giovedì 31 marzo 2016

i prossimi obiettivi italiani della vigilanza BCE


Dopo essersi concentrati su Carige, ora sotto attacco dal fondo Apollo con la benedizione della BCE, sulla fusione finalmente deliberata dai consigli di Banco Popolare   e Banca Popolare di Milano, sulla Banca Popolare di Vicenza e, anche se un po' sotto traccia, su Veneto Banca, gli uomini e le donne guidati da Danielle Nouy, una donna che non è paga di essere il primo capo della vigilanza europea ma punta a crescere nella BCE, stanno esaminando dossier corposi il primo localizzato in quel di Siena, dove il pur bravo amministratore delegato, Fabrizio Viola non riesce a scalare l'alta montagna di sofferenze lorde e nette che ancora attanagliano il suo gruppo e Unipol Banca, la banca di Unipol-Sai, chissà perché dal nome è scomparso ogni riferimento alla storica Fondiaria, una banca che è riuscita non solo ad avere sofferenze nette per più di un terzo degli impieghi in salute, ma a concentrare incagli e sofferenze nel periglioso settore delle costruzioni, un settore dove al massimo puoi pignorare cantieri più o meno in corso di realizzazione e rimani, quindi, con il classico pugno di mosche in mano.

Del gruppo Monte dei Paschi di Siena mi sono occupato in diverse puntate del Diario della crisi finanziaria, preconizzando peraltro un matrimonio possibile e opportuno con BNP Paribus, un gruppo che dispone della liquidità disponibile al servizio dell'eventuale acquisizione, ma che ogni volta si dichiara pago del possesso nel nostro Paese della Banca Nazionale del Lavoro e di Findomestic, una società leader nel credito al consumo e nei piccoli finanziamenti, anche se non è più la gallina dalle uova d'oro del settore. Il Governo italiano e la Banca d'Italia sono attivamente impegnati in opera di moral suasion per indurre qualche pretendente a farsi avanti, ma al momento al povero Viola non resta che lavorare a testa bassa all'operazione di pulizia dei bilanci e di riorganizzazione di quello che un tempo era non solo l'istituto di credito tra i più solidi del panorama creditizio italiano, ma anche un possibile gruppo aggregante, purtroppo azzoppato dalla frettolosa e esageratamente costosa operazione di acquisizione lampo di Antonveneta.

Molto più complessa e delicata e la situazione dei conti della branca bancaria del gruppo Unipol-Sai, quella Unipol Banca che è riuscita nel capolavoro di avere poco più di 9 miliardi di impieghi e a collezionare crediti deteriorati e sofferenze lorde per poco meno di 4 miliardi, forte di un contratto del 2011 che prevede che la capogruppo si faccia carico di buona parte delle sofferenze, cosa che finora ha fatto per un miliardo circa ma non è più disposto a incrementare la dote per questa figlia spendacciona e innamorata dei costruttori e, quindi, cerca disperatamente partner bancari nel settore delle banche popolari, inclusa la vicina Banca Popolare dell'Emilia Romagna, ma nessun cavaliere bianco non chiederà al gruppo assicurativo di farsi carico di tutte o larga parte delle sofferenze e di questo sono ben consapevoli gli uomini alla guida di Unipol, o certamente lo è l'amministratore delegato Carlo Cimbri!

mercoledì 30 marzo 2016

Ma chi è Daniéle Nouy e perché parla male delle banche italiane?


Primo capo della vigilanza sulle banche dei paesi membri dell'area euro e prima donna nel consiglio della Banca Centrale Europea, Daniéle Nouy, 66 anni, entra nel 1974 alla Banca di Francia e ne esce venti anni dopo per fare esperienza in organismi finanziari sovranazionali e poi tornare alla Banca di Francia nel 2010 come capo della vigilanza, incarico che ricoprirà fino al giorno della nomina a presidente del Supervisory Board presso la BCE, cioè appunto capo della neonata vigilanza bancaria europea.

Ho ripercorso pedissequamente il suo brillante curriculum perché è fondamentale per capire il suo modo di intendere il problema della solidità e stabilità delle banche, che è un approccio con molte somiglianza con quello proprio della Bundesbank e non è un caso se, nell'analisi delle criticità di una banca tipo, l'asse franco-tedesco privilegi quella riferibile ai Non Performing Loans, crediti deteriorati e sofferenze in senso stretto (sia lorde che nette) rispetto a quella rappresentata da quelle vere e proprie montagne difficilmente scalabili denominati derivati e titoli tossici in pancia alle banche globali come Deutsche Bank, Commerzbank, BNP Paribus, Credit Lyonnaise che evidenziano un nozionale complessivo che è un deciso multiplo del prodotto lordo dell'intera Unione europea, inclusi i paesi esterni all'area euro, per non parlare del salvataggio delle landesbanken e delle sparkassen tedesche!

E' questo un rovesciamento della realtà del quale pagheremo tutti alla lunga le conseguenze, ma intanto Daniéle procede come un rullo compressore con una particolare attenzione alle banche nostrane, che non è che siano esenti da difetti, e, nel giro di pochi mesi ha colpito Carige, Banco Popolare e Banca Popolare di Milano, Banco popolare di Vicenza e Veneto Banca ( in questi ultimi due casi decisamente troppo tardi), sta attenzionando Monte dei Paschi di Siena e Unipol Banca e sta strattonando Banca Popolare dell'Emilia Romagna e Ubi Banca perché raccattino qualche banca di medie dimensioni e via discorrendo perché, anche nelle banche non ancora colpite, vi è una diffusa insonnia dei vertici provocata dal timore di ricevere una draft da Francoforte.

Ma è di ieri la notizia che il fondo statunitense Apollo avrebbe proposto a Banca Carige di rilevare tutte le sue sofferenze a prezzi di mercato proponendosi di ripianare le conseguenti e ingenti perdite con un aumento di capitale riservato al fondo per 500 milioni di euro mentre 50 milioni sarebbero riservati agli attuali azionisti, Malacalza in testa, un'offerta apertamente gradita dalla Nouy che non del tutto a caso chiede a Carige di presentare un funding plan entro il 31 marzo, cioè entro domani!

martedì 29 marzo 2016

Riuscirà La mossa di Gianni Zonin?


Ad un uomo che per tanti anni è stato il dominus indiscusso della Banca Popolare di Vicenza non difettano certo consulenti ed advisors a guidarne le mosse ed è così che, dopo aver rassegnato pochi mesi fa le dimissioni da presidente della sofferente banca veneta, ha  prima ceduto tutte le azioni dell'omonima e fortunata azienda vitivinicola, Zonin 1821, ai figli e ha ora ceduto il timone di comando al figlio Domenico, ha promosso ad amministratore delegato il fido Massimo Tuzzi, mentre gli altri tre figli assumono la carica di vicepresidenti della società che ha triplicato il fatturato in pochi anni, giungendo a 186 milioni di euro di fatturato nel 2015.

