lunedì 31 gennaio 2011

Piccole banche USA falliscono! (2)

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La Federal Deposit Insurance Corporation ha deciso nel fine settimana la chiusura di quattro banche di piccole e medie dimensioni, portando a 11 il numero delle banche dichiarate fallite in questo scorcio di 2011, mentre analoga sorte era toccata a 157 banche nel 2010, mentre erano state 140 le banche a chiudere i battenti nel 2009 e solo 25 nel 2007, primo anno della tempesta perfetta iniziata il 9 agosto di quell’anno.

Nelle settimane che precedono la decisione la FDIC cerca di trovare banche disponibili a rilevare le banche che sta decidendo di chiudere, ovviamente accollandosi parte più o meno rilevante delle perdite, ma stavolta non è stata in grado di trovarne una disponibile a rilevare le attività della FirstTier Bank di Louisvilee, Colorado, una banca con assets per 787 milioni di dollari e per la quale scatterà la copertura dei depositi nei limiti previsti dalla normativa.

Il problema dei costi per la FDIC è di non poca preoccupazione, anche se nell’anno che si spera di picco per la chiusura di banche, il 2010, il costo è stato inferiore a quello sopportato nel 2009, pari a 36 miliardi di dollari contro i 21 del 2010, una differenza legata alla minore dimensione media delle banche fallite nei due considerati.

Il problema è, tuttavia rappresentato dal fatto che le previsioni sul numero delle banche a rischio è in continua crescita e sembra molto ottimistica la previsione sui costi dei futuri salvataggi che vengono stimati dalla FDIC in 31 miliardi di dollari nel triennio 2011-2014, una stima che porterebbe a 88 miliardi di dollari il costo tra il 2009 e il 2014, senza tener conto dei costi sopportati nel 2007 e nel 2008, anni per i quali non dispongo dei costi sopportati dalla FDIC, che nel settembre del 2010 accusava un passivo di bilancio di 8 miliardi di dollari.

venerdì 28 gennaio 2011

Crescono gli espropri di case a stelle e strisce!

Mentre la Federal Reserve difende a spada tratta il Quantitative Easing II, e cioè il programma di acquisto di titoli di Stato per 600 miliardi di dollari, è stato diffuso un vero e proprio bollettino di guerra nelle aree metropolitane degli Stati Uniti d’America, un rapporto che segnala come questo fenomeno si stia diffondendo massicciamente anche in aree che erano precedentemente poco toccate da questa piaga sociale.

L’attività di foreclosure, infatti, è cresciuta nel 2010 in 149 delle 206 aree metropolitane considerate, stando ai dati di Reality Trac Inc. toccando anche realtà come Chicago, Seattle e Houston sino ad ora meno interessate dal triste fenomeno, segno che la crescita della disoccupazione nelle aree industriale sta facendo crescere il numero di coloro che non riescono a tener dietro alla rata del mutuo.

Proprio all’area metropolitana di Houston spetta il primato della crescita delle pratiche di foreclosure con un 26 per cento di incremento nel 2010 rispetto al dato dell’anno precedente, il che la colloca al primo posto tra le aree maggiormente colpite dal fenomeno.

L’epicentro, comunque, continua ad essere il quadrilatero formato da Nevada, California, Florida e Arizona, Stati che ospitano 19 delle 20 aree metropolitane con maggiori incrementi dell’attività di esproprio delle case.

giovedì 27 gennaio 2011

Il nuovo sogno di Obama!


Nel suo discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama pensa di aver trovato una base per un clima di maggiore partnership tra i democratici e le due anime in cui si divide ormai il fronte degli avversari, quella tradizionale dei repubblicani e quella molto più radicale rappresentata dai tea parties.

L’uovo di Colombo sarebbe rappresentato dalla proposta di consolidamento della spesa pubblica, uno stop a incrementi di spesa per cinque macro aree della spesa pubblica, mentre prevede stimoli per comparti legati all’innovazione e al risparmio energetico, nonché l’adozione di provvedimenti per impedire l’adozione di leggine che prevedono aumenti di spesa.

