Si tranquillizzino i miei lettori perché non voglio fare riferimenti mitologici o di storia antica, ma solo cercare di capire se gli isolani della Gran Bretagna, un miscuglio di popoli e di realtà geografiche molto diverse tra loro, spingeranno i loro risentimenti e il loro orgoglio fino a decidere di lasciare una realtà che conta ventotto nazioni, cinquecento milioni circa di abitanti e un prodotto interno lordo che la colloca nel novero delle tre realtà economiche più importanti dell'orbe terraqueo, una realtà a cui ha aderito relativamente di recente, ma comunque da poco meno di mezzo secolo.
Nell'Unione Europea, comunque, la Gran Bretagna possiede uno status davvero invidiabile, in quanto non aderisce, pur avendone abbondantemente i requisiti stabiliti dall'accordo di Maastricht, all'euro, sfruttando in questo caso la clausola dell'opting out, come hanno fatto anche alcuni paesi scandinavi, non aderisce al trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone nell'ambito dell'Unione europea, mentre sfrutta a mani basse della libera circolazione dei capitali, ma eccezioni generose ha conseguito anche nell'ultima tornata di negoziati svolti in quel di Bruxelles, tra i quali spiccano la possibilità di ulteriori e importanti opting out rispetto a provvedimenti in materia economica e finanziaria, nonché l'esclusione pluriennale dal welfare per gli immigrati che entreranno dopo la data del referendum, se prevarrà, ovviamente, l'opzione di restare in Europa, altrimenti faranno quello che vorranno.
Non mi addentrerò volutamente nel vivace dibattito in corso sui vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'esito della scelta referendaria ove la stessa fosse quella della Brexit, anche se trovo ragionevole l'ipotesi di un'incidenza negativa sul prodotto interno lordo britannico nell'ordine del cinque per cento, un impatto pesante per un paese oramai deindustrializzato e alle prese con l'andamento largamente cedente del prezzo del greggio (un prezzo che ha compiuto nelle ultime settimane quella che io definisco la corsa dell'orso, con un repentino rimbalzo e poi con quella che sembra una vera e propria caduta, per poi tentare una nuova risalta).
Quello che più mi interessa è capire la stratificazione sociale rispetto agli orientamenti di voto e trovo un ottimo supporto in un articolo di Maurizio Ricci che analizza un sondaggio di dimensioni davvero impressionanti pubblicato da YouGov, un sondaggio basato su sedicimila interpellati e che indica come Londra, Irlanda del Nord, la Scozia e il Galles siano decisamente per restare nell'Unione europea, mentre le cose vanno decisamente male nelle altre pari della Gran Bretagna, così come vi è una discriminante anagrafica tra gli elettori, con i più giovani contrari a lasciare la UE e i più anziani ferventi fautori della Brexit. Vi è poi una differenza di classe, quella medio-alta a favore dello statu quo e quelle più basse in favore dell'uscita. Comunque sapremo come andrà a finire tra due mesi e mezzo o più precisamente il 23 giugno prossimo, anche se il coinvolgimento di David Cameron nei Panama Papers mette un'ulteriore ipoteca sul risultato.
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