Mentre la banca, dopo aver evidenziato perdite miliardarie accumulate sotto la sua gestione ed essersi attirata le attenzioni di Madame Danielle Nouy, da un anno a capo della vigilanza della Banca Centrale Europea, attenzioni che si sono tradotte in una lettera di fuoco che ha costretto gli azionisti della Popolare di Vicenza ad una lunga ed infuocata assemblea al termine della quale hanno approvato a larghissima maggioranza la trasformazione in società per azioni e un aumento di capitale da 1,7 miliardi di euro, per citare solo i due punti più dolorosi per gli azionisti di una banca non quotata nei mercati regolamentati e che hanno visto il valore via via attribuito dalla banca al diritto di recesso portarsi a 6,3 euro un valore del 90 per cento inferiore ai massimi toccati dalla quota, anche se il diritto non viene riconosciuto in quanto una provvida, per i vertici, direttiva della Banca d'Italia stabilisce  che la banca può rifiutare l'esercizio di questo diritto, quando, e questo è il caso, non sia in grado di rispettare il rispetto dei parametri di patrimonializzazione stabiliti a livello europeo.

Quella di Zonin è evidentemente una mossa ispirata da ben remunerati azzeccagarbugli e non so francamente se sarà coronata dal successo, quello che è certo è che ho seguito le sue vicende anni fa come responsabile dell'ufficio studi di un sindacato nazionale del settore del credito e credo che in pochi casi ho visto una gestione più accentrata nelle mani di un uomo solo, né una banca, fata eccezione forse per il Monte dei Paschi di Siena, più attaccata al suo territorio, quelle province del ricco Nord Est che dopo una fiammata produttiva non accompagnata da investimenti, si sono poi afflosciate su se stesse, provocando una valanga di sofferenze che hanno letteralmente messo a rischio la banca che le aveva concesse, una banca che vedrà il valore dell'azione, una volta avvenuta la quotazione, ben distante dal valore di quel diritto di recesso che gli azionisti non possono più esercitare!

venerdì 25 marzo 2016

La BCE chiude un occhio: via libera alla fusione Banco Popolare-BPM


Alla fine Danielle Nouy, capo della vigilanza bancaria europea da quando questa è stata istituita, ha ceduto, sebbene il via libera alla fusione tra Banco Popolare e Banca Popolare di Milano sia informale e non ufficiale, sia avvenuto solo perché le due riottose banche con i loro ultimi chiarimenti avevano ceduto su tutta la linea alle richieste pressanti venute da Francoforte sia in termini di governance che di rafforzamento patrimoniale, per non parlare dei tempi di smaltimento delle sofferenze per giungere infine al venir meno della pretesa di autonomia della BPM per tempi da piano quinquennale di sovietica memoria.

Avendo vissuto in prima linea la prima e la seconda fase di ristrutturazione del sistema bancario italiano, quella per capirci in cui si giunse alla creazione di Unicredit e di Intesa San Paolo e alla sciagurata acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena, sì quell'operazione che tanti lutti inferse alla omonima fondazione senese, vedere questa operazione di fusione così rapida e così distruttrice di organismi societari pletorici e frutto di mediazioni spesso inconfessabili mi fa capire che qualcosa davvero sta cambiando nel sistema bancario italiano e che ha davvero ragione la Nouy quando afferma che molto ancora c'è da fare per giungere a quei livelli di concentrazione di cui da tempo va parlando anche il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi.

Se le assemblee straordinarie dei due istituti previste per maggio daranno il via libera, già nel novembre di questo''anno il nuovo gruppo vedrà la luce con 120 miliardi di impieghi, 2.700 sportelli, 4 milioni di clienti e un carico di sofferenze davvero notevole, anche perché in entrambe le banche che vanno a matrimonio il livello di copertura delle sofferenze supera di poco il 30 per cento, un livello di copertura molto basso che fa sì che la differenza tra le sofferenze lorde e quelle nette sia molto meno netta che nelle altre grandi banche italiane, il che, con un livello di sofferenze lorde più vicine ai 30 che ai 20 miliardi non può che preoccupare chi da Francoforte deve occuparsi di vigilare sulla sostenibilità dei bilanci delle banche dell'area euro.

L'aumento di capitale da un miliardo di euro che il Banco Popolare si è  impegnato a varare, visti i tempi e gli sciagurati precedenti, verrà riservato agli investitori istituzionali e verrà effettuato in tempi brevissimi grazie alla regia e alla garanzia di Mediobanca, ma lasciatemi dire che con la trasformazione in società per azioni verrà finalmente detta la parola fine alla gestione sindacale della BPM, sindacato aziendale che dovrà accontentarsi di un rappresentante nel consiglio di amministrazione dell'entità risultante, a mezzi ovviamente con i loro colleghi dell'ormai ex Banco Popolare! 

giovedì 24 marzo 2016

Cosa sta accadendo alle banche venete?


Mi sono già occupato, nella seconda puntata sulla vigilanza europea sulle banche italiane, delle vicende della Banca Popolare di Vicenza, costretta da una lettera intimatoria della BCE a prevedere la trasformazione in società per azioni, la quotazione in borsa e un congruo aumento di capitale, ma il problema riguarda anche un'altra popolare presente sul territorio veneto, Veneto Banca, che ha tutta una serie di somiglianze con la banca un tempo guidata dal viticoltore Zonin, nonché il piccolo particolare che, insieme, hanno perso negli ultimi anni la bella cifra di 4 miliardi di euro all'incirca.

Quando hanno conferito un valore alle loro azioni, ovviamente non quotate nei listini principali, le due banche, come ricorda Stefano Righi sul Corriere della Sera, si sono rivolte a professionisti esterni che hanno stilato una perizia di parte, in questi due casi assolutamente di parte, sul valore della banca, valore che poi ha raggiunto nel tempo i 62,5 euro nel caso della Popolare di Vicenza e i 40,75 euro nel caso di Veneto Banca, portando la capitalizzazione massima della prima a 6,3 miliardi di euro e quella della seconda a 5,08 miliardi di euro.

Il tempo, che in questo caso è stato ben poco galantuomo, ha visto il valore delle azioni delle due banche squagliarsi letteralmente e rimanere inchiodato ai rispetti valori del diritto di recesso attribuiti all'atto dell'assegnazione a 6,3 euro per la Popolare di Vicenza e ai 7,3 euro per Veneto Banca, valori che le due banche ricorrendo allo stesso escamotage giuridico non riconoscono ai possessori delle stesse nonostante sia inferiore del 90 per cento nel caso della Banca di Vicenza e dell'82 per cento circa nel caso di Veneto Banca, ma, se ha ragione Stefano Righi, il valore vero delle azioni, quando approderanno in Piazza Affari, non si discosterà molto dal valore di un euro, centesimo in più centesimo in meno e la frittata sarà stata davvero fatta con buona pace dei risparmiatori che ci hanno creduto.

Come ricordavo all'inizio, ho scritto diversi articoli sulla occhiuta vigilanza europea svolta dalle donne e dagli uomini della BCE, ma credo che quello che è accaduto nelle ricche province del Veneto, sotto una vigilanza della Banca d'Italia che è eufemistico definire assente, è qualcosa di gravissimo e che fa il paio con il doloroso caso delle quattro banche medie recentemente dissolte, ovviamente tutte trasformate in una new bank dopo che azionisti, obbligazionisti e depositanti oltre la soglia dei 100 mila euro hanno perso terzi e capitale, e fa dire che ben venga una vigilanza terza che non guarda in faccia a nessuno e non è per di più ingessata da leggi e disposizioni che facevano arrivare Banca d'Italia sempre in ritardo sugli avvenimenti.