Ma il vero mantra del discorso del presidente è stata la parola posti di lavoro, per raggiungere il’aumento dei quali viene prevista una radicale riforma dell’imposizione sulle società, attualmente ai livelli tra i più alti del mondo.

Gli interventi del rappresentante repubblicano e dell’esponente dei tea parties lasciano intuire che le speranze del presidente su un clima di collaborazione tra i due, anzi sarebbe meglio dire tre, schieramenti è perlomeno azzardata, anche alla luce dell’atteggiamento radicale tenuto dallo schieramento conservatore sin dall’insediamento delle camere a inizio gennaio.

mercoledì 26 gennaio 2011

Tempi duri anche per Bernspan!


Mentre American Express chiude un ottimo ultimo trimestre e un buon 2010, aumentano le difficoltà di Bernspan all’interno del FOMC della Federal Reserve, con l’ingresso come membro votante di Richard Fisher, presidente della Fed di Dallas, uno che non ha fatto mistero di condividere le forti preoccupazioni di Charles Plosser, il coriaceo presidente della Fed di Philadelphia.

Quest’ultimo ha già votato in dissenso sul Quantitative Easing II ed è molto probabile che troverà un alleato in Fisher quando, in primavera, bisognerà decidere se estendere o meno l’acquisto di titoli pubblici a stelle e strisce, sostenendo entrambi che i rischi, soprattutto inflattivi, connessi al piano sono superiori agli effetti benefici per l’economia, anzi Plosser, come ho ricordato in una precedente puntata del Diario della crisi finanziaria, vorrebbe addirittura che l’acquisto di titoli si concludesse senza neanche raggiungere quei 600 miliardi di dollari stabiliti nella riunione del novembre scorso.

Ma i dolori veri verranno se non passerà la proposta di Geithner di alzare il tetto del debito, un’eventualità che diventa alquanto difficile a causa dell’atteggiamento sull’argomento dei repubblicani, forti della salda maggioranza ottenuta nella totalmente rinnovata Camera dei rappresentanti e della riduzione dello svantaggio precedentemente esistente al Senato che è stato rinnovato solo per un terzo.


lunedì 24 gennaio 2011

Anno nero per le case a stelle e strisce!


Nonostante un sensibile miglioramento negli ultimi due mesi del 2010, il dato relativo alle vendite di case precedentemente occupate colloca l’anno che si è appena concluso al livello più basso degli ultimi tredici anni, più basso ancora del 2009 che deteneva in precedenza il primato nel lungo periodo considerato.

La National Association of Realtors ha reso noto, infatti che, con 4,8 milioni di abitazioni vendute, il 2010 presenta un dato inferiore del 4,8 per cento rispetto al già miserrimo dato del 2009, una situazione che fa prevedere a più di un analista che per tornare a livelli intorno ai 6 milioni di abitazioni vendute bisognerà attendere un bel numero di anni.

Si sprecano le analisi sul super costruito negli anni della bolla immobiliare, ma il problema vero è dato dal forte legame esistente tra il tasso di disoccupazione, ancora saldamente al di sopra del 9 per cento, e i volumi degli scambi sul mercato immobiliare, volumi depressi anche nel segmento che riguarda le vendite di case di nuova costruzione.

Non va poi sottovalutato l’effetto deterrente esercitato dalle numerose cause intentate dalle persone che hanno perso la causa per procedure di foreclosure fatte un po’ in fretta e furia, le case più appetibili visto che venivano vendute all’incanto a partire da prezzi molto bassi, così come la difficoltà di farsi finanziare l’acquisto con un mutuo, visto che le banche hanno reso molto più stringenti i criteri richiesti per la concessione.

venerdì 21 gennaio 2011

Meno credito al consumo negli USA!


Dopo aver fatto registrare utili di bilancio al di sotto delle attese degli analisti, le maggiori banche statunitensi rendono noto che i default sui credito e sulle carte di credito revolving stanno diminuendo, in particolare ove il confronto tra i dati dell’ultimo trimestre del 2010 vengano fatti con il corrispondente periodo dell’anno precedente.

