a livello dei titoli spazzatura.

Nel frattempo la crisi politica portoghese è completamente avvitata su se stessa e non si vedono le possibilità di dare vita a quel governo di larghe intese che solo potrebbe da un lato varare un piano credibile su deficit e debito e dall’altro negoziare un programma di aiuti internazionali come chiedono pressantemente i partner dell’eurozona.

Un’ondata di vendite ha colpito i titoli bancari italiani, in gran parte a causa di timori di aumenti di capitale già annunciati o soltanto temuti, colpiva ieri l’andamento del titoli di banca UBI che ha perso l’11 per cento del suo valore in un solo giorno.

E’ comunque difficile tenere in questi giorni la mente sulle vicende economiche quando una guerra divampa a poche miglia marine da casa nostra e cominciano a diventare chiare le conseguenze gravissime di quanto sta accadendo nella centrale nucleare giapponese di Fukushima, ma come si diceva un tempo the show must go on!


martedì 29 marzo 2011

Il Portogallo è il prossimo! (2)

La crisi portoghese rischia di ricalcare il copione già visto nei casi analoghi della Grecia e dell’Irlanda, perché anche in questo caso come nei due precedenti il governo, dimissionario, guidato dal socialista Socrates giura e rigiura che il Paese può salvarsi con le sue sole forze e di non avere bisogno degli aiuti internazionali per 75 miliardi di euro che verrebbero da uno sforzo tripartito dell’ FSFB, dell’Unione europea e del Fondo Monetario Internazionale, una posizione che sembra ignorare le pesanti scadenze previste per il mese di aprile e per quello di giugno.
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Nel frattempo l’agenzia internazionale di rating Syandard & Poor’s ha ridotto di due posizioni il rating sul Portogallo, portandolo a BBB e minacciando di ridurlo a breve di un’altra posizione, una strada che porterebbe i titoli di stato portoghesi in una situazione di mercato davvero difficile con prevedibile aumento dei rendimenti al di sopra dei livelli altissimi già toccati in questi giorni.
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Quello che è certo è che ci sono fondi per fare fronte alla scadenza di aprile ma, senza aiuti internazionali, non a quella di giugno, una circostanza che fa che sì che i mercati già scontino la capitolazione del governo di fronte alle pressioni dei partner dei paesi dell’eurozona, ma anche di quelle dei paesi dell’Unione europea che non aderiscono all’euro.
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Gli sforzi del presidente della repubblica portoghese non sembrano sortire effetti e sembra impossibile la formazione di un governo di larga intese, vista la determinazione del centrodestra nella richiesta di elezioni, forti dei sondaggio che attualmente li premiano rispetto alle altre forze politiche.

lunedì 28 marzo 2011

Il Portogallo è il prossimo!


Ho dedicato più puntate del Diario della crisi finanziaria alla situazione del Portogallo, aggiungendo ai titoli che lo riguardavano come prossimo destinatario di un piano di salvataggio tripartito tra Unione europea, FSFB e Fondo Monetario Internazionale il punto interrogativo, ebbene, dopo la caduta del governo Socrates sul piano di austerità che avrebbe dovuto scongiurare l’intervento, è possibile dire che, salvo un miracolo dell’ultim’ora, il salvataggio, si parla di 75 miliardi di euro, è diventato d’obbligo.

Tutti ricorderanno i due casi precedenti, quello della Grecia e quello dell’Irlanda, lunghi tira e molla tra i rispettivi governi e i partner dell’area dell’euro ansiosi che si definisse il salvataggio per timore dell’effetto contagio, con i primi ministri che continuavano a negare la necessità del piano di salvataggio anche pochi minuti prima di firmarlo.

I rendimenti dei titoli portoghesi sono andati ai massimi da quando il paese ha aderito all’euro, più elevati di quelli toccati durante la crisi irlandese, quando eravamo in molti a pensare che fosse questione di settimane prima che il governo portoghese si arrendesse all’inevitabile.

Comunque vadano a finire le cose, l’attenzione degli operatori e degli speculatori si sposterà inevitabilmente sulla Spagna (anche se non è peregrino pensare che anche le vicende dell’Italia finiranno sotto osservazione), anche perché un terzo del debito portoghese fa capo alle tre principali banche spagnole con un effetto domino difficilmente disinnescabile.



venerdì 25 marzo 2011

Sempre più giù il settore edilizio USA!