I banchieri si lamentano spesso della reputazione di cui godono presso l'opinione pubblica, ma casi come quello dell'Euribor taroccato, l'anatocismo che rischia sempre di uscire dalla porta e rientrare dalla finestra, l'appoggio tolto alle aziende affidate al primo stormir di fronde e via discorrendo fanno dire questa lack of reputation se la sono cercata.

mercoledì 23 marzo 2016

L'economia del terrore


Ho visto come tutti le scene del macello avvenuto ieri all'aeroporto di Bruxelles e in due stazioni della metropolitana del centro della stessa città una a pochi passi dalla sede dell'Unione europea dove lavorano 33 mila persone e dal palazzo dove si tengono le riunioni sempre più frequenti del Consiglio d'Europa, il consesso dei 28  capi di Stato e di Governo che decide sui destini dei 500 milioni circa di abitanti dei paesi membri dell'Unione e dire che sono sgomento è poco, non solo di fronte alle scene di dolore che hanno contrassegnato quella che doveva essere una tranquilla giornata di inizio primavera, ma anche di fronte alla tranquillità, quasi indifferenza, che si coglieva sui volti dei tre attentatori ripresi nel video di una telecamera di sorveglianza, volti nei quali non si scorgeva alcun timore per la loro stessa prossima morte, destino al quale tuttavia uno dei tre si è sottratto, non sapremo mai se per paura o se perché il suo ruolo doveva essere semplicemente di appoggio all'azione degli altri due.

Sembra impossibile pensare che le terribili conseguenze dell'azione degli uomini dello stato islamico siano riconducibili  all'azione di una sola cellula dormiente, un numero di persone che va dai cinque che hanno partecipato agli attacchi a un numero pari o di poco superiore che ha avuto presumibilmente funzioni di appoggio o di natura logistica, una decina di persone o poco più che possono mettere in scacco le forze di polizia e le funzioni statuali antiterroristiche, peraltro attivamente supportate dalle omologhe forze francesi, al punto di paralizzare completamente la vita della capitale del Belgio che è anche sede dell'Unione europea.

La sottovalutazione con la quale l'Occidente tutto ha affrontato la fase iniziale del movimento jaidista, un esercito che contava all'inizio poche migliaia di adepti è certamente alla base della estensione dell'area di influenza dell'IS a intere regioni mediorientali come l'Irak e la Siria dove, in alcuni momenti, è sembrato che potessero addirittura vincere la loro battaglia, almeno fino a che si è mossa una coalizione capitanata dagli Stati Uniti d'America e, e forse soprattutto, si è mossa pesantemente la Russia che ha in poco tempo capovolto le sorti della guerra in corso nella Siria di Assad.

Quello che colpisce, oltre alla estrema ferocia ostentata dagli uomini del califfato, è la disinvoltura con la quale si sono buttati in ogni tipo di attività economica criminale, dal traffico di droga, all'esportazione illegale di petrolio, a disinvolti movimenti bancari non sempre intercettati dall'intelligence occidentale, giungendo a muovere centinaia di milioni di dollari, almeno fino a che l'azione di contrasto non ha sortito i primi effetti e i giacimenti petroliferi sono stati in tutto o in parte messi sotto il controllo delle forze della coalizione.

martedì 22 marzo 2016

Quel pasticciaccio del Euribor va in tribunale


Non so quanti soldi abbia accantonato il Chief Executive Officer di Deutsche Bank per le cause legali pendenti e per quelle future riguardanti il mal operato del colosso bancario da lui guidato, ma credo che saranno ampiamente insufficienti se, nel settembre di questo anno di disgrazia 2016, il tribunale britannico di Southwark in quel di Londra dovesse riconoscere colpevoli i quattro ex dirigenti di Deutsche per i quali la Gran Bretagna ha chiesto e ottenuto un mandato di arresto europeo insieme a un ex trader di Société Generale che ha già annunciato tramite il suo legale che si opporrà con tutte le sue forze all'arresto.

Certo per questa manipolazione del tasso Euribor, iniziata nel 2006 e durata fino al 2010 e scoperta clamorosamente nel 2012, Deutsche Bank, Citigroup, UBS e altre banche si sono già viste comminare multe miliardarie, così come l'ideatore della truffa, Tom Hayes è stato già condannato a 14 anni di carcere dallo stesso tribunale inglese che ora sta giudicando gli altri undici imputati, ma rileva il fatto che queste multe non inibiscono alle molte decine di milioni di clienti delle banche danneggiate di rivalersi per i danni subiti sui loro finanziamenti o sui loro mutui indicizzati appunto al tasso Euribor taroccato dagli esponenti delle banche chiamate in causa, e in quel caso cosa ne sarà della "piscina di liquidità" di 215 miliardi di euro dell'istituto di Francoforte?

Quello che fa specie è che per quattro anni Citigroup, UBS You & I, Societe Generale, Deutsche e altre banche abbiano lavorato indefessamente e in perfetta sintonia per danneggiare gli interessi di quelli che dovrebbero rappresentare il loro bene più prezioso, la clientela appunto, un comportamento che conferma i peggiori pregiudizi dell'opinione pubblica, in questo caso sarebbe giusto parlare di giudizi, nei confronti delle banche e la pena subita dal capofila di questo manipolo di colletti bianchi di alto bordo, anche se elevata, risulta quasi infima rispetto al danno arrecato agli ignari correntisti e mutuatari.

Ma quello che colpisce è il numero di alti dirigenti di Deutsche Bank sul totale degli imputati,  quattro su dodici, a testimonianza dell'importanza dell'operazione per l'istituto di Francoforte, un colosso del credito sul quale sarebbe più che opportuno che la Banca Centrale Europea accendesse un faro con la stesse determinazione con la quale si occupa delle banche italiane! 

lunedì 21 marzo 2016

L'occhio della BCE sulle banche italiane (3)


So bene che guadagnano milioni di euro l'anno più le provvidenziali stock options, ma sono alcuni mesi che gli amministratori delegati e i presidenti delle banche italiane, in particolare di quelle di dimensione medio-grande, stentano a prendere sonno la notte nel timore che arrivi il giorno dopo sulle loro scrivanie una draft proveniente dalla vigilanza della Banca Centrale Europea, una lettera che, se non vi sarà un riscontro fattivo e obbediente, può dare l'avvio a un procedimento che può portare anche alla messa in liquidazione della banca.

Se per molti di loro è un discorso ipotetico, per i vertici del Banco Popolare e per quelli della Banca Popolare di Milano si tratta di una dura realtà che rischia seriamente di mandare in fumo i progetti di un matrimonio alla pari tra i due gruppi bancari, un matrimonio nel quale la BPM avrebbe mantenuto un certo grado di autonomia per tre anni e con una governance che definire pletorica è ben poco, visto che il consiglio di amministrazione della realtà risultante sarebbe stato composto da ben diciannove membri.

Ma il problema vero sollevato dalla lettera di Francoforte è quello dell'adeguatezza del capitale e della qualità dell'attivo, un termine elegante per definire le sofferenze dei due istituti che il piano di fusione pensa di affrontare in cinque anni e gli uomini e le donne della vigilanza della BCE vorrebbero fossero adeguatamente affrontati molto prima e attraverso la via maestra di un adeguato aumento di capitale.

