Come i lettori ricorderanno, ho interrotto la pubblicazione delle puntate del Diario della crisi finanziaria quando è stato evidente che, almeno in Europa, la stessa si era trasformata in una crisi del debito pubblico, crisi da me prevista sin dai primi mesi della tempesta perfetta e sulla quale c'era poco da dire se non che avrebbe inevitabilmente portato a politiche deflazionistiche sia nei paesi destinatari di aiuti volti ad impedire il default del debito sovrano, sia nei paesi non destinatari di aiuti ma alle prese con le operazioni di consolidamento, Italia e Spagna in primis.
Sulla Grecia, l'Irlanda e il Portogallo si è talmente detto che ritengo superfluo aggiungere qualcosa, ma il problema è che le ricette che sono state applicate sono quelle classiche del FMI, che, con la BCE e l'Unione europea, forma la troika deputata a concedere gli aiuti ai paesi che li richiedono, ricette che deprimono la domanda aggregata, in particolare la componente consumi, deprimono le entrate fiscali a causa del ridotto livello di attività e all'aumento della disoccupazione, sostituendo queste entrate con altre legate a manovre draconiane che, è esemplare il caso della Grecia, portano ad una recessione profonda.
Il povero Keynes si rivolterebbe nella tomba rispetto a questo approccio che rischia non solo di fare altri milioni di disoccupati ma anche, come Joseph Stiglitz ha recentemente detto, di determinare la fine dell'euro, un'eventualità per lui certa per me tutt'altro che remota, a meno che non intervenga una profonda virata nelle scelte dei leaders europei, una svolta che metta al primo posto la crescita.
Sulla Grecia, l'Irlanda e il Portogallo si è talmente detto che ritengo superfluo aggiungere qualcosa, ma il problema è che le ricette che sono state applicate sono quelle classiche del FMI, che, con la BCE e l'Unione europea, forma la troika deputata a concedere gli aiuti ai paesi che li richiedono, ricette che deprimono la domanda aggregata, in particolare la componente consumi, deprimono le entrate fiscali a causa del ridotto livello di attività e all'aumento della disoccupazione, sostituendo queste entrate con altre legate a manovre draconiane che, è esemplare il caso della Grecia, portano ad una recessione profonda.
Il povero Keynes si rivolterebbe nella tomba rispetto a questo approccio che rischia non solo di fare altri milioni di disoccupati ma anche, come Joseph Stiglitz ha recentemente detto, di determinare la fine dell'euro, un'eventualità per lui certa per me tutt'altro che remota, a meno che non intervenga una profonda virata nelle scelte dei leaders europei, una svolta che metta al primo posto la crescita.