Dopo il dato molto negativo sulle vendite di case esistenti in febbraio, giunte ad un dato annualizzato di 4,6 milioni di abitazioni vendute, è giunto anche il terzo tonfo consecutivo delle vendite di case di nuova costruzioni, scese in febbraio ad un dato annualizzato di 250 mila unità, un dato largamente inferiore a quello che dovrebbe denotare un settore immobiliare in salute e che viene stimato intorno alle 700 mila unità.

Per avere un’idea di quello che è il dato più basso degli ultimi 50 anni (non si va più indietro perché allora iniziarono ad essere disponibili statistiche attendibili sul settore immobiliare) basti pensare che nel lontano 1963, quando la popolazione era di 110 milioni di persone inferiore a quella odierna vennero vendute 560 mila case nuove, mentre nell’intero anno scorso ne sono state vendute 323 mila, un dato quest’ultimo significativamente più elevato di quello che, se non vi saranno impennate poco prevedibili, sarà il dato finale del 2011.

Il vero problema sta nel fatto che i costruttori stanno fortemente riducendo il numero di case costruite, che sono ora ad un minimo storico di 183 mila e vi sono segnali che ridurranno ancora di più in prospettiva il numero di cantieri aperti.

Un altro segnale fortemente negativo è rappresentato dal prezzo mediano delle nuove case crollato in febbraio a 202 mila dollari, il dato più basso dal 2003, ma anche un prezzo al quale diviene poco conveniente per i costruttori vendere una casa.


giovedì 24 marzo 2011

La Fed blocca l'aumento dei dividendi delle banche!

La Federal Reserve ricomincia a fare la banca centrale e sta rintuzzando le richiese delle maggiori banche a stelle e strisce che vorrebbero aumentare i dividendi ai propri azionisti, anche per rendere più appetibili le proprie azioni e dimostrare al contempo al mondo intero che il peggio è oramai alle spalle. Come aveva fatto nei giorni scorsi di fronte alle richieste di J.P. Morgan Chase, di Bancorp e Citigroup, la Fed ha risposto ieri alla Bank of America che di aumento dei dividendi si potrà parlare solo dopo che la banca avrà superato lo stress test, dimostrando così che il suo stato di salute consente di venire incontro alle legittime attese degli azionisti. La prudenza in questo caso è d’obbligo, considerando che quasi tutte le banche che hanno avanzato la richiesta di un innalzamento del monte dividendi sono coinvolte nel meltdown immobiliare e due di esse hanno dovuto bloccare le procedure che portano all’esproprio delle case nel caso i mutuatari siano in ritardo con il pagamento delle rate perché era emerso che centinaia di queste pratiche venivano lavorate al giorno da dipendenti definiti per questo robo signers. Per non parlare del problema rappresentato dalla montagna di titoli della finanza strutturata che, seppur in presenza della nuova regolamentazione che consente di non evidenziare le perdite, rappresentano comunque un carico enorme per le banche che li detengono al di sopra o al di sotto della linea di bilancio!

mercoledì 23 marzo 2011

Continua il meltdown immobiliare negli USA!


Mentre il mondo è in apprensione per la situazione sempre critica della centrale nucleare di Fukushima e per l’intervento armato contro la Libia di Gheddafi, negli Stati Uniti d’America non accenna a finire il meltdown immobiliare, come testimonia il dato delle vendite di case esistenti che in febbraio si è portato ad un tasso annualizzato di 4,88 milioni di case in calo del 9,6 per cento dai 5,4 milioni di gennaio e ben al di sotto di quel livello di 6 milioni di case che, secondo gli esperti del settore, starebbe ad indicare un mercato edilizio in salute.

Il fatto grave è che il 40 per cento di queste vendite sono rappresentate da vendite all’asta derivanti da procedure di foreclosure o da vendite sottocosto nelle quali i proprietari ricavano meno di quanto devono per il mutuo acceso in precedenza, così come appare strano che un terzo delle vendite avvengono per contanti, una modalità di acquisto che era ad un sesto soltanto un anno fa e che è un chiaro indizio di speculazione, in particolare nelle zone più disastrate dal punto di vista del settore immobiliare.

E’ sufficiente, peraltro, citare il caso di località come Las Vegas o Miami, dove vengono acquistate in contanti metà della case vendute, mentre il prezzo mediano delle vendite a livello nazionale si è portato intorno ai 156 mila dollari, in flessione del 5,6 per cento e il livello più basso dal lontano 2002.