Quello che è certo è che il finanziamento delle spese degli americani si è fermato ad un outstanding inferiore agli 800 miliardi di dollari, mentre superava i mille miliardi prima dell’avvento della tempesta perfetta, così come il ricorso da parte di un numero crescente di individui alla protezione prevista dalla legge fallimentare statunitense ha determinato il ritiro di milioni di carte di credito revolving.

Venendo al dettaglio, la Wells Fargo, uno dei maggiori concessori di credito al consumo, ha reso noto di aver registrato nel quarto trimestre perdite su crediti inferiori di poco meno del 30 per cento rispetto all’analogo periodo del 2009, mentre Citigroup ha reso noto di aver subìto perdite su crediti nell’ultimo quarto dell’anno inferiori dell’11 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre segnali positivi vengono anche dai conti di J.P. Morgan-Chase e Bank of America, il che completa il quadro delle grandi banche statunitensi.

Il problema è dato dal fatto che la netta contrazione del consumer financing e l’approccio più conservativo delle famiglie a stelle e strisce, con la ricomparsa di un accettabile livello di propensione al risparmio, non sono proprio elementi molto favorevoli a una ripresa dei consumi tale da fare da propellente alla ripresa dell’economia, ma tutto questo sarà più chiaro nei prossimi mesi!

giovedì 20 gennaio 2011

La BCE salverà l'euro?



Dopo aver fatto saltare, attraverso l’operato del suo ministro delle finanze, ogni possibilità di accordo nell’ambito dell’eurogruppo e quindi dell’Ecofin, la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato che la Germania farà quanto in suo potere in difesa della valuta unica europea, non entrando tuttavia nel merito di quali misure potranno essere adottate dal suo paese, promotore della riunione dei sei paesi virtuosi dell’area euro.

Credo proprio che la Germania non farà nulla, delegando alla Banca Centrale Europea guidata dal germanizzato Trichet il compito di fare da acquirente di ultima istanza alle aste dei titoli di Stato dei paesi maggiormente inguaiati, nell’ordine di inguaiamento Grecia, Portogallo e Spagna, che hanno tutti collocato più o meno brillantemente emissioni, rispettivamente, da 650 milioni di euro, da 1.250 milioni e da 5.500 milioni, gli ultimi due paesi tenendosi su scadenze brevi.

L’Irlanda merita un discorso a parte perché già prima dei finanziamenti ricevuti non prevedeva di fare ricorso al mercato prima della primavera prossima e non si sottoporrà, quindi, per qualche tempo a quella sorta di giudizio di Dio rappresentato dalle aste.

La sostanziale bonaccia sul mercato primario dei titoli di Stato non deve, tuttavia, dare adito a facile ottimismo, né può far troppo ben sperare l’impegno russo ad acquistare obbligazioni emesse dal fondo europeo di salvataggio, impegno preso da altri paesi ma che non impedisce la fondo di avere un margine di manovra, dedotte le riserve necessarie per garantire al veicolo la tripla A, superiore ai 250 miliardi di euro.


mercoledì 19 gennaio 2011

La Germania tira il freno!


Nella riunione di ieri dell’Ecofin, la Germania ha battuto il pugno sul tavolo sia rispetto alla proposta di creazione degli eurobonds che al potenziamento del fondo di salvataggio di cui parlavo nella puntata di ieri, ma ancor più ad una maggiore flessibilità nell’utilizzo del fondo stesso, una modifica resa indispensabile dalle rigidità insite nell’attuale modello.

Per dare maggiore forza alla propria posizione il ministro delle finanze tedesco ha indetto una riunione dei sei paesi dell’euro zona gratificati dalle agenzie di rating della tripla A, un consesso che annovera, oltre ovviamente alla Germania, la Francia, l’Olanda, la Finlandia, l’Austria e il Lussemburgo.

Molti hanno visto in questa riunione una sorta di battesimo dell’area del super euro, anche se i partecipanti si sono affrettati a smentire una simile chiave di lettura, affermando che si trattava solo di una riunione volta a trovare un punto di intesa contro proposte che sembrano andare contro i rispettivi interessi nazionali.

