giovedì 29 novembre 2007

Chi rompe paga e i cocci sono suoi


Il discorso tenuto dal numero due della Federal Riserve, Donald Kohn, al Council for Foreign Relations a New York ha accesso nuovamente le speranza degli operatori economici su un nuovo taglio del tasso sui Fed Funds già nella riunione del Federal Open Market Committee prevista per l’11 dicembre, previsione rafforzata dalle indicazioni di un sensibile rallentamento dell’economie e di crescenti difficoltà nell’ottenimento di prestiti contenute nel Beige Book della banca centrale americana reso note ieri.

Era quello che gli investitori volevano sentirsi dire e conferma le previsioni dei principali analisti statunitensi che si spingono a vedere i tassi USA al 3 per cento entro la metà del 2008, dando così una decisa spinta al rialzo dei tre principali indici di Wall Street e facendo fare un vero e proprio balzo in avanti alle quotazioni delle banche, quotazioni che ormai da giorni testavano e sfondavano verso il basso i minimi dell’anno.

Il mercato ha così bellamente ignorato gli ulteriori segnali depressivi provenienti dall’economia reale, con gli ordini di beni durevoli che hanno segnato in ottobre l’ennesimo calo o il dato sulla vendite delle case esistenti che ha segnato una flessione dell’1,2 per cento e soprattutto del prezzo mediano che registra forse il più alto calo della storia recente, registrando una flessione del 5,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per non parlare poi dello stillicidio di notizie su nuovi tagli all’occupazione nel settore finanziario.

D’altra parte, è quantomeno evidente che, passare da un ritmo di crescita del prodotto interno lordo che dovrebbe aggirarsi per il terzo trimestre di quest’anno poco al di sotto del 5 per cento allo striminzito 1,5 per cento previsto per l’ultimo trimestre, rappresenta certamente uno shock per investitori e risparmiatori ed è realmente alquanto probabile che, nonostante le voci dissenzienti di alcuni membri, Bernanke si piegherà nuovamente ai desideri dei banchieri e dell’inquilino della Casa Bianca, ripercorrendo così pari pari la strada già sperimentata dal suo celebre predecessore, Alan Greenspan.

Le previsioni di quasi certa recessione autorevolmente formulate dal capo economista di Goldman Sachs e dagli analisti di Merrill, con questi ultimi che si spingono sino a parlare di questa come di una fase salutare per l’economia USA dopo la lunga fase di crescita, rappresentano, peraltro, un’ulteriore spinta ai decision makers della Fed, che, già di per loro, hanno un approccio molto più pragmatico e pro mercato dei templari che guidano la Banca Centrale Europea, che, molto in stile vecchia Europa, sono ancora legati ai pregiudizi anti inflattivi ereditati da quella Bundesbank che i disoccupativi li contava utilizzando il milione come unità di misura.

Come scrivevo già il 3 settembre scorso, solo il tempo sarebbe, e sarà, in grado di dirci se le terapie escogitate dalle banche centrali e dai governi potranno riportare la fiducia e convincere i risparmiatori ad abboffarsi nuovamente di quella carta in vario modo rappresentativa del debito di qualcun altro che è la versione contemporanea della moltiplicazione dei pani e dei pesci operata da qualcuno più in alto di Ben Bernanke, Jean Paul Trichet e ultimo, ma proprio ultimo, di quel prode Governatore della Bank of England a stento sottratto due mesi orsono alla violenza fisica dei solitamente compassati membri del Parlamento britannico per la sua brillante gestione del caso Northern Rock.

Se il futuro è realmente imprevedibile, e vi consiglio di diffidare fortemente di chiunque sostenga il contrario, è, tuttavia, sufficiente uno sguardo al presente per farci capire che, dopo migliaia di miliardi di euro di interventi sul piano della liquidità e a sostegno dei cambi, i nostri prodi non sono ancora riusciti a convincere le banche a smetterla con quel clima di sfiducia reciproca che anche ieri, al di là e al di qua dell’Atlantico, vedeva un ulteriore irrigidimento delle condizioni sul mercato interbancario, che nel caso dell’euribor vede i tassi a tre mesi a meno di 5 punti base dal massimo toccato nel corso di questa crisi finanziaria che dura ormai da poco meno di quattro mesi.

Riprendendo la stima di Jan Hatzius, mai troppo citato capo economista di Goldman Sachs, quella che vedeva 10 dollari di credito tagliato per ogni dollaro di perdite subito dalle banche e questo al solo scopo di mantenere intatti i ratio patrimoniali, vorrei aggiornare, in base alle ultime evidenze, la sua previsione di un taglio da 2 mila a 4 mila miliardi di dollari per il solo mercato creditizio statunitense, per azzardarne una che, a livello stavolta globale, porta il credit crunch nel 2008 ad oscillare tra i 6 e gli 8 mila miliardi di dollari, una stima che, quindi, ipotizza che le perdite potrebbero variare tra i 600 e gli 800 miliardi di dollari.

D’altra parte, basti pensare che nei soli Conduit e SIV, se condo le stime di un’analista di uno dei più grandi gruppi bancari europei, sono custoditi titoli della finanza strutturata per 2.700 miliardi di dollari, che almeno altri mille fanno capo direttamente alle banche e alle compagnie di assicurazione e sommando gli LBO e altra roba del genere si arriva facilmente ad oltre 4 mila miliardi dollari di titoli al valore nominale che il mercato oggi quota dal 20 ad un massimo dell’80 per cento per avere una stima di perdite che va dagli 800 ai 2 mila miliardi di dollari, perdite che potrebbero emergere gradualmente nei prossimi tre anni.

Si tratta, ovviamente, di un puro esercizio teorico, anche se temo che, a meno che non vengono escogitati sistemi per pubblicizzare in qualche modo le perdite, né le immissioni di liquidità, né ripetuti e selvaggi tagli dei tassi di interesse, né gli alquanto improbabili fondi interbancari di salvataggio sono in grado di fornire una risposta efficace a problemi anche di dimensioni molto più ridotte di quelle riportate sopra, ritenendo, anzi, che alcune di queste risposte potrebbero davvero essere controproducenti per un disastro che è nato proprio da un prolungato mix di alta liquidità e infimi tassi di interesse.

Se questa è una crisi che trae le sue origini dagli eccessi del mercato finanziario, per quanto assecondati dalla folle politica monetaria del Maestro Greenspan, eccessi che hanno prodotto una montagna di profitti delle banche e dei loro top manager, è forse più giusto che le risposte ed i costi relativi provengano dall’interno del sistema stesso, attraverso una ristrutturazione che veda i gruppi più forti farsi carico di quelli ormai in dissesto, senza oneri espliciti o impliciti per i contribuenti.

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