Per gli ottimisti a un tanto al chilo, tutto questo sta a significare che stiamo toccando il fondo, previsione che si basa sull’apparizione in massa di persone che sono disposte a comprare case che sono convinti, o sperano, di poter rivendere a prezzi maggiori.


martedì 22 marzo 2011

Buffett vede rosa sul Giappone!


Mentre i tecnici stanno combattendo per mettere sotto controllo i sei reattori della centrale nucleare di Fukushima e il governo nipponico ancora non sa quando sarà possibile terminare il crescente elenco dei defunti e poter iniziare una ricostruzione delle zone devastate dal sisma e dallo tsunami, una voce di speranza viene dal leone di Omaha, al secolo Warren Buffett, che vede un futuro migliore per le aziende nipponiche guidate, aggiungendo che se ne possedesse si guarderebbe bene dal venderle, vedendo nel crollo senza precedenti della settimana scorsa buone opportunità di acquisto, senza però entrare nel dettaglio.

Qualcuno potrebbe pensare che è facile parlare così avendo i propri interessi principali così lontano, ma il discorso di Buffett è avvenuto nel corso dell’inaugurazione di un impianto sudcoreano posseduto da un’impresa israeliana che fa capo alla sua Berkshire Hathaway, un discorso nel quale non ha nascosto altre mire in Sud Corea e dintorni.

Avendo dedicato tre puntate consecutive al triplice disastro giapponese, mi vedo costretto a dire qualcosa sulle affermazioni dell’uomo che, insieme a George Soros, mi ha ispirato nelle oltre ottocento puntate della crisi finanziaria, anche se va detto che la prospettiva rosea di Buffett è riferita al dopo ricostruzione, uno sforzo che, secondo prime stime, dovrebbe costare 165 miliardi di dollari, pari al 4 per cento del pil giapponese.

Pure con le premesse citate, credo che il ragionamento di Buffett non tenga del tutto conto della reazione che la popolazione giapponese sta avendo, ma ancora di più avrà, rispetto al modello energetico giapponese, un modello basato sul massiccio ricorso all’energia nucleare prodotta in impianti simili a quello attualmente sotto gli occhi del mondo, un modello che potrebbe essere rimesso in discussione con conseguenze difficilmente prevedibili sull’intero modello economico giapponese!

lunedì 21 marzo 2011

Tremonti affonda la lobby del nucleare!

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Anche i più sprovveduti tra gli italiani hanno capito benissimo che dopo quello che sta succedendo nella centrale giapponese di Fukushima le sorti del piano italiano per il nucleare, dodici impianti di terza generazione da installare nel nostro paese, erano gravemente compromesse se non del tutto annullate, ma quello che è successo ieri a Cernobbio (località dalla strana assonanza con Chernobyl) sono suonate come un de profundis per la potente ma attualmente alquanto malmessa lobby nostrana del nucleare.

E’, infatti, da quella ridente località che il per la terza volta ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti, ha discettato dei rischi connessi alla crisi finanziaria ancora in corsa, aggiungendo a quelli già noti il rischio nucleare, un rischio a suo dire molto concreto e legato non solo agli incidenti possibili ma anche ai difficilmente quantificabili costi necessari per concludere in modo sicuro la vita di un reattore eventualmente installato, per la precisione il ministro ha parlato di debito nucleare, da affiancare al debito pubblico e a quello privato.

Il molto immaginifico ministro ha lanciato anche una sua proposta che consiste nell’investire risorse adeguate per lo sviluppo delle energie alternative finanziando questi investimenti con la creatura a lui più cara rappresentata dagli eurobonds, anche se utilizzando le somme preventivate per il piano nucleare sarebbe possibile fare un bel tratto di strada nell’innalzamento della percentuale di energia tratta dal sole dal vento e da tutte le altre possibili fonti di energia diverse da quelle fossili, una strada peraltro già percorsa dall’Italia in tempi non sospetti con il massiccio ricorso all’idroelettrico.

venerdì 18 marzo 2011

Il G7 indebolisce lo yen!

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Qualcuno si è stupito del comportamento dello yen giapponese nei confronti del dollaro, ma un po’ di tutte le valute, un rafforzamento che sembrava stravagante con il terremoto, il maremoto e la catastrofe nucleare, ma che risulta del tutto normale alla luce dell’immenso rimpatrio di capitali che ha visto protagoniste le compagnie di assicurazione, ma non solo loro, spingendo lo yen al record storico di 76 nei confronti del dollaro.