La borsa ha punito entrambe le banche, ma si è concentrata in modo ancora più duro nei confronti di quella che, piaccia o no alla BPM, è in realtà l'acquirente e cioè il Banco Popolare, la cui azione giovedì ha lasciato sul terreno poco meno di un sesto del valore registrato nel corso della seduta precedente.

Di fronte a tutto questo fa sorridere il piano B escogitato dalle sigle sindacali della BPM, tuttora vere padrone della banca che pensano di far rientrare in partita Andrea Bonomi, sì quello stesso uomo d'affari che ha presieduto il consiglio di gestione della banca dal 2011 e 2014 che costrinsero a lasciare per contrasti insanabili, come se il problema fosse di nomi e non di un aumento ingente di capitale!

venerdì 18 marzo 2016

Cosa sta accadendo al saldo demografico italiano?


Quando ho visto la notizia che, nel 2015, la popolazione residente italiana è diminuita di 139 mila unità, ho capito subito che era successo qualcosa di inedito su entrambi i fronti che determinano in larga parte questo saldo e, cioè, il numero dei nati che si portano al di sotto della soglia psicologica delle  500 mila unità e quello dei decessi, il cosiddetto saldo naturale che si porta sempre nel 2015 a 165 mila unità, un numero che ha fatto dire a molti commentatori che si tratta di valori compatibili con una guerra ed è su questo ultimo dato che soffermerò la mia attenzione in quanto si tratta del dato più strutturale, in quanto è la maggiore determinante del fatto che la popolazione di cittadinanza italiana si è portata l'anno scorso a 55,6 milioni, con una perdita di 179 mila residenti.

La determinante maggiore dell'incremento dello sbilancio del saldo naturale è dato dal numero dei decessi che sono stati 653 mila, con una crescita di poco inferiore al 10 per cento rispetto al 2014, un numero che porta il tasso di mortalità al 10,7 per mille che, come nota il comunicato ufficiale dell'ISTAT, è il più alto dal secondo dopoguerra in poi,  con l'aumento di mortalità che risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni).

Nello stesso tempo continua il fenomeno dello sciopero delle culle con i nati che si portano al di sotto della soglia psicologica delle 500 mila unità, 15 mila in meno del 2014 e che si porta a 488 mila unità, un nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia, un valore su cui si potrebbe ragionare per diverse puntate del diario, ma che qui viene trattato solo di striscio.

Ma il capitolo più interessante è quello dell'inversione di tendenza nell'aspettativa di vita che perde due mesi per gli uomini e tre mesi per le donne, un dato che mette in crisi il continuo allungamento dell'età necessaria per andare in pensione, anche se ho qualche dubbio che verrà preso correttamente in esame.

Ma quello che più preoccupa è il crollo dell'aspettativa di vita in salute che a partire dal 2007, secondo dati EUROSTAT, ha registrato un vero e proprio crollo passando da valori superiori ai 70 anni sia per gli uomini che per le donne a dati che superano di pochissimo i 60, con un sorpasso degli uomini sulle donne che è davvero stupefacente, un crollo questo che gli istituti di statistica non sanno spiegarsi, così come nessuno sa dire perché in un anno climaticamente normale ci siano stati 54 mila decessi in più!

giovedì 17 marzo 2016

Sette giorni di fuoco per le banche centrali


Si concluderà con la prossima riunione della Bank of England la tornata riunioni delle più importanti banche centrali del pianeta, tornata aperta in bellezza dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi che ha utilizzato l'artiglieria pesante contro la bassa crescita e la deflazione con una serie di misure volte a stanare le banche, incentivandole nel senso letterale del termine a fare il loro mestiere prestando soldi a imprese e famiglie e inondando di liquidità i mercati finanziari per ammontari mai visti in precedenza, un mix di mosse che ha scosso anche l'opinione finora ostile della Germania di Angela Merkel.

Uno dei protagonisti di questa storica riunione della BCE, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nel corso di una lezione di economia agli studenti del liceo romano da lui frequentato da giovane, ha affermato che con queste misure senza precedenti l'istituto di Francoforte "ha comprato tempo per la politica", ha cioè creato le condizioni perché i governi procedano con le riforme e diano impulsi concreti alle imprese e alle famiglie perché possano tornare a fare il loro mestiere che è quello, rispettivamente, di investire e consumare, trappola della liquidità e propensione al risparmio permettendo.

Alla riunione della BCE, ha fatto seguito quella della Bank of Japan che, dopo la rivoluzione recente introducendo i tassi negativi per i rifinanziamenti delle banche nipponiche e l'immissione di liquidità per 80 mila miliardi di yen, ha deciso e reso noto che, almeno per ora, lascia le cose come stanno e adotta una politica di wait and see e francamente non le si può dare torto, avendo fatto tutto il possibile per far ripartire investimenti e consumi.

La Yellen e la sua Federal Reserve ha imitato la Bank of Japan e ha lasciato le cose come stanno, una mossa coraggiosa per una grande nazione che ha oramai raggiunto un tasso di disoccupazione di poco al di sopra del tasso frizionale del 4 per cento, un economia che viaggia a ritmi sostenuti per un'economia industriale avanzata, un livello di investimenti soddisfacente e il solito disastro nelle partite correnti che però continua a essere compensato a livello di bilancia dei pagamenti, insomma una situazione nella quale l'incremento di un quartino di punto dei tassi non avrebbe assolutamente guastato, una prospettiva che si è infranta sul taglio delle prospettive di crescita contenuto nel comunicato finale emesso ieri dalla Fed!

mercoledì 16 marzo 2016

Keynes e la trappola della liquidità


Chi ha avuto la pazienza di seguirmi nella mia cronaca della tempesta perfetta sin dal settembre del 2007 sa bene quale sia il mio debito nei confronti della chiave di lettura della crisi del 1929 effettuata in tempo reale dallo scomparso economista britannico John Maynard Keynes, un uomo il cui valore fu riconosciuto anche in vita e che fu insignito del titolo di Lord, ma, e forse soprattutto, uno studioso che distrusse letteralmente i teoremi dell'economia classica basata sulla teoria dell'equilibrio generale che postulava come di fronte a una crisi l'unica ricetta fosse quella di ridurre il costo dei mezzi di produzione, salari ovviamente in primo luogo, per tornare alla situazione precedente, ma anche il teorizzatore della trappola della liquidità, una situazione nella quale pur in presenza di tassi molto bassi latitasse la propensione ad investire.

Di fronte all'operato delle principali banche centrali del pianeta, con il loro inondare di liquidità i mercati e il loro porre l'asticella dei tassi da loro governati poco sopra, o poco sotto come nel caso della Bank of Japan, attorno all'asticella dello zero, assistiamo, in particolare in Europa e in Giappone ad un'inconsueta forma di sciopero degli investimenti che non riescono a tenere il passo delle altre componenti della domanda aggregata, visto che anche i consumi, ad esempio, stanno ritrovando una qualche forma di vivacità.