Sta di fatto che, nonostante le pressione dell’Unione europea e del Fondo Monetario Internazionale, si è tirato ieri un forte colpo di freno rispetto alle richieste di modifica proposte e, quindi, difficilmente si rispetterà quella scadenza di febbraio indicata dalla Commissione europea, un esito che potrebbe dare il la alla speculazione internazionale contro i bond dei paesi giudicati, a torto o a ragione, più deboli!

martedì 18 gennaio 2011

Raddoppia il fondo di salvataggio?


Nella riunione di oggi dell’Ecofin, preceduta ieri sera dalla riunione dei ministri economici dell’eurogruppo, si discuterà del raddoppio, da 750 a 1.500 miliardi di euro, del fondo di salvataggio dei paesi dell’area dell’euro in difficoltà a causa delle dimensioni del debito sovrano e/o del deficit, una dimensione quella ipoteticamente raggiunta dal fondo che potrebbe essere sufficiente ad affrontare un rischio Spagna o un rischio Italia, ma forse non entrambi allo stesso tempo.

Alla riunione sarà presente il per la terza volta ministro italiano dell’economia, Giulio Tremonti, ma sarà presente anche il presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, che si è fatto precedere da due messaggi, il primo sul rischio inflazione lanciato in occasione dell’ultima riunione del Consiglio della BCE, mentre il secondo si è tradotto in un accorato appello ai paesi dell’area euro perché compiano sforzi, anche giganteschi, per ridurre il debito e riportare in ordine i conti pubblici.

Nella riunione odierna si discuterà anche dell’avvio del primo semestre di coordinamento delle politiche di bilancio dei paesi membri, un timidissimo passo in direzione di quella politica economica e fiscale unica che è di là da venire.

Non ho commentato il buon esito dell’asta dei titoli di Stato portoghesi della settimana scorsa, in quanto l’ammontare, 1,25 miliardi di euro è stato facilmente assorbito anche, come riferito dalla stampa, per il concorso della Banca Centrale Europea e di altre banche centrali sparse un po’ per tutto il mondo.


lunedì 17 gennaio 2011

WikiLeaks entra in possesso di un'altra lista!

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Dopo aver messo in ginocchio la diplomazia statunitense, decifrando decine di migliaia di messaggi riservati inviati dalle ambasciate di tutto il mondo al Dipartimento di Stato a Washington, Julian Assange metterà domani in carniere una lista con duemila nomi di potenziali evasori fiscali britannici e americani, ma anche tedeschi e di altre nazionalità, tutte persone che si sono servite di una banca svizzera per operare al riparo dello schermo di società offshore per nascondere i profitti di operazioni spesso miliardarie.

A fare visita ad Assange con cd al seguito sarà Rudolf Elmer un ex banchiere svizzero che già tre anni orsono gli ha consegnato una mini lista di quindici nomi, nomi che WikiLeaks non ha ancora resi noti, ma stavolta, fatte le opportune verifiche (mi chiedo davvero di quale tipo), potrebbe decidere di rendere noti i nomi, anche perché tra questi vi sono una quarantina di politici britannici e statunitensi.

La gola profonda svizzera è in attesa di comparire in settimana davanti a un tribunale svizzero che dovrebbe comminargli una pena di otto mesi con la condizionale e una multa di 8 mila franchi svizzeri per violazione del segreto bancario, in realtà poco più di un buffetto sulla guancia per un uomo che rischia di creare danni al sistema bancario svizzero infinitamente superiori di quelli provocati dalla famosa gola profonda dell’UBS di cui mi sono occupato in passato e che ha costretto il colosso svizzero a venire a patti con il governo degli Stati Uniti d’America.

Resto invece in attesa della promessa documentazione su una banca statunitense di primaria grandezza, da molti identificata in Bank of America, informazioni previste per il mese di gennaio ma ancora non apparse.

venerdì 14 gennaio 2011

Geithner va alla guerra delle valute!