La decisione dei ministri delle finanze del G7 di contrastare questo apprezzamento dello yen ha sortito effetti portando il dollaro nuovamente al di sopra della soglia psicologica degli 80 yen, ma già nei giorni precedenti le banche centrali avevano fatto fronte e il dollaro già si era portato ieri al livello di 79 yen.

I lettori del Diario della crisi finanziaria sanno bene quanto io ritenga inutili nel medio periodo le mosse concertate delle banche centrali per giungere a un livello desiderato dei rapporti tra le valute convertibili, mentre rimane inevasa la richiesta degli Stati Uniti d’America e di altri paesi occidentali volta ad ottenere una rivalutazione della valuta cinese!

giovedì 17 marzo 2011

Ma quanto è potente la lobby nucleare?

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Mentre tutto il mondo si interroga sulla catastrofe nucleare giapponese, con la centrale incriminata oramai trasformata in una sorta di pozzo di Vermicino, dove per fermare il mostro si prova veramente di tutto ma con ben scarsi risultati, ferve il dibattito in tanti paesi, compresa l’Italia, sull’opportunità di insistere con l’opzione nucleare o aumentare, invece gli investimenti sulle energie alternative, quali l’eolico e il solare, tecnologie giunte a un discreto grado di maturazione e che diverranno via via più economiche quanto più i governi decideranno di incentivarne l’adozione anche a livello dei singoli utenti.

Il caso italiano è emblematico in quanto nel nostro paese dopo un referendum sono state chiuse le poche centrali nucleari esistenti e in anni recenti si è adottata una legislazione di sostegno delle energie alternative che ha dato ottimi frutti, se non che il governo Berlusconi ha deciso di riprendere l’opzione nucleare con l’obiettivo di realizzare 12 centrali di terza generazione, attualmente allo stadio di prototipo e, con un recente colpo di mano ha posto pesanti limiti agli incentivi per chi volesse creare impianti fotovoltaici o eolici di rilevanti dimensioni.

Conscio che la maggioranza della popolazione, anche alla luce degli avvenimenti giapponesi e a fronte della palese impotenza delle autorità preposte a porre rimedio agli incidenti occorsi, il governo italiano si è precipitato, dopo alcune improvvide dichiarazioni di diversi ministri, a dire che le centrali verranno realizzate solo nelle regioni che si dichiareranno favorevoli, allo stato nessuna, e che comunque ci si muoverà in linea con le scelte che in materia adotterà l’Unione europea.

Ma in Italia come negli altri paesi difficilmente la potente lobby nucleare rinuncerà a premere affinché, quando sarà opportunamente passato l’effetto del caso giapponese, riprendano con vigore i programmi di costruzioni di nuove centrali, utilizzando il prevedibile argomento che le nuove centrali saranno più sicure delle vecchie, ipotesi chiaramente esclusa dal Nobel Rubbia che ha affermato ieri che è necessario fermarsi a riflettere e puntare a energie alternative e intrinsecamente sicure!

mercoledì 16 marzo 2011

Terremoto, tsunami e tempesta perfetta! (3)


Anche questa puntata del Diario della crisi finanziaria è un seguito delle puntate di ieri e dell’altro ieri, perché quello che sta accadendo in Giappone dopo il terremoto, elevato da 8,9 a 9 gradi della scala Richter, e il violentissimo maremoto è qualcosa di difficilmente immaginabile con tre reattori su quattro di una centrale nucleare oramai chiaramente fuori controllo e con il rischio della fusione di uno di questi, se non di tutti e tre, non esclusa più neanche dai responsabili della società che gestisce l’impianto, per non parlare degli allarmi che vengono da altre centrali nucleari della zona colpita dallo tsunami.

In questo contesto la borsa di Tokyo non poteva che fare quello che ha fatto, giungendo a perdere sino al 14 per cento, per chiudere con una perdita del 10,6 per cento che ha portato il Nikkey a 8.600 punti, mille in meno del livello raggiunto lunedì quando aveva sfondato d’impeto verso il basso la soglia dei 10.000.

