Nella puntata del 13 maggio, avevo titolato: Il Veneto è il buco nero del credito? riferendomi alle quattro grandi banche operanti nella regione caratterizzata un tempo dall'economia più dinamica d'Italia, delle quattro tra hanno sede nella regione (Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e, the last but not the least, quel Banco Popolare che presto convolerà a nozze con la Banca Popolare di Milano, previo un aumento di capitale da un miliardo di euro), mentre la quarta, il Monte dei Paschi di Siena, ha sede altrove ma ha acquisito i dolori della Banca Antonveneta per la modica cifra di poco meno di dieci miliardi di euro.
Sul Corriere della Sera di ieri, Federico Fubini ha pubblicato i risultati di una approfondita inchiesta sul credito nella regione Veneto e ha spiegato che ad avere i conti a pezzi sono ben tredici banche con sede nella regione, la maggior parte di piccole e medie dimensioni, banche che diventano quattordici includendo, come è doveroso, il Monte dei Paschi e ha anche chiarito che il meccanismo che ha portato a piazzare azioni non quotate a prezzi stratosferici seguito dalla Banca Popolare di Vicenza (in questo caso si è già avuta la prova della verità con il valore originario dell'azione di 62 euro passato, in sede di aumento di capitale, a 10 centesimi) e Veneto Banca, ebbene questo stesso metodo è stato seguito da quella Crediveneto, messa recentemente dalla Banca d'Italia in liquidazione coatta amministrativa, che ha convinto migliaia di clienti della banca, e moltissime imprese spesso in cambio di aperture di credito, a sottoscrivere azioni che oramai sono carta straccia.
L'elenco delle banche venete fallite e solo in alcuni casi salvate da concorrenti non sempre con sede nella regione è lungo e, anche se si tratta di realtà creditizie nella maggior parte piccole, il danno per il rapporto tra clientela e sistema bancario è bello che fatto, un danno che non è ancora perfettamente quantificato perché viene da chiedersi quanti dei 125 miliardi di crediti erogati torneranno realmente a casa, anche perché le normative italiane sulla classificazione delle sofferenze sono ancora troppo elastiche, non vigendo da noi e in Europa il principio statunitense secondo il quale un credito si trasforma in perdita dopo pochi mesi di insoluti.
Ma anche stando ai dati ufficiali, abbiamo sofferenze pari a svariate decine di miliardi di euro, a fronte dei quali spesso non ci sono garanzie di nessun tipo e il cui valore è persino inferiore a quel 20 per cento che viene corrisposto in sede di acquisizione di sofferenze da parte degli operatori specializzati, per non dire che con gli aumenti di Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Banco Popolare le disponibilità del Fondo Atlante previste a questo scopo sono pressoché finite.
Nessun commento:
Posta un commento