Il ministro del Tesoro statunitense, Timothy Geithner, ha accusato senza mezzi termini la Cina di non mantenere gli impegni presi nel giugno dello scorso anno di rivalutare sensibilmente lo yuan nei confronti del dollaro, e che questa sottovalutazione è una delle ragioni della perdurante crescita a due cifre del surplus cinese negli scambi con gli Stati Uniti.

Studi di parte imprenditoriale americana valutano il deprezzamento della valuta cinese intorno al 40 per cento ed è anche sulla base di queste valutazioni che la Camera dei Rappresentanti aveva varato un provvedimento volto a imporre sanzioni alla Cina ove non si fosse lasciato lo yuan libero di fluttuare, provvedimento poi non fatto proprio dal Senato anche per l’impegno poi disatteso da parte di Pechino.

Secondo Geithner, lo yuan si è rivalutato soltanto del 3 per cento e questa mancata sostanziale rivalutazione sarebbe anche alla base delle spinte inflazionistiche che stanno preoccupando lo stesso governo cinese, che preferisce però perseguire la strada degli aumenti dei tassi di interesse accompagnati da interventi calmieratori sui prezzi dei generi di prima necessità.

La sortita di Geithner non è che l’ennesimo capitolo di quella battaglia delle valute che ha prima indebolito il dollaro e ora sta indebolendo l’euro, complice anche la crisi del debito sovrano di alcuni paesi, una battaglia delle valute dagli esiti difficilmente prevedibili ma che ha già generato non poche conseguenze nei paesi colpiti.

Nel frattempo l’euro si sta allontanando dai minimi, complice anche il buon esito dell’asta dei titoli di Stato portoghesi, mentre il dollaro si rafforza leggermente nei confronti dello yen, ma si tratta di piccole oscillazioni su livelli comunque bassi.

giovedì 13 gennaio 2011

La Sec punisce Charles Schwab!


La Charles Schwab Corporation ha accettato di pagare 118,9 milioni di dollari richiesti dalla Securities Exchange Commission in relazione all’operatività dello YieldPlus Fund un fondo operante su titoli a breve termine che ha visto la sua consistenza ridursi in otto mesi tra il 2007 e il 2008 da 13,5 a 1,8 miliardi di dollari a causa della caduta verticale del valore dei titoli della finanza strutturata in portafoglio.

La somma richiesta della Sec include 52,3 milioni di dollari per la restituzione di commissioni, 57,3 milioni per multe e 9,3 milioni per interessi ed è motivata dalla scarsa informazione alla clientela dei rischi connessi agli investimenti che, per oltre la metà degli assets erano investiti in titoli ad alto rischio.

Non credo che sarà di qualche soddisfazione per gli investitori danneggiati il fatto che anche il fondatore e presidente della compagnia, Charles Schwab, fosse della partita, risultando il maggior sottoscrittore di quote del fondo, così come uno dei due top manager censurati nel loro operato dalla Sec che ha seguito la vicenda insieme alla Financial Industry Regulatory Authority e dall’autorità di vigilanza dello Stato dell’Illinois, competente per territorio.

La tesi difensiva della compagnia è quella solita ed è basata sul fatto che quello che è accaduto nel 2007-2008 era un evento senza precedenti e del tutto imprevedibile, cosa quest’ultima, a mio avviso, completamente falsa in quanto era da moltissimo tempo che la moltiplicazione dei pani e dei pesci effettuata dalla finanza strutturata era giunta a livelli assolutamente pazzeschi e ciò era chiaro a tutti gli operatori di una qualche esperienza!

mercoledì 12 gennaio 2011

Acque agitate alla Fed!

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Mentre sale l’attesa per l’esito dell’asta dei titoli di Stato portoghesi che si terrà oggi, un’attenzione testimoniata da un articolo di ieri del Wall Street Journal, fa molto discutere la presa di posizione di uno dei membri votanti del Federal Open Market Committee che chiede di fermare al più presto il programma di acquisti per 600 miliardi di dollari di titoli di Stato statunitensi se la ripresa economica a stelle e strisce sarà più forte del previsto.