Oltre che per le preoccupazioni per quanto sta avvenendo nel potente vicino, le altre borse asiatiche sono state colpite dalle vendite massicce provenienti dagli investitori istituzionali giapponesi, assicurazioni in prima fila, che hanno iniziato un rimpatrio di capitali per far fronte ai pressanti impegni risarcitori che si profilano.

Sarebbe troppo lungo l’elenco delle società che hanno registrato flessioni a due cifre, tra queste spiccano la società che gestisce la centrale che ha perso oltre il 24 per cento, dopo il 23 per cento lasciato sul terreno lunedì e la società costruttrice di impianti nucleari, la Toshiba Corp., che ha perso il 19,5 per cento.



martedì 15 marzo 2011

Terremoto, tsunami e tempesta perfetta! (2)


Questa puntata del Diario della crisi finanziaria è un seguito della puntata di ieri e sarà integralmente dedicata al Giappone, ma stavolta visto sotto il profilo degli accadimenti economici nella prima giornata di contrattazioni dal devastante sisma, ma soprattutto dal terrificante maremoto che ha spazzato via interi paesi e facendo verosimilmente decine di migliaia di vittime, per non parlare del ripetersi di esplosione nella centrale nucleare già teatro sabato della prima esplosione nel sito di un reattore.

Come era largamente prevedibile, la borsa di Tokyo ha lasciato sul terreno oltre 600 punti, chiudendo a 9.600 punti con una perdita superiore al 6 per cento, mentre la società che gestisce gli impianti nucleari fuori controllo, la Tepco, ha perso poco meno di un quarto del valore segnato venerdì con un segno rosso percentuale di oltre il 23 per cento, una pesantissima flessione che si somma allo sconcerto e alla confusione dei dirigenti che non sanno assolutamente, e noi con loro, cosa riserveranno le prossime ore e i prossimi giorni!

Penalizzati anche i titoli delle compagnie di assicurazioni che prevedono di pagare 35 miliardi di euro di danni, mentre la Bank of Japan ha iniettato 40 mila miliardi di yen di liquidità senza i quali è difficile dire cosa sarebbe accaduto sui mercati, anche se una idea la fornisce il volume delle contrattazioni giunto ad un record di 4,88 miliardi di azioni che hanno trovato comunque controparte grazie alla citata iniezione di liquidità di cui hanno beneficiato le banche e gli investitori istituzionali.

La chiusura delle tre più importanti raffinerie giapponesi ha invece determinato un calo del prezzo del petrolio che, sui mercati asiatici, si è portato al di sotto della soglia psicologica dei 100 dollari, chiudendo a 99,15 dollari al barile.



lunedì 14 marzo 2011

Terremoto, tsunami e tempesta perfetta!

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Chi come me si occupa da due anni e mezzo della più grave crisi finanziaria che il mondo abbia mai conosciuto, un vero e proprio terremoto che ha cambiato il mondo finanziario per come lo avevamo conosciuto nei decenni della finanziarizzazione spinta dell’economia, dovrebbe essere immune da emozione nei confronti dei fenomeni fisici, anche i più devastanti, ebbene non è affatto così e, come tutti, sono rimasto del tutto attonito e sgomento rispetto al terremoto e successivo devastante maremoto avvenuti in Giappone, per non parlare poi di quello che sta accadendo in due centrali nucleari poste a pochi chilometri di distanza tra loro con cinque reattori del tutto fuori controllo e il rivestimento esterno di uno di questi del tutto disintegrato.

Condivido con tutti, o quasi, sentimenti di umana pietà per quelle che, alla fine dei conteggi, saranno decine di migliaia di vittime, basti pensare che in una sola località vi sono diecimila dispersi e ho ancora negli occhi le immagini di centinaia di case portate via da un’ondata gigantesca ed è difficile ritenere che fossero tutte vuote, così come fa impressione pensare a quei tre treni scomparsi nel nulla con tutti i loro passeggeri, per fortuna poi ritrovati sani e salvi.

