venerdì 5 febbraio 2010

Una nuova ondata della tempesta perfetta


Nell’ultima puntata del Diario della crisi finanziaria, avevo commentato le drammatiche previsioni sul deficit federale statunitense elaborate dal Congressional Budget Office, cifre da far tremare i polsi e che prevedevano una voragine stimabile in migliaia di miliardi di dollari nel triennio 2009-2011, cifre che peraltro sono per buona metà già reali, mentre è forte il sospetto che la parte che temporalmente deve ancora realizzarsi possa essere ancora più pesante delle già alquanto fosche previsioni.

Ma la revisione effettuata dal ministero del lavoro statunitense sulla perdita di posti di lavoro nei ventisei mesi dall’inizio della recessione è altrettanto drammatica, con un totale di 8,6 milioni di posti di lavoro persi, 1,4 milioni in più di quanto era stato precedentemente stimato, ma il record dei posti di lavoro persi viene attribuito al 2009, anno nel quale sono stati persi poco meno di 5 milioni di donne e uomini americani hanno smesso di ricevere un salario e hanno iniziato a sopravvivere con il sussidio di disoccupazione fortunatamente esteso temporalmente grazie a ripetuti interventi del Congresso.

Anche se molto inferiore a quella di dicembre, anche la perdita di posti di lavoro registrata in gennaio segnala che la ripresa non è ancora iniziata e che il timido segno positivo nel settore manifatturiero e quello più sensibile nel settore dei servizi non permettono di vedere una reale inversione di tendenza rispetto alle tendenze dei mesi scorsi, così come il miglioramento del tasso di disoccupazione è più da leggere come un aumento degli scoraggiati che come un aumento degli occupati.

L’insostenibilità del deficit pubblico a stelle e strisce e l’assoluta emergenza occupazionale spiegano in parte lo sfondamento verso il basso della soglia psicologica dei 10 mila punti del Dow Jones, mentre appare rinviata solo di poco quella dei 1.000 punti dello Standard & Poor’s 500, test che avevo previsto nella puntata del 26 gennaio.

Ma, al di là dell’andamento della borsa di New York, restano come macigni le altre due domande che sinora non hanno trovato risposta, quella relativa alla residua consistenza dei titoli più o meno tossici della finanza strutturata e quella relativa allo stato di salute del mercato immobiliare a stelle e strisce.

Il terremoto europeo di ieri, ma i segni meno sono apparsi, anche se meno netti, anche oggi, non sembra avere impressionato i commentatori di oltre oceano, eppure le ambasce di Grecia, Spagna e Portogallo sono dovute in gran parte proprio agli effetti di quella tempesta perfetta iniziata due anni e mezzo fa proprio con il blocco totale del mercato dell’euribor verificatosi il 9 agosto del 2007, mentre resta tutta da chiarire la reale situazione dei paesi dell’Est Europa.

Pur non essendo un esperto di tempeste, ero e sono convinto che la fase di relativa bonaccia degli ultimi mesi non potesse durare a lungo, visto che nulla si è fatto per aggredire le vere cause che hanno originato il fenomeno, così come credo che i prossimi mesi metteranno a dura prova i nervi dei risparmiatori e degli investitori.