Non che questo i banchieri centrali non lo sappiano, o meglio, sicuramente lo sa Mario Draghi che, nell'ultima versione della sua politica monetaria ha inserito azioni che prendono letteralmente a calci le banche, offrendo tassi negativi per chi presterà a imprese e famiglie e disincentivando con tassi negativi a carico loro la mala abitudine di tenere parcheggiati in quel di Francoforte centinaia di miliardi di euro overnight, che poi vengono rinnovati praticamente per sempre. abitudine comune a tutte le banche europee di qualsivoglia dimensione.

La parola ora passa ai Governi e agli imprenditori che a loro volta dovrebbero andare a scuola dal Leone di Omaha, al secolo Warren Buffett, uno che nel pieno della tempesta perfetta comprò tutto il comprabile, giungendo perfino  a comprare una compagnia ferroviaria in difficoltà, un capitalista a tutto tondo, un multimiliardario che non lascia dormire i suoi soldi in investimenti sicuri che poi spesso tali non sono con le borse che perdono un venti per cento in media, le materie prime che si squagliano, i titoli più o meno tossici che è meglio starne alla larga e via discorrendo, come ricordavo nella puntata di ieri, considerazioni che fanno pensare che mai come ora nel mondo degli affari chi si ferma è perduto!

martedì 15 marzo 2016

Anche i ricchi piangono!


La tempesta perfetta non risparmia neanche i ricchi e il pessimo bimestre gennaio-febbraio di questo 2016, cifre esatte non ne sono disponibili, ha certamente eroso anche i patrimoni multimiliardari dei ricchi del pianeta, anche perché al declino brusco delle borse dopo un soddisfacente 2015 si è accompagnato il netto calo delle materie prime, petrolio e gas in primis, e qualche piccola soddisfazione l'ha data solo il metallo aureo, quello che John Maynard Keynes chiamava il relitto barbarico.

L'avversione al rischio che è derivata da queste repentine flessioni dei prezzi di azioni, obbligazioni e materie prime ha determinato una corsa dissennata verso i porti sicuri dei titoli di stato di paesi quali la Germania e altri paesi virtuosi portando i rendimenti interni di questi investimenti a livelli prossimi allo zero per le scadenze decennali e oramai a livelli negativi per le scadenze triennali, fenomeno che ora si è esteso anche ai titoli nostrani, ma, è questa la consolazione dei paperoni, almeno il capitale è al sicuro!

Per chi vive di salario e di pensione, o a volte neanche di quelli, queste possono sembrare preoccupazioni da poco, ma per quelli ossessionati dalla loro posizione relativa nella graduatoria di Forbes si tratta di patemi rilevanti e sicuramente i ben remunerati consulenti di cui si avvalgono stanno indicando loro alternative per recuperare il terreno perduto, strategie che spesso si rivelano peggiori del male.

Un ulteriore sintomo che le cose non vanno proprio come nel migliore dei mondi possibili è dato dal sensibile calo dei bonus sulla principale piazza finanziaria del pianeta, quella di New York, dove, secondo i dati analitici forniti dal New York State Comptroller, le elargizioni variabili sono calate nel 2015 del 9 per cento rispetto agli importi elargiti nel 2014, portandosi a poco più di 146 mila dollari in media.

Per la mia esperienza diretta nell'industria finanziaria, vi invito a non considerare quella cifra media, in quanto le differenze di importo tra le posizioni apicali o altamente specialistiche e quelle normali sono grandissime e si passa dai molti milioni di dollari per queste posizioni e le poche migliaia per i tanti che sono collocati alla base della piramide!

lunedì 14 marzo 2016

In sei mosse Super Mario mette ko la Germania


Come ho scritto in diverse puntate, erano molto alte le attese per le mosse della Banca Centrale Europea che Mario Draghi ha svelato nella conferenza stampa che si è svolta al termine della riunione del consiglio direttivo della BCE giovedì scorso, ma quello che Mario Draghi ha svelato ai mercati è stato sicuramente più di quanto gli osservatori si attendessero, talmente tanto di più che ho preferito prendere una pausa di riflessione prima di commentarle.

La prima decisione riguarda il Quantitative Easing, portato a partire da aprile da 60 a 80 miliardi di dollari al mese, ma con una novità che va al di là del pur sorprendente aspetto quantitativo perché oltre ai titoli sovrani la BCE potrà acquistare anche obbligazioni delle aziende non finanziarie, obbligazioni che saranno attentamente valutate da un apposito comitato ed è questa la seconda mossa, un'azione che può favorire direttamente le imprese senza passare per il tramite del sostegno bancario che spesso latita.

La terza mossa, la più invisa alla Bundesbank e alle banche tedesca, è quella di penalizzare ulteriormente l'abitudine delle banche europee, segnatamente le banche locali tedesche, di parcheggiare buona parte della liquidità in quel di Francoforte, in questo caso il tasso negativo passa dallo 0,30 allo 0,40 per cento.

La quarta mossa è stata quella di portare il tasso di rifinanziamento a zero e, quinta mossa, quello sui prestiti marginali ad un risibile 0,25 per cento e qui Draghi, pur avendola apprezzata, non si è spinto fino all'adozione di tassi negativi adottata di recente dalla Bank of Japan, una mossa che avrebbe spinto ad una crisi di nervi Weidmann, presidente della Bundesbank e che non è matura in Europa.

Ma il vero bazooka della BCE è nella sesta mossa, quella di prevedere quattro operazioni illimitate di Tltro nelle quali il tasso applicato andrà dallo zero a -0,4 per cento a seconda di quanta parte della somma assegnata alla singola banca andrà in prestiti alle aziende e alle famiglia, circostanza nella quale sarà la BCE a pagare un interesse alle banche perché facciano il loro dovere.

Come me si sono presi una pausa di riflessione i mercati che dopo aver archiviato a caldo una seduta negativa si sono riscattate venerdì con forti rialzi spinti proprio dai titoli bancari, anche di quelli delle banche tedesche!

venerdì 11 marzo 2016

I guai nostri e quelli degli altri!


I giornali di ieri riportavano due notizie: la prima riguarda una maxi esportazione di capitale da 14 miliardi di euro organizzata dal colosso svizzero Credit Suisse, sì la stessa banca che tanti guai ha avuto negli Stati Uniti d'America per un'analoga orchestrazione da appena 10 miliardi di dollari, che ha favorito 14 mila clienti italiani con una chiara idiosincrasia al fisco, mentre la seconda notizia riguarda l'ex direttore generale del Monte dei Paschi di Siena, Antonio Vinci, condannato a pagare 245 milioni di euro per danno patrimoniale all'istituto senese, condanna avvenuta anche su istanza della stessa banca e della sventurata fondazione che per volere troppo restò con un pugno di mosche in mano.

In realtà, ci sarebbe anche una terza notizia che ci riguarda ed è quella delle sentenze pilotate nell'ambito dei processi tributari, un giro d'affari multimilionario anche perché riguarda somme contestate dal fisco per 50 miliardi di euro e un giro di malaffare che vede coinvolte più o meno tutte le realtà geografiche del paese e che vedeva gli avvocati dei ricorrenti come estensori delle relative sentenze in luogo dei giudici presunti corrotti (dico presunti anche se qualcuno di loro è stato beccato con la mazzetta in contanti nella giacca).