Come tutti, anche io mi auguro che quella delle due centrali nucleari giapponesi danneggiate dallo tsunami non si riveli un’altra Chernobyl se non qualcosa di peggio, ma penso anche che l’impotenza manifesta delle autorità rispetto a quanto sta avvenendo in quei due siti debba far ripensare all’utilizzo del nucleare come fonte di elettricità, perché i rischi sono troppo elevati ad onta delle statistiche che vorrebbero dimostrare come l’evento sia improbabile, ma quando accade le conseguenze possono essere davvero disastrose!

venerdì 11 marzo 2011

Le conseguenze sociali della tempesta perfetta! (2)


Per il secondo mese consecutivo sono diminuite in febbraio le nuove aperture di procedure di foreclosure negli Stati Uniti d’America, con 255.101 proprietari di case che hanno ricevuto l’avviso di quel percorso che porta spesso alla vendita all’asta dell’abitazione, un dato che è inferiore del 14 per cento rispetto a quello di gennaio e del 27 per cento nei confronti dello stesso mese dell’anno precedente e che, secondo le informazioni fornite da RealtyTrac si pone al livello più basso degli ultimi 36 mesi.

Il motivo di questo rallentamento del flusso di foreclosure è, come è noto, legato alla maggiore cautela delle banche e delle finanziare nell’avviare il processo o nel portarlo avanti, in particolare nei 28 Stati nei quali è previsto un passaggio giudiziale, in particolare i primi avvisi di avvio della procedura sono crollati del 41 per cento rispetto al febbraio del 2010, mentre le aste programmate per la vendita delle case sono calate del 21 per cento su base annua.

Banche e finanziarie sono comunque venute in possesso in febbraio di oltre 66 mila case, un dato più basso del 17 per cento rispetto a gennaio e del 18 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, ma negli Stati nei quali è obbligatorio un passaggio giudiziale il calo è stato ancora più marcato portandosi al 35 per cento su base annua.

Il problema prossimo venturo è, tuttavia, rappresentato da quegli oltre 5 milioni di mutuatari che sono in ritardo di almeno due rate del mutuo, una parte dei quali non riuscirà, a causa della crisi del mercato del lavoro ed al crollo del valore degli immobili, a mettersi in pari con i pagamenti e ai quali inevitabilmente arriverà la prima notifica dell’avvio del processo di foreclosure.


giovedì 10 marzo 2011

Icahn restituisce i soldi ai suoi sottoscrittori!


Molto conosciuto come uno spietato raider che entra nelle grandi corporation statunitensi per poi monetizzare la sua uscita, Carl Icahn ha colpito l’immaginazione degli investitori decidendo di restituire 1,75 miliardi di dollari ai partecipanti al suo hedge fund che d’ora in poi farà capo a lui soltanto.

Ma quello che più colpisce è la motivazione di questa scelta dello ‘squalo’ che è racchiusa in queste parole “non voglio essere responsabile nei loro confronti per le conseguenze di un’altra possibile crisi dei mercati”, crisi che il raider vede possibile alla luce del quasi raddoppio del livello dei listini azionari statunitensi rispetto ai livelli toccati nel giorno più terribile della tempesta perfetta, il 9 marzo del 2009.

Icahn aggiunge poi di essere molto preoccupato per quanto sta accadendo in Nord Africa e Medio Oriente, avvenimenti che potrebbero innescare una rapida retromarcia dei mercati, soprattutto se, come nel caso della Libia, non si giungesse presto ad una soluzione.

Come scrivevo nella puntata di martedì scorso del Diario della crisi finanziaria, è da due anni che definisco il forte recupero iniziato nel marzo del 2009 la corsa dell’orso e credo che dichiarazioni come quelle di Icahn siano in linea con questa definizione!

mercoledì 9 marzo 2011

La nuova guerra del petrolio!

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La crisi libica, oramai una vera e propria guerra civile, ha portato il prezzo del greggio negli Stati Uniti d’America a 106 dollari al barile, il massimo dall’autunno del 2008, anno nel quale il contratto futuro aveva toccato i 170 dollari per poi cadere rovinosamente al di sotto dei 50 dollari, una situazione questa, molto più che l’incerto conteggio delle vittime dei combattimenti che sta spingendo la NATO a decidere, forse anche in assenza di un voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, lo stabilimento di una zona di non volo su tutto o parte del territorio libico, una decisione che potrebbe accelerare l’uscita di scena del dittatore libico.

Nel frattempo, e con molta calma, i paesi dell’OPEC stanno decidendo di aprire ulteriormente i rubinetti allo scopo di calmierare i prezzi, mentre Obama, oltre a spingere sull’opzione militare, sta decidendo di utilizzare le scorte strategiche di petrolio, due decisioni, per ora ipotetiche, che potrebbero bruciare le mani di quanti stanno puntando a una crescita ulteriore dei prezzi del petrolio agendo, come si suol dire one way.