Charles Plosser, presidente della Federal Reserve di Philadelphia, è da quest’anno membro con diritto di voto del FOMC e non ha quindi partecipato alla riunione del 3 novembre nella quale è stato deciso il Quantitative Easing II contro il quale si è però espresso pubblicamente in ripetuti interventi nei quali ha detto che i benefici previsti dal programma erano sovrastati dai rischi, in particolare quello rappresentato da una ripresa dell’inflazione.

La riunione del 25 e del 26 prossimi potrebbe vedere Plosser all’attacco, forte dello spiraglio presente nella risoluzione che ha dato vita al programma e che prevede che possano essere introdotte modifiche al programma, in senso riduttivo se si fossero rafforzati i segnali di ripresa dell’economia, non a caso vista da Plosser crescere a tassi tra il 3 e il 3,5 per cento sia quest’anno che l’anno prossimo.

L’ostacolo a revisioni del programma sono, tuttavia, legate al fatto che, anche se meno dei bond europei, anche i Treasury Bond statunitensi hanno registrato un’impennata dei rendimenti di un punto percentuale circa, mentre si è dimezzata in dicembre la quota di emissioni assorbita da non residenti, un campanello di allarme che spinge Bernspan a tenere duro e a fare di tutto perché il QE II non venga modificato neppure di una virgola.


martedì 11 gennaio 2011

Il Portogallo è il prossimo? (3)

L’escursione fatta ieri mattina dall’euro nell’area degli 1,28 dollari è stata di breve durata, anche se costituisce un ulteriore segnale di come i mercati continuino a non credere che la crisi del debito pubblico nell’eurozona sia conclusa con il salvataggio dell’Irlanda, scetticismo che si è manifestato con vendite dei titoli di Stato dei paesi a torto o a ragione considerati deboli, mentre le principali europee borse hanno aperto la settimana con il segno meno.

Ho riferito nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria del rumor che vedeva questa settimana come decisiva per l’attacco della speculazione ai paesi deboli dell’area dell’euro ed è anche la settimana nella quale la Slovenia diviene a tutti gli effetti il diciassettesimo paese dell’area della valuta unica, un numero che, almeno per gli scaramantici, non depone bene.

La speculazione sembra puntare sul Portogallo, visto come il terzo paese ad essere costretto a far ricorso al fondo di salvataggio, nonché, come da copione, ai finanziamenti dell’Unione europea e del Fondo Monetario Internazionale, anche se il governo di quel paese non smette di ripetere di non aver alcuna intenzione a fare ciò.

In un clima del genere, molto dipenderà dalle azioni e dai comportamenti della Banca Centrale Europea e, quindi, tutti gli occhi sono puntati sulla riunione di giovedì della BCE, anche se, per esperienza, so bene che i tentativi di contrastare la speculazione internazionale sui cambi o sui titoli di Stato sono sempre finiti nel nulla quando alla base delle decisioni degli operatori vi sono ragioni concrete!

La stessa decisione di alzare i margini di garanzia come è stato fatto per i titoli di stato irlandesi potrebbe essere una mossa utile ma non sempre efficace, in quanto dipende da quale è l’obiettivo e la determinazione degli speculatori, può al massimo tenere fuori della partita i pesci piccoli che si aggregano ai grandi operatori per spartire le soglie della preda.


lunedì 10 gennaio 2011

Tremonti lancia l'allarme!

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Il 7 agosto dell’anno scorso siamo entrati nel quarto anno della tempesta perfetta e, come ho ripetutamente scritto nelle puntate del Diario della crisi finanziaria, poco è cambiato da allora, se non che i mercati interbancari hanno ripreso a funzionare grazie all’ossigeno fornito dalle banche centrali e gli aiuti massicci dei governi.

In un intervento che ha avuto vasta eco in Europa, ma soprattutto in Italia, il per la terza volta ministro italiano dell’economia, Giulio Tremonti, ha sostanzialmente detto che ci troviamo di fronte a un mostro dalle mille teste, ne tagli una e ne rispunta un’altra, al punto che quasi quattro anni dopo ci ritroviamo al punto di partenza.