Venendo al giro d'affari miliardario orchestrato da Credit Suisse, va detto che la stessa insieme alla concorrente UBS "You and I" è usa a comportamenti disinvolti del genere, ma stavolta ha inventato un meccanismo originale che passa per finte polizze che non transitavano nei conti della banca e che prendevano invece la strada dei soliti paradisi fiscali, Liechtenstein e Bahamas in testa e c'è da giurarci che stavolta iil colosso svizzero fornirà una maggiore collaborazione rispetto alla inutile resistenza strenua che mise in campo ai tempi dello scandalo statunitense, anche alla luce dei vari trattati di collaborazione che la Svizzera ha siglato anche per non finire nella lista nera internazionale, al pari di uno stato canaglia.

Per quanto riguarda la vicenda che vede come vittima, si fa per dire, il Monte dei Paschi di Siena, muove quasi a tenerezza il povero Vinci chiamato a pagare per tutti per l'operazione Santorini, il derivato montato da Deutsche Bank, che era servito, insieme all'operazione Alexandria, a mascherare le perdite miliardarie legate all'acquisizione di Antonveneta, quel capolavoro del compianto Botin del Santander che comprò e vendette in 24 ore la banca veneta con una plusvalenza miliardaria!

giovedì 10 marzo 2016

Le pressioni della Germania su Super Mario


Mentre siamo tutti in attesa delle decisioni che la Banca Centrale Europea assumerà nella riunione del consiglio prevista per oggi, appaiono sulla stampa due notizie: la prima denuncia l'ostilità delle casse di risparmio tedesche, le famose sparkassen (cui si uniscono in spirito le landesbanken), entità recentemente salvate con utilizzo di fondi pubblici, contro la politica dei tassi sotto zero per le banche che parcheggiano depositi in quel di Francoforte e, the last but not the least, il fatto che, per motivi procedurali, il falco Weidmann presidente della Bundesbank e della Banca dei Regolamenti Internazionali non potrà partecipare al voto e al dibattito per il meccanismo di rotazione che la BCE mutua dalla Federal Reserve statunitense.

L'ira delle banche locali tedesche è motivata dal fatto che una delle decisioni che gli osservatori si aspettano dalla tanto attesa riunione di oggi del vertice della BCE è proprio l'ulteriore inasprimento della politica dei tassi negativi volta a scoraggiare l'abitudine delle banche europee, non solo quelle tedesche, di lasciare, giorno dopo giorno, parte rilevante della loro liquidità presso la banca centrale, abitudine che già oggi è penalizzata dall'applicazione di un tasso negativo dello 0,30 per cento che dovrebbe, il condizionale è assolutamente di obbligo, essere inasprito oggi allo 0,40 per cento, un'entità che colpirebbe e non poco le tesorerie delle banche e degli altri soggetti abilitati a compiere le operazioni overnight con la BCE.

Ma non minore ostilità incontrano le altre due misure allo studio: l'aumento da 60 a 70 miliardi di euro delle operazioni di riacquisto dei titoli pubblici dei paesi facenti parte dell'area dell'euro, con spostamento della data di conclusione delle operazioni per un periodo compreso tra tre e sei mesi, e l'ampliamento del tipo di titoli acquistabili dalle donne e dagli uomini operanti nella trading room di Francoforte, un dettaglio non da poco alla luce della montagna di titoli di tossici in pancia alle banche europee più o meno globali, anche perché questo è un dettaglio virtuoso che distingue l'approccio europeo da quello seguito, negli anni più caldi della tempesta perfetta dalla Federal Reserve allora a guida  del non troppo compianto Benjamin Bernanke, in arte Bernspan!

Anche se sarà materia di un successivo articolo, mi preme affermare che, per l'ennesima volta, la Commissione europea ha inviato cinque lettere per squilibri macroeconomici eccessivi, ma ha dimenticato di mettere nero su bianco lo squilibrio palese rappresentato dall'avanzo commerciale eccessivo anche se lo stesso ha raggiunto l'8 per cento del PIL  contro il tetto del 6 per cento previsto dalle regole stabilite nei trattati.

mercoledì 9 marzo 2016

L'occhio della BCE sulle banche italiane (2)


Iil sensibile incremento delle visite del precedente articolo sullo stesso argomento sta a dimostrare che gli italiani sono sempre più consapevoli che con l'avvento della vigilanza europea affidata alla Banca Centrale Europea e l'arma di distruzione di massa rappresentata dal bail in con le sue conseguenze nefaste su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori per la parte dei depositi eccedente la soglia dei 100 mila euro nulla sarà come prima, perché per la banca che dovesse non rispettare quanto previsto nelle missive provenienti da Francoforte si apre la strada dell'ingresso in un percorso che spesso si conclude con l'applicazione del bail in con le conseguenze che sono poi quelle illustrate sopra.

Come tutti, ho visto le immagini dell'assemblea degli azionisti della Banca Popolare di Vicenza, quella le cui quote sono passate da 63 a 6,3 euro che è poi il valore del diritto di recesso, diritto che la banca ha ovviamente sospeso, un'assemblea che vedeva migliaia di persone consce che il valore del loro investimento era praticamente andato in fumo, arrabbiate con i manager, ma che poi hanno approvato la trasformazione in società per azioni e l'aumento di capitale da 1,76 miliardi di euro, per dire solo i due punti più dolorosi per loro, nonché l'attivazione delle procedure per la quotazione in borsa con l'80 per cento dei voti, consapevoli che l'alternativa era perdere tutto e molti erano ex dipendenti che avevano investito nella "loro" banca risparmi e liquidazione.

Chiusa, si fa per dire, (vista l'apertura di un'istruttoria da parte dell'Antitrust che contesta alla Popolare di Vicenza l'applicazione di pratiche commerciali scorrette nei confronti dei clienti: ti do un finanziamenti se acquisti obbligazioni della banca) una partita, se ne aprono immediatamente altre due, sarebbe meglio dire tre, che sono poi la Carige alle prese con lo squagliamento dell'azione in borsa dopo la missiva letale della BCE e il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano che dovevano andare a nozze due settimane fa ma non lo faranno se da Francoforte non verrà un ok alla fusione, ma soprattutto alle tempistiche previste per affrontare lo spinoso argomento delle sofferenze e la pletorica governance disegnata per accontentare gli appetiti di una "fusione tra pari".

A differenza di molti, io non credo che il nostro presidente del Consiglio parli a caso e non sono trascorsi molti giorni da quando ha pronunciato la frase nella quale individuava i problemi del sistema bancario italiano anche nell'eccessivo numero di banche ed è certo che l'operato congiunto della BCE e della Banca d'Italia possono produrre effetti significativi in tale senso, anche se la dimensione, il Monte dei Paschi di Siena docet, non è una garanzia del fatto che le attenzioni degli uomini e delle donne di Mario Draghi si volgano altrove!

martedì 8 marzo 2016

La BRI avvista tempesta perfetta in arrivo!


La Banca dei regolamenti internazionali con sede a Basilea in Svizzera è un organismo che ha come obiettivo quello di coordinare l'operato delle banche centrali che, a loro volta, sono azioniste della stessa in numero di 60 delle quali fanno parte le maggiori banche centrali del pianeta ed è attualmente presieduta dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, notoriamente non particolarmente amico di Mario Draghi che siede come semplice membro nell'augusto consesso.

