domenica 8 giugno 2008

E' davvero segnata la sorte di Lehman Brothers?


Non ho la più pallida di quello che può essere passato per la testa del finanziere miliardario David Einhorn, alla guida di un hedge fund da 6 miliardi di dollari, quando, dopo aver assistito al doppio shock inferto al mercato finanziario globale nel corso del mese di agosto (blocco totale della liquidità all’inizio del mese ed assalto agli sportelli di Northern Rock alla fine dello stesso), ha reso noto di aver deciso di recarsi nel suo resort privato in un paese esotico, ma di aver dato disposizioni per operare aggressivamente al ribasso di un imprecisato numero di entità globali del mercato finanziario, scelta, peraltro, che pare non abbia fatto in totale solitudine.

Nei mesi e nelle settimane scorse, almeno qualcuno degli obiettivi di Einhorn è venuto alla luce, in particolare con riferimento alla blasonata banca di investimenti Leheman Brothers, una delle un tempo Big Five statunitensi che già nei mesi scorsi sembrava avviarsi in tempi molto rapidi a seguire la sorte dell’orso di Stearns che ha anche ufficialmente tirato le cuoia nei giorni scorsi, venendo rilevato per un piatto di lenticchie dai nipotini di J.P. Morgan e da quelli di Rockfeller-Rockerduck.

Nel suo primo tentativo di default, Lehman fu colpita da una vendita massiccia di azioni innescata dall’uscita all’esterno di una e-mail di una banca indonesiana che invitava i suoi operatori a non applicare la storica Investment Bank statunitense per motivi non meglio precisati e portando le quotazioni a testare il livello incredibile dei 20 dollari, ma, almeno allora, fu stesa intorno alla banca una forte rete di protezione, anche perché non ci si poteva assolutamente permettere una riedizione del caso bear Stearns a così pochi giorni di distanza.

L’illuminante intervista rilasciata in quella fase della giovane e sovraffaticata Chief Financial Officer di Lehaman, consente, tra l’altro, di capire quante bugie si stanno dicendo in questi ultimi giorni, con l’aggravante che le stesse portano il timbro dei vertici della società; basti pensare al sentito ringraziamento allora espresso dalla CFO alla Fed per la provvidenziale apertura dello sportello nel quale è possibile ottenere denaro contro i titoli spazzatura in pancia alla banche, uno scambio che, seppur nella sua provvisorietà, avviene alla pari ed ha consentito in più di un’occasione a molte Investment Banks ed alle banche più o meno globali in affanno di “passare la nottata”.

Ebbene, in quella intervista la nostra ammetteva molto candidamente che la sua come le altre grandi banche stavano applicando la capace discarica gestita dagli uomini di Bernspan quotidianamente e per miliardi di dollari, giungendo implicitamente a riconoscere che, in assenza di tale provvidenziale opportunità e dell’aggressiva riduzione dei tassi di interesse, la sua come molte altre entità sarebbero andate incontro ad uno scenario estremamente difficoltoso, un modo molto polite per dire che avrebbero dovuto alzare le braccia e lasciare la patata bollente in mano ai regolatori ed alle autorità di vigilanza.

Di tutto questo, certo, non potevano essere consapevoli Einhorn e gli altri miliardari che, come lui, da atolli tropicali, muniti di satellitare e di computer di formidabile potenza, aspettano più o meno pazientemente che passino i cadaveri sulla cui sorte hanno scommesso in vario modo i loro soldi, ma quello che è indubitabile e che sono nel frattempo diventati molto più ricchi, anche perché delle falle del sistema e delle qualità delle donne e degli uomini che vi svolgono un ruolo da protagonisti loro sanno veramente tutto, in quanto hanno avuto modo di conoscere il sistema dall’interno e le persone in un numero altissimo di contatti di affari, trovandoseli a volte come alleati ed a volte come avversari.

Non è un mistero per nessuno tra coloro che dedicano un certo livello di attenzione all’evoluzione della tempesta perfetta che il secondo momentaccio di Lehman è iniziato mercoledì della scorsa settimana, quando si è sparsa la voce che la banca di investimenti aveva chiesto di applicare per una cifra superiore al normale, ottenendo, sempre secondo i bene informati, un rifiuto più o meno cortese per la parte eccedente la dose normale, al che il gioco era fatto e sono improvvisamente raddoppiate le munizioni esplose dai ribassisti abituali e da quanti si sono sciacallescamente messi sulla loro scia.

La reazione proveniente dai piani alti della sede di Lehman rappresenta un perfetto esempio di quanto andrebbe accuratamente evitato quando si è sotto il tiro di speculatori incalliti, che, pur non avendo l’esperienza ed il volume di fuoco di un George Soros, sono pur sempre uomini d’affari che sanno usare bensissimo tutte le tecnicalità a disposizione e godono di un discreto effetto leva per mettere sul tappeto verde le loro puntate in scommesse che in più di un caso si realizzano nello stesso momento in cui vengono effettuate.

I massimi dirigenti di Lehman hanno fatto spargere da giornalisti ed analisti embedded la notizia di un prossimo e massiccio aumento di capitale che, guarda caso, veniva indicato nell’esatto importo delle disponibilità di Einhorn, poi fanno sapere che questa è solo una della dozzina di opzioni che stanno valutando, per poi negare di aver chiesto la dose supplementare alla discarica della Fed di New York, un vero e proprio tourbillon di affermazioni buone per tutte le stagioni che ha sortito l’effetto di mettere ancora più sotto pressione il titolo, nonostante il dispiegarsi di un massiccio buy back dal carattere alquanto suicida.

Ma l’errore peggiore è stato quello di notificare, stavolta in prima persona e mediante quel Wall Street Journal che è diventato di fatto il giornale di bordo della tempesta perfetta, che sono stati liquidati assetts di varia natura aventi un valore di carico di 100 miliardi di dollari e che gli stessi rappresentavano il 20-25 per cento delle disponibilità (quelle di bilancio o quelle complessive includenti SIV, Conduit ed altre diavolerie nascoste nelle poste off balance sheet?), evitando di precisare le relative perdite connesse alla maxi liquidazione e quelle derivanti dalla gestione ordinaria e dalla svalutazione di quello che resta del problema, cioè di un qualcosa che oscilla dai 300 ai 400 miliardi di dollari, sempre che la percentuale indicata si riferisca a quella verità, ma proprio tutta la verità imperiosamente chiesta da Mario Draghi ed Henry Paulson nel corso di quella che ho più volte definito l’ultima cena svoltasi un venerdì sera di metà aprile a Washington alla vigilia del G7 finanziario e delle assemblee dei due pilastri usciti dalla Conferenza di Bretton Woods, il Fondo Monetario Internazionale attualmente diretto dal francese Dominique Strauss Kahn e la Banca Mondiale da poco orfana del banchiere con i calzini rotti, Paul Wolkowitz, allontanato per questioni poco attinenti alla sua attività, ma molto al suo cuore.

Mancano soltanto 22 giorni allo scadere dell’ultimatum autorevolmente posto dai due ex colleghi in Goldman Sachs al gotha della finanza mondiale e poco più di un mese al vertice dei sette grandi del pianeta, dal che ne desumo che nelle prossime settimane ne vedremo proprio delle belle.
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre, agli amanti delle statistiche, rendo noto che quella di ieri era la puntata numero 200 del Diario della crisi finanziaria sul blog, cui vanno aggiunte le 45 puntate apparse dal 19 settembre al 19 novembre sul sito della UILCA e su Flipnews, prima, cioé, che il blog vedesse la luce.