La tempesta perfetta è sostanzialmente una crisi del debito, moltiplicato pressoché all’infinito dalle capaci fabbriche prodotto delle investment banks e delle divisioni di Corporate & Investment banking delle banche più o meno globali, una crisi dalla quale non si esce che riducendo gli ammontari nominali dei titoli a quella percentuale infima che il mercato è disposto a riconoscere ai possessori dei titoli stessi.

L’applicazione pratica di questo principio si è per ora applicata solo ai detentori di bonds di aziende private andate in default, ma potrebbe applicarsi d’ora in poi anche ai detentori di titoli di Stato, situazione tutt’altro che remota a giudicare dai livelli raggiunti dai Credit Default Swaps di alcuni paesi.

Non so se è vero che questa settimana avrà inizio una nuova ondata di attacchi ai paesi deboli dell’eurozona, ma credo che sia abbastanza probabile che ciò avverrà presto, davvero molto presto!

venerdì 7 gennaio 2011

Negli USA crescono i fallimenti!

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Non ho commentato nei giorni scorsi la notizia della crescita dei fallimenti personali negli Stati Uniti d’America, giunti nel 2010 a un milione e cinquecentotrentamila casi, un dato in crescita del 9 per cento su quello del 2009, un trend di crescita in netto calo se confrontato con quello evidenziato nei due anni precedenti (pari in entrambi i casi ad oltre il 30 per cento).

La bancarotta personale è un sistema che funziona molto bene negli States ed è generalmente richiesta dal diretto interessato che chiede al giudice la protezione nei confronti dei creditori, i quali ultimi, spesso, restano con un pugno di mosche in mano, anche se la persona non può, per un certo periodo di tempo utilizzare assegni o carte di credito, una condizione che in terra americana si presenta come molto difficile.

Il ricorso ai capitoli 11 o 13 della legge fallimentare statunitense da parte di individui e imprese ha suscitato un vivace dibattito avente ad oggetto il presunto lassismo delle norme che sembrerebbero troppo sbilanciate in favore del debitore rispetto ai creditori, una situazione, secondo i detrattori della legge, che favorirebbe un indebitamento anche sproporzionato alle entrate, tanto alla fine si corre sotto la protezione del giudice.

Ma una riforma in senso restrittivo è entrata in vigore nel 2005, tanto è vero che il 2004 ha visto un picco dei ricorsi al livello di quello toccato nel 2010, proprio perché i debitori hanno cercato di approfittare delle norme più permissive previste dalla precedente normativa, ma, si sa, alla parte conservatrice di quel paese gli irrigidimenti delle norma non bastano mai!

Un accurato servizio dell’Associated Press sui fallimenti sia personali che aziendali rende noto che nel 2010 questi sono stati pari a 1,55 milioni di casi, dal che si desume che solo 20 mila imprese hanno fatto ricorso alla protezione della legge, sbizzarrendosi poi in un’analisi particolareggiata del fenomeno a livello locale che risparmio ai lettori.

mercoledì 5 gennaio 2011

Allarme inflazione nell'Eurozona!

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L’edizione online del New York Times dedica ampio spazio al balzo in avanti dell’indice medio dei prezzi al consumo nell’area dell’euro, passato dall’1,9 per cento di novembre al 2,2 per cento nel mese di dicembre, un dato che ha sorpreso gli analisti che prevedevano una crescita dei prezzi su base annua del 2,0 per cento.

Si tratta, ovviamente, di un dato medio che vede, ad esempio, l’Italia ancora all’1,9 per cento, che è però un tasso di crescita di prezzi su base annua doppio rispetto a quello registrato nel dicembre del 2009, mentre superiori alla media sono le variazioni dei prezzi al consumo in paesi come la Germania e in Spagna.

Il redattore del quotidiano statunitense pone l’accento sul fatto che, per la prima volta dal 2008, l’inflazione si pone al di sopra del limite del 2 per cento fissato dalla Banca Centrale Europea e si chiede fino a quando l’istituto di Francoforte tollererà uno scostamento simile che minaccia di peggiorare nei prossimi mesi a causa dei rincari nei prodotti energetici e nelle materie prime in generale.

