martedì 26 aprile 2016

Il cahier de doléance dei banchieri italiani contro la vigilanza BCE


Ho detto più volte che gli strapagati banchieri italiani dalla fine dell'anno scorso hanno difficoltà notevoli ad addormentarsi e fare sonni tranquilli perché hanno in mente la severa signora francese alla guida della vigilanza delle banche dell'eurozona che vuole che in tempi rapidi ripuliscano drasticamente i loro bilanci dalla zavorra dei crediti deteriorati, non facendo quasi distinzioni tra  questo ampio aggregato e quelli più ridotti delle sofferenze lorde e di quelle nette, adducendo Madame Nouy il ragionamento che, in una situazione di forte stress, non sarebbe possibile per la banca sotto attacco utilizzare gli accantonamenti effettuati nel tempo, perché vi sarebbe una crisi di liquidità in parte dovuta alla fuga dei depositanti oltre i 100 mila euro, come è accaduto di recente, per ammissione del suo stesso amministratore delegato, alla disastrata e sotto aumento di capitale Banca Popolare di Vicenza.

Ma un informatissimo articolo di Rosario Dimito su Il Messaggero va ancora più nello specifico e ci informa che per i banchieri italiani, ma non solo per quelli del nostro paese, la segretezza del manuale di vigilanza e, quindi, delle modalità di attuazione dello stesso, costituisce un problema perché non consente di capire quale è il modello di riferimento, quale è il modello ideale di banca secondo le donne e gli uomini della Banca Centrale Europea, così come non si capiscono i criteri secondo cui vengono divulgati alla stampa i nomi delle banche sotto stress test, visto che alla fine dell'anno scorso sono stati resi pubblici solo quelli delle banche italiane.

E veniamo qui al corollario della insistenza della vigilanza BCE sui Non Performing Loans delle banche italiane, perché l'adeguarsi alla politica delle pulizie di bilancio porta con se la necessità di procedere ad aumenti di capitale, aumenti che non potranno essere tutti garantiti dal Fondo Atlante come è stato nel caso della Popolare di Vicenza e che portano normalmente a contrazioni, anche forti della capitalizzazione di borsa delle banche coinvolte, richieste che non tengono conto, come nota Dimito, del fatto che negli ultimi otto anni le banche italiane si sono rivolte al mercato per una cifra di circa 40 miliardi di euro!

Per non parlare delle richieste di aumentare i livelli di patrimonializzazione di grandi gruppi bancari al livello assolutamente irragionevole del 20 per cento (Unicredit), o ad abbreviare significativamente i tempi oltre i quali un credito è considerato deteriorato, per giungere all'assurdo di considerare deteriorati i crediti verso la pubblica amministrazione, tutte cose che, ove attuate, disegnano uno scenario molto fosco per l'industria finanziaria italiana.

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