lunedì 21 marzo 2016

L'occhio della BCE sulle banche italiane (3)


So bene che guadagnano milioni di euro l'anno più le provvidenziali stock options, ma sono alcuni mesi che gli amministratori delegati e i presidenti delle banche italiane, in particolare di quelle di dimensione medio-grande, stentano a prendere sonno la notte nel timore che arrivi il giorno dopo sulle loro scrivanie una draft proveniente dalla vigilanza della Banca Centrale Europea, una lettera che, se non vi sarà un riscontro fattivo e obbediente, può dare l'avvio a un procedimento che può portare anche alla messa in liquidazione della banca.

Se per molti di loro è un discorso ipotetico, per i vertici del Banco Popolare e per quelli della Banca Popolare di Milano si tratta di una dura realtà che rischia seriamente di mandare in fumo i progetti di un matrimonio alla pari tra i due gruppi bancari, un matrimonio nel quale la BPM avrebbe mantenuto un certo grado di autonomia per tre anni e con una governance che definire pletorica è ben poco, visto che il consiglio di amministrazione della realtà risultante sarebbe stato composto da ben diciannove membri.

Ma il problema vero sollevato dalla lettera di Francoforte è quello dell'adeguatezza del capitale e della qualità dell'attivo, un termine elegante per definire le sofferenze dei due istituti che il piano di fusione pensa di affrontare in cinque anni e gli uomini e le donne della vigilanza della BCE vorrebbero fossero adeguatamente affrontati molto prima e attraverso la via maestra di un adeguato aumento di capitale.

La borsa ha punito entrambe le banche, ma si è concentrata in modo ancora più duro nei confronti di quella che, piaccia o no alla BPM, è in realtà l'acquirente e cioè il Banco Popolare, la cui azione giovedì ha lasciato sul terreno poco meno di un sesto del valore registrato nel corso della seduta precedente.

Di fronte a tutto questo fa sorridere il piano B escogitato dalle sigle sindacali della BPM, tuttora vere padrone della banca che pensano di far rientrare in partita Andrea Bonomi, sì quello stesso uomo d'affari che ha presieduto il consiglio di gestione della banca dal 2011 e 2014 che costrinsero a lasciare per contrasti insanabili, come se il problema fosse di nomi e non di un aumento ingente di capitale!

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