E’ ben strano questo conflitto libico, con il dittatore che possiede di truppe scelte e migliaia di mercenari, di un’aviazione di tutto rispetto, un apparato di terra e di aria che dovrebbe sbaragliare in poco tempo gli insorti, ma che invece non riesce a riconquistare neppure la piccola località ad un tiro di schioppo dalla capitale.

La minaccia di Gheddafi di minare i pozzi petroliferi ha preceduto di poche ore le minacce di Obama e del segretario generale della NATO, chiarendo oltre ogni ragionevole dubbio qual è la molla che fa scattare americani, europei e anche gli asiatici!

martedì 8 marzo 2011

Quella dell'azionario USA è una bolla speculativa?


Nella sua recente audizione al Senato statunitense, Bernspan non ha parlato soltanto dei temi usuali quali l’inflazione, il deficit federale e il debito, ma ha anche dovuto rispondere alla domanda di un senatore che gli chiedeva se il livello dei tre principali indici azionari a stelle e strisce non prefigurasse una bolla speculativa, una domanda che fa correre un brivido nella schiena agli investitori che di bolle ne hanno viste esplodere due negli ultimi dieci anni: quella dei titoli tecnologici che dimezzò in pochissimo tempo il valore del Nasdaq e quella del settore immobiliare iniziata nel 2006 e dalla quale non si è ancora usciti.

Ovviamente la risposta di Bernspan è stata di tipo lapalissiano, affermando che vi erano piccole evidenze di un fenomeno del genere, ma che nessuno poteva saperlo con sicurezza, affermazioni con le quali è difficile non concordare perché dell’esistenza di una bolla speculativa si è certi soltanto quando scoppia.

La spiegazione che danno gli analisti di questo fortissimo recupero degli indici, e in particolare delle migliori azioni presenti sul mercato, è che due anni fa vi fu una tendenza irrazionale a vendere che portò il valore di alcune blue chips a un quarto del valore attuale, ma gli stessi analisti giudicano razionale il valore cui sono giunte oggi anche se solo una parte dei problemi di allora sono stati risolti, mentre i prezzi indicano una fede negli investitori nella soluzione pressoché completa degli stessi.

E’ per questi motivi che ho chiamato il forte recupero iniziato nel marzo del 2009 la corsa dell’orso e credo che conviene aspettare un po’ per vedere se tale definizione era azzeccata oppure no!

venerdì 4 marzo 2011

Bernspan non vede rischi per l'inflazione!


Al di là e al di qua dell’Oceano Atlantico monta il dibattito sull’inflazione presente, ma, ancor di più, su quella prossima ventura, a partire dall’impennata del prezzo del petrolio che, sull’onda degli avvenimenti in Libia, ha toccato il massimo degli ultimi 29 mesi e a cui si unisce una domanda crescente delle altre materie prime che stanno influenzando l’indice dei prezzi alla produzione per scaricarsi poi inevitabilmente su quello che misura i prezzi al consumo.

Nella sua recente audizione al Senato statunitense, Bernspan ha fatto le seguenti affermazioni che riporto senza commento:

• Gli accresciuti costi energetici possono avere un temporaneo e modesto impatto sui prezzi al consumo.
• La crescente domanda globale di materie prime, unita a restrizioni dell’offerta è la causa dei recenti incrementi nei prezzi delle commodities, non la politica monetaria accomodante perseguita dalla Federal Reserve.
• Pur causando problemi alla maggioranza delle persone, gli aumenti dei prezzi dei carburanti non costituiscono una minaccia per la ripresa o costituiscono la base per un riavvio dell’inflazione.

Nel frattempo, il prezzo del petrolio oscilla ormai stabilmente intorno ai 100 dollari al barile, mentre l’oro è altrettanto stabilmente nell’area dei 1.400 dollari l'oncia.
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Ben diverso l'atteggiamento della Banca Centrale Europea che potrebbe alzare i tassi di interesse già nel prossimo mese di aprile!

giovedì 3 marzo 2011

HSBC presa in castagna negli USA!


Nel suo bilancio annuale, la Hong Shanghai Banking Corporation ha reso nota l’esistenza di una moratoria delle procedure di foreclosure sui mutuatari in ritardo sui pagamenti, dopo che, nello scorso autunno la Federal Reserve e l’Office of the Comptroller of the Currency hanno individuato errori negli affidavit e in altre operazioni necessarie a garantire alla banca il possesso delle case dei mutuatari morosi.