Fondata nel 1930 su input di un piano statunitense, si macchiò di colpe accertata nel favorire la spoliazione dei paesi occupati dalla Germania nazista, colpe per le quali ne fu decretato lo scioglimento nel summit di Bretton Woods, scioglimento a cui si oppose strenuamente John Maynard Keynes che la spuntò nel 1948 quando fu annullato il percorso di scioglimento e la BRI rinacque a nuova vita seppure con vincoli statutari molto stringenti e ha come missione quella della vigilanza bancaria e assicurativa.

Ebbene, in un recente rapporto, curato dall'italiano Carlo Borio, si afferma testualmente che la fiducia dei mercati nella capacità delle banche centrali dei paesi maggiormente sviluppati sta venendo meno e, in effetti, c'è poco da dare torto agli uomini e le donne dell'importante istituzione finanziaria perché le banche centrali delle tre principali aree hanno veramente fatto tutto quanto era possibile, anzi nel caso della banca centrale giapponese sono andati oltre l'immaginabile con la recente adozione della politica dei tassi negativi nelle operazioni di rifinanziamento del sistema bancario del Sol levante, e nonostante questi sforzi le economie sono in deflazione e i rispettivi sistemi bancari vacillano per ragioni molto diverse e con picchi nelle banche più o meno globali basate al di qua e al di là dell'Atlantico e del Pacifico, ma comunque vacillano e le economie stentano a trovare la strada della ripresa, per non parlare della Cina che, ai problemi che abbiamo segnalato in precedenti articoli, segnala nell'ultimo trimestre dello scorso anno un deflusso di capitali per 175 miliardi di dollari.

Quella che appare francamente originale è la tempistica della sortita degli uomini di Weidmanno, e cioè a tre giorni dall'infuocata riunione del consiglio direttivo della Banca centrale europea, una riunione nella quale lo stesso Weidmann insieme ad un ristretto numero di alleati cercherà di spuntare le unghie di Super Mario che vuole vengano assolutamente approvate le misure non convenzionali che ha allo studio da tempo!

lunedì 7 marzo 2016

L'occhio della BCE sulle banche italiane


Forse, quando è nata la vigilanza europea sulle banche dell'area euro, molti hanno pensato che non sarebbe cambiato nulla e che l'istituto con base a Francoforte avrebbe agito come erano use fare le banche centrali dei paesi membri, quelle che, per capirci, arrivano quando orami le frittate, di grandi o medie dimensioni, sono già state fatte, come tanto per fare un esempio, si è giunti molto tardivamente al commissariamento delle quattro medie banche italiane già tecnicamente fallite e si è applicato il bail in, con il suo bagno di sangue per azionisti, obbligazionisti e depositanti, un'eventualità che due o tre anni prima sarebbe stata probabilmente evitabile.

Dopo quanto è stato reso noto venerdì, in relazione alla banca Carige, le banche italiane a prescindere dalle dimensioni devono stare in campana, perché la vigilanza bancaria europea ha richiamato l'istituto di credito basato in quel di Genova sulle linee strategiche che stava seguendo, linee che, secondo la BCE, non vanno assolutamente e ha ordinato che venisse predisposto un nuovo piano strategico, pena sanzioni non precisate ma che dovrebbero rivelarsi tutt'altro che indolori, prescrizioni alle quali, c'è da giurarci, gli attuali e i nuovi vertici che scaturiranno dalla prossima assemblea si precipiteranno ad adeguarsi, al di là dei mugugni che si sono avvertiti da parte dei vertici aziendali terrorizzati da quel draft ricevuto dagli uomini di Mario Draghi.

D'altra parte, la reazione della borsa non si è fatta attendere e sin dalle prime battute dell'ultima seduta della scorsa settimana l'azione di Carige ha iniziato un pericoloso scivolone nell'area dei 56 centesimi, lasciando sul terreno un secco 10 per cento del valore di un titolo che, negli ultimi sei mesi, ha già lasciato sul terreno il 68 per cento, incluso lo scivolone di venerdì, da 1,75 euro ai 56 centesimi di venerdì, appunto.

Ma la notizia dell'altolà della BCE a Carige ha esercitato una forte influenza anche sui titoli delle due banche che aspirano ad andare a nozze, il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano, due banche che aspettano il via libera proprio dalla BCE che pare non volerne sapere di dare il via libera se non vi sarà un aumento di capitale volto a fronteggiare i rischi legati agli 8 miliardi di euro di sofferenze che i due istituti si portano reciprocamente in dote, ma che ha influenzato anche i corsi di Unicredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena che hanno interrotto bruscamente un serie positiva che andava avanti da alcune sedute.

Peccato che analoga severità di gli uomini di Mario Draghi non stiano dimostrando  nei confronti delle banche dell'area euro più o meno globali con il loro carico di centinaia di migliaia di miliardi di euro in derivati e titoli tossici!

venerdì 4 marzo 2016

Ma l'esproprio della casa da parte delle banche esiste già!


Sta facendo molto discutere il disegno di legge delega con il quale il Governo sta cercando di dare applicazione ad una Direttiva dell'Unione Europea volta a dare certezza e maggiore celerità alla banca che ha concesso un mutuo per l'acquisto di una casa ad un mutuatario che per sette volte, anche non consecutive, non ha onorato l'impegno a pagare la rata. Attenzione, perché la previsione delle rate non pagate non fa riferimento alla cadenza delle stesse e quindi si può riferire a 7 mesi se la rata pattuita è su base mensile o a tre anni e mezzo se l'impegno del debitore è a cadenza semestrale, e via discorrendo.

Il problema è che nel testo unico bancario sono già presenti norme che prevedono che, in presenza di sette pagamenti anche non consecutivi, la banca può chiedere di rivalersi sul bene ipotecato, anche se c'è la differenza, e non di poco conto, che deve rivolgersi a un giudice e che lo stesso deve autorizzarla a procedere all'esproprio e alla successiva vendita dell'immobile, vendita che non deve necessariamente avvenire mediante vendita all'asta.

Ma tra le due procedure vi è un'altra differenza, e in questo la Direttiva UE va decisamente a vantaggio del debitore, in quanto la normativa attuale prevede che la banca si soddisfi con il bene pignorato e non ristori al mutuatario l'eventuale differenza, mentre la normativa in corso di introduzione prevede esplicitamente due cose: l'affidamento ad un perito terzo del compito di stimare il reale valore dell'immobile e la restituzione, dopo la vendita, dell'eccedenza di valore rispetto al debito al proprietario di casa espropriato, ed è una differenza di non poco conto rispetto alla prassi attuale.

Avendo seguito per anni quanto è successo negli Stati Uniti d'America in materia di propri di case nella fase più calda della crisi finanziaria, mi trovo a suggerire sommessamente ai decision makers di non gettare via il bambino con l'acqua sporca e cioè di mantenere il patto marciano che ispira il testo della Direttiva e di allungare semmai il numero delle rate che danno luogo alla nuova procedura.

Il fatto che la nuova normativa non si applichi ai mutui in essere può essere, infatti, un danno per questi proprietari che, in base alle norme vigenti, possono vedersi espropriare un bene di 200-300 mila euro a fronte di un mutuo residuo non superiore a 100 mila euro e non vedersi restituire la differenza!

giovedì 3 marzo 2016

Ma cosa è in realtà la deflazione?