A parziale rettifica di quanto scritto ieri a proposito della decisione di Bank of America di pagare a Fannie Mae e Freddie Mac somme per 2,8 miliardi di dollari in luogo del riacquisto di titoli legati a mutui immobiliari venduti da Countrywide, si scopre che il rischio complessivo massimo legato alla transazione sarebbe, secondo un autorevole centro di ricerca, pari a 10 miliardi di dollari, una cifra di molto inferiore a quella prevista per l’azione promossa da otto investitori istituzionali tra i quali la Fed di New York, Pimco e BlackRock.

martedì 4 gennaio 2011

Un pittbull azzanna Bank of America! (3)

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DIARIO DELLA CRISI FINANZIARIA

martedì 4 gennaio 2011

Bank of America ha reso noto che presenterà una perdita straordinaria di circa 2 miliardi di dollari per il riacquisto di titoli legati a mutui immobiliari venduti da Countrywide a Fannie Mae e Freddie Mac, anche se i riacquisti legati a queste due gigantesche entità divenute pubbliche a causa della tempesta perfetta sono pari a 2,6 miliardi di dollari.

L’annuncio che nello stesso quarto trimestre vi sarà una posta straordinaria pari a 3 miliardi di dollari implica che sono stati effettuati altri riacquisti di obbligazioni per un importo di 400 milioni di dollari da operatori di minori dimensioni.

Questo primo cedimento della linea sinora seguita da BofA, un approccio che in estrema sintesi puntava a non riconoscere i diritti dei detentori delle obbligazioni, lascia intendere che anche l’azione promossa da una avvocatessa molto determinata, al punto di meritarsi l’appellativo di pittbull, possa avere successo, anche se in questo caso la cifra vantata dagli otto investitori istituzionali, Federal Reserve di New York in testa, rappresenterebbe un affondamento del conto economico di BofA per molti trimestri a venire.

Per quanto riguarda questa possibile mega transazione, le parti si sono date trenta giorni di tempo (vedi la puntata ‘un pitbull azzanna Bank of America’(2) apparsa di recente nel Diario della crisi finanziaria), ma è evidente che la banca sosterrà che si tratta di un caso molto diverso rispetto a quello che ha visto coinvolte Fannie Mae e Freddie Mac, in quanto il problema con queste ultime era legato a obblighi legali che non sarebbe stato il caso, anche nell’interesse degli azionisti, di disattendere.

lunedì 3 gennaio 2011

Si presenta arduo l'anno per Obama!

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Il primo scoglio che minaccia di guastare i rapporti alla Camera dei Rappresentanti tra la nuova maggioranza repubblicana e la minoranza democratica potrebbe essere il rischio molto concreto che l’indebitamento pubblico, 13,9 mila miliardi di dollari, possa raggiungere e superare il tetto posto dal Congresso nel febbraio dell’anno scorso a 14,3 mila miliardi di dollari, un’eventualità tutt’altro che remota visto che il debito a stelle e strisce cresce alla vorticosa velocità di 4 miliardi di dollari al giorno.

D’altra parte, basta pensare che il provvedimento che estende i tagli fiscali voluti da Bush ed estende di altre 13 settimane i benefici per i senza lavoro, nonché misure minori ma non per questo meno onerose, impegna per il prossimo biennio somme per poco meno di 900 miliardi di dollari, tra minori entrate e maggiori uscite!

Anche se ha fatto passi da gigante durante la tempesta perfetta, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Eurolandia è di poco superiore al 70 per cento, mentre quello degli Stati Unti d’America si pone intorno al 100 per cento e sarà molto difficile che questo rapporto possa migliorare nei due anni che restano ad Obama, soprattutto considerando che l’ultimo dei due sarà un anno di campagna elettorale.

Come ho scritto in numerose puntate del Diario della crisi finanziaria, lo spirito bipartisan che ha portato al varo di un provvedimento che, nella sua parte fiscale, riprendeva appieno ai desiderata repubblicana svanirà come neve al sole non appena cambieranno gli equilibri parlamentari sia alla Camera che al Senato, dove la maggioranza democratica si è molto ridotta dopo il risultato elettorale di novembre.