lunedì 16 maggio 2016

In nove anni le banche italiane sono costate 210 miliardi di euro ad azionisti e risparmiatori


In un brillante articolo, Nicola Porro, giornalista e intrattenitore televisivo, ha illustrato i risultati di una ricerca di ImpresaLavoro sulle perdite subite dagli azionisti, e, nel caso delle quattro banche tecnicamente fallite a novembre dello scorso anno, anche dai risparmiatori, a partire dall'inizio della tempesta perfetta nell'agosto del 2007, e ne viene fuori una cifra mostruosa di 210 miliardi di euro così ripartito: 150 miliardi di minor valore delle azioni per le 17 banche quotate in Borsa, 50 miliardi di aumenti di capitale delle stesse e 10 miliardi circa tra le quattro banche di cui al decreto governativo del 23 novembre 2015 e il resto ascrivibile alle Banca Popolare di Vicenza, mentre mancano all'appello nello studio citato le perdite legate a Veneto Banca, con relativo aumento di capitale da un miliardo e il miliardo richiesto dal Banco Popolare di Verona, entrambi richiesti ultimativamente dalla vigilanza della Banca Centrale Europea, insieme a tante altre misure da adottare in concomitanza.

Pur trattandosi di cifre mostruose, va tuttavia detto che i rischi per i risparmiatori legati alle banche italiane non finiscono qui, in quanto, come ricordavo in una recente puntata del Diario della crisi finanziaria, secondo uno studio della Banca d'Italia, sono esposti a rischio bail in più di 400 miliardi di euro tra obbligazioni non garantite e, per 225 miliardi, da depositi oltre la soglia dei 100 mila euro, questi garantiti da uno sforzo cooperativo delle banche sopravvissute al salvataggio dall'interno di una o più di loro mediante il Fondo interbancario di garanzia, Fondo che al momento ha in cassa solo quanto serve a far fronte ai rimborsi degli obbligazionisti di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara, ma che avrebbe qualche difficoltà a reperire i fondi se il default riguardasse qualche big del settore o un fenomeno di fallimenti a catena.

Voorei sommesamente ricordare che la strada del passato per il rafforzamento del settore creditizio, quella che ha visto fondersi nelle due più grandi banche del sistema, Unicredit e Intesa-San Paolo, decine e decine di banche e casse di risparmio di ogni dimensione, non ha dato grandi frutti, anche perché ci sono voluti tempi lunghissimi per rendere efficienti qusti carrozzoni ed ora, quindi, il Governo pensa di percorrere la strada degli sgravi di costi, in primis di quelli relativi al personale, per un ammontare pari a 30-40 mila unità, come sta già avvenendo, in vista della fusione con la Banca Popolare di Milano, al Banco Popolare di Verona e Novera che ha appena annunciato 1.800 esuberi di personale.

L'altra strada, quella dell'aggressione della massa da 360 miliardi di euro dei Non Performing Loans, richiederà molto più tempo e l'adozione di misure molto più coraggiose di quelle intraprese sinoad ora con il Fondo Atlante e con lo schema di garanzia dei pacchetti senior di sofferenze delle banche elaborato dal ministero dell'Economia.

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