Nel profluvio di statistiche con le quali passiamo il tempo prima dell'arrivo sulla scena nel primo pomeriggio di giovedì prossimo di Super Mario, al secolo Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, vi è il dato sui prezzi al consumo in Italia che segnala una flessione dello 0,2 per cento su base mensile e una variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo italiano dello 0,3 per cento ove rapportato allo stesso mese dell'anno precedente.

Non darei molta importanza a questo dato, perché la componente petrolifera in forte calo è destinata a far registrare sensibili incrementi dopo che il prezzo al barile del WTI, dopo essersi spinto nella parte alta dell'area dei venti dollari, ha bruscamente invertito la rotta e si è portato in vista dei 35 dollari al barile, segnando un incremento del 30 per cento circa rispetto ai minimi e anche altre componenti del paniere sono destinate a segnare rialzi nei prossimi mesi per cui il CPI italiano dovrebbe uscire dall'attuale stato di letargo.

Ma cosa è in realtà la deflazione? Non è altro che la variazione negativa dell'indice dei prezzi al consumo, un'eventualità, quella che stiamo vivendo negli ultimi mesi (non tutti in verità), che dovrebbe solo fare felici i consumatori in quanto il pieno costa meno, non quanto dovrebbe ma certamente meno, la spesa al supermercato, complici anche le offerte più o meno strepitose, se non costa meno almeno non aumenta a parità di prodotti acquistati e, anche nel settore dei servizi, si nota se non una variazione negativa delle tariffe quasi raddoppiate al momento della conversione tra la lira e l'euro, quantomeno una staticità o minori variazioni dei prezzi; ma allora perché dovremmo preoccuparci di un fenomeno che, come dicevo all'inizio, rischia anche di mostrarsi alquanto effimero?

Ebbene, un problema c'è in quanto si tratta di una spia evidente di  uno stato alquanto depresso sia della domanda di beni di consumo che dei prezzi all'ingrosso, che anticipano le variazioni di quelli al consumo, ma, e forse soprattutto, della tendenza dei consumatori, in presenza di flessioni dei prezzi, a rinviare i consumi in attesa, non sempre premiata, di ulteriori variazioni al ribasso, ma gli effetti più rilevanti riguardano il settore finanziario e in particolare modo le banche che lamentano di fare scarsi profitti in uno scenario che vede contemporaneamente tassi bassi e variazioni negative dell'indice dei prezzi al consumo. Un discorso a parte riguarda la situazione dei debitori che non vedono ridursi, come solitamente accade, il carico del loro debito espresso in termini reali!

mercoledì 2 marzo 2016

Aspettando Super Mario


I mercati e gli osservatori più o meno smaliziati, tutti delusi dall'esito del G20 finanziario, aspettano con ansia quello che il 10 marzo dirà Mario Draghi nella conferenza stampa che chiude i lavori del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea in quel di Francoforte.

Ai più distratti tra i miei lettori mi permetto di proporre una biografia non autorizzata di Draghi, un docente di economia in quel di Trieste che assurse agli onori della cronaca come Direttore Generale dell'allora ministero del Tesoro, incaricato di portare avanti un ambizioso programma di privatizzazioni che vide il suo clou nei famosi incontri a bordo del panfilo Britannia di proprietà della famiglia reale britannica. Terminata in buona sostanza l'opera di privatizzare il privatizzabile, il nostro passa a lavorare presso una delle entità che avevano funto da advisor della colossale operazione ed entra nella potente ma ancor più preveggente Goldman Sachs diventandone il numero uno per l'Europa con base a Londra.

Chiamato da Berlusconi e Tremonti a risolvere il disastro lasciato da Antonio Fazio, Super Mario diventa il Governatore della Banca d'Italia, lavoro per lui alquanto noioso fino a che la crisi finanziaria del 2007 lo spinge ad assumere contemporaneamente all'incarico in Via Nazionale la guida dell'organismo sovranazionale incaricato di riscrivere le regole di quello che l'allora presidente francese, Nicholas Sarkozy, ebbe a descrivere come il casinò a cielo aperto della finanza globale, un incarico in cui profuse tutte le sue energie e che lo portò a scontrarsi a muso duro con gli allora vertici delle Investment Banks e delle banche più o meno globali, inclusi i suoi ex datori di lavoro di Goldman.

Dopo quelle battaglie epiche, si trovò proiettato al vertice della BCE, venendo sostituito alla guida della Banca d'Italia da Vincenzo Visco, un uomo che si era distinto perlopiù in un ruolo di guida dell'ufficio Studi di Via Nazionale e che non ha brillato per decisionismo e incisività nelle prove a cui è stato chiamato come Governatore, anche se le regole del gioco sono davvero farraginose come lui sostiene.

Cosa dirà Draghi domani è difficile dirlo, mentre è sicuro che proseguirà nel Quantitative Easing, forse pretendendo che le banche non trattengano come finora hanno fatto il mare di liquidità proveniente da Francoforte e ne passino qualcosa anche a imprese e famiglie e chissà che sia "la volta buona"!

martedì 1 marzo 2016

Il G20 offre una camomilla ai mercati nervosi


Come era largamente prevedibile, la riunione di due giorni del gruppo dei venti paesi più industrializzati del pianeta si è chiusa con una serie di auspici difficilmente misurabili e  tantomeno quantificabili in merito ad un sostegno della domanda nei rispettivi paesi che andrebbe ad affiancarsi slle ondate di liquidità originate dalle banche centrali più importanti del mondo sviluppato, con la differenza che le seconde sono illustrate analaiticamente nei comunicati dei banchieri centrali, mentre le prime sono del tutto nebulose e affidate alla conferma dei parlamenti e, nel caso dei paesi membri dell?unione europea, al placet della Commissione basata a Bruxelles.

Sulla cosa che conta davvero, cioé la Cina, bisogna andare a leggere tra le righe del comunicato ufficiale, perché non c'è molto che si possa fare di fronte al maxi esodo di capitali dall'un tempo impero celeste, né si può immaginare un freno efficace a quella svalutazione competitiva prossima ventura dello yuan che le autorità monetarie e, soprattutto, il governo di Pechino stanno per mettere in atto anche in risposta alle intervenute svalutazioni altrettanto competitive messe in atto dai principali concorrenti, area dell'euro in particolare.

Ma i nodi veri della economia cinese nel comuniato non vengono affrontati neanche di striscio, anche perché non si sa quanto si può fare contro il livello mostruoso dell'indebitamento delle imprese, contro il conseguente stato  disastroso dei conti delle banche, anche tenendo conto dell'incapienza dei conti pubblici rispetto alle necessarie maxi misure di stimolo dell'economia cinese necessarie per sostituire con la domanda interna il calo sempre più evidente delle esportazioni, questo ultimo mal comune ma non mezzo gaudio delle altre economie concorrenti.

E' vero che si trattava di un consesso dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali dei venti e non di una riunione dei capi di Stato e di Governo, ma questo non giustifica la sottovalutazione dei problemi delle banche più o meno globali, della deicatissima questione dei cambi tra le principali valute e, come si diceva sopra, di quella vera e propria bomba rappresentata dalla rallentante prima economia del pianeta in termini di crescita e seconda in termini di PIL, non considerando l'aggregato dell'Unione europea come un'unica realtà statuale!