Al termine di un lunghissimo e a tratti drammatico consiglio di amministrazione, è stata fissata la forchetta di prezzo per l'aumento di capitale e concomitante richiesta di ammissione alla quotazione di borsa di Veneto Banca e, come era stato largamente previsto in tempi non sospetti dal Diario della crisi finanziaria e da molti analisti e commentatori, si va da un minimo di 10 centesimi ad un massimo di 50 con azzeramento di fatto del capitale di una banca le cui quote avevano toccato gli alquanto irrealistico 42 euro per azione ma che quasi nessuno degli investitori e risparmiatori in larga parte veneti aveva potuto realizzare perché la banca di Montebelluna aveva di fatto chiuso quasi subito alle negoziazioni che, per statuto, potevano essere realizzate solo con la banca stessa.
Le analogie con le vicende della Banca Popolare di Vicenza sono davvero impressionanti e se, come è largamente evidente, il prezzo finale sarà di 10 centesimi e non vi saranno richieste di adesione all'aumento di capitale tali da garantire almeno un 25 per cento di flottante, la CONSOB negherà alle azioni della banca l'ammissione ai mercati regolamentati e non si aprirà altra strada che quella dell'intervento del Fondo Atlante che così avrà impegnato 2,5 dei 4,2 miliardi di euro del suo fondo di dotazione e manca ancora all'appello l'aumento da un miliardo di euro del Banco Popolare di Verona e Novara che è stato già deliberato dal consiglio di amministrazione, ma almeno il Banco Popolare in borsa c'è già.
Ai detentori delle azioni di Veneto Banca non resta che leccarsi le ferite e interrogarsi su quanto hanno fatto nell'ultima assemblea dove molti di loro, per rabbia e sconforto, hanno appoggiato il ribaltone al vertice dell'istituto con l'arrivo al potere di una improbabile cordata infarcita di persone che dovevano alla banca somme per centinaia di milioni di euro e declassando Carrus da amministratore delegato a direttore generale, cosa alla quale ha in parte posto rimedio la vigilanza della Banca Centrale Europea, intimando che venissero restituite le deleghe al manager che tanto si era adoperato nella mission impossible di risollevare le sorti di una banca che è quasi un eufemismo definire tecnicamente fallita.
Ho scritto più volte delle responsabilità della vigilanza della Banca d'Italia sulla gestione, o meglio sulla mancata gestione, di quella situazione veneta che poi si è rivelata il buco nero del credito in Italia, ma di tutto questo il Governatore Visco, nelle conclusioni finali lette il 31 maggio, non ha speso parola, né tantomeno ha accennato ad una sorta di autocritica, suscitando le ire degli esponenti di numerosi partiti politici, anche di quelli che dal credito facile in Veneto hanno avuto un grande ritorno in termini elettorali!
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