In settembre importanti banche statunitensi, tra cui Bank of America, avevano interrotto per qualche settimana le procedure di foreclosure, avviando verifiche sulla correttezza delle procedure seguite, ma avevano ripreso poi, seppure in modo più lento, a mettere in croce i loro debitori, il che fa pensare che quelli commessi da HSBC siano stati errori ancora più rilevanti.

Come i lettori del Diario della crisi finanziaria ricorderanno, uno dei motivi che spinsero le banche statunitensi e banche straniere operanti negli USA a fermarsi fu la scoperta della figura del robo signer, dipendenti che firmavano sino a mille pratiche di foreclosure al giorno, spesso su mutui perfettamente in regola con i pagamenti.

Le moratorie temporanee e le polemiche, nonché il passaggio giudiziario nei 28 Stati in cui è richiesto, non hanno impedito che il 2010 sia stato un anno record per le foreclosure, con oltre un milione di pratiche avviate molte delle quali terminate con la vendita all’asta della casa, un disastro sociale senza precedenti!

mercoledì 2 marzo 2011

I Treasury Bonds nelle mani di Cina e Giappone!


Secondo gli ultimi dati forniti dal Dipartimento del Tesoro statunitense, la Cina avrebbe fatto, in un solo mese, un balzo in avanti del 30 per cento nella sua quota di possesso di Treasury Bonds passando a 1.160 miliardi di dollari, distanziando nettamente il Giappone che possiede 882 miliardi di dollari, mentre un vero e proprio balzo indietro lo fa la Gran Bretagna che, passa da 541 a 272 miliardi di dollari.

Anche se buona parte della forte crescita dei titoli di stato statunitensi in possesso dei cinesi e il crollo di quelli detenuti da investitori inglesi sono dovute al fatto che i titoli acquistati a Londra venivano erroneamente contabilizzati come appartenenti a società inglesi, resta il fatto che oltre metà dei Treasury Bonds detenuti da stranieri fanno capo a Cina e Giappone.

Le forti emissioni di titoli del Tesoro statunitense legate al deficit che da alcuni anni si mantiene oltre i mille miliardi di dollari, mentre il debito è a quota 14.300 miliardi di dollari, rendono cruciale l’atteggiamento di Cina e Giappone, nonché di altri paesi asiatici e di quelli arabi, un atteggiamento che potrebbe cambiare rispetto al deficit monstre previsto per quest’anno, quando il rosso toccherà i 1.650 miliardi di dollari.

Non è certo un caso se i due paesi con i maggiori surplus commerciali con gli Stati Uniti d’America sono anche i maggiori creditori di quella grande nazione, un dato di fatto che rende spuntata qualsiasi minaccia di Obama volta a rivedere, ad esempio, il valore della valuta cinese, universalmente considerata sottovalutata.

martedì 1 marzo 2011

Madoff attacca il governo USA!


Dopo aver suscitato molto clamore con la sua recente intervista al New York Times nella quale accusava J.P. Morgan Chase ed altre entità finanziarie di essere complici del suo schema di Ponzi, Bernard Madoff alza il tiro in una nuova intervista al New York magazine nella quale attacca frontalmente la riforma dei mercati finanziari fortemente voluta da Obama e giunge a dire che il Governo ha messo in piedi un gigantesco schema di Ponzi.

Il bancarottiere settantaduenne è stato colpito di recente dalla tragica scomparsa del suo figlio Mark, morto suicida nel secondo anniversario dell’arresto del padre, e continua a sostenere che nessuno dei suoi familiari, inclusi quelli che lavoravano con lui, era al corrente del castello di carte da lui costruito negli anni, uno schema che è costato svariate decine di miliardi di dollari a quanti avevano direttamente o indirettamente dato i loro soldi all’ex presidente del Nasdaq e uno dei broker più rinomati di Wall Street.

Quelle di Madoff possono sembrare parole in libertà di un uomo che, almeno sulla carta, dovrebbe trascorrere altri 148 anni in carcere, ma non vi è dubbio che la riforma dei mercati finanziari non ha tagliato le unghie alla speculazione né è intervenuta radicalmente negli schemi operativi dell’investment banking, obiettivi che non sono all’ordine del giorno del Financial Stability Group presieduto dall’italiano Mario Draghi.