sabato 21 giugno 2008

La tempesta perfetta si porta a forza 9!


L’America è ancora scossa per i retroscena inquietanti che iniziano a filtrare dalla vasta inchiesta giudiziaria che prende il significativo nome di malicious mortgage, un’indagine che ha visto lavorare alacremente ed in silenzio donne ed uomini del Federal Bureau of Investigations, della Securities and Exchange Commission, della Federal Reserve, procuratori distrettuali di ogni parte degli Stati Uniti d’America, ma in particolare di quelli operanti nel distretto di New York che ha competenza su Wall Street, e che ha al momento messo oltre 400 persone sotto indagine, ottenendo già poco meno di 200 condanne.

L’assordante risonanza mediatica che sta vivendo in questi due giorni l’inchiesta fa da contrappunto al doveroso riserbo che ha accompagnato le indagini, anche se era impossibile non alzare il velo in presenza di sessanta arresti in un giorno solo, due dei quali veramente clamorosi, in quanto si tratta dei due top manager di Bear Stearns, le cui gesta, esattamente un anno fa, diedero il via alla tempesta perfetta, in quanto molti dei cronisti della crisi fanno risalire proprio al default dei due hedge fund facenti capo alla quinta ed ora defunta banca di investimenti statunitensi l’avvio di quella ondata di sfiducia che determinò, il 9 agosto del 2007, il blocco totale della liquidità interbancaria ed i successivi mega interventi delle banche centrali che inondarono letteralmente di liquidità il mercato.

Quello che colpisce è il cinismo e l’improntitudine che emerge dalle e-mail intercettate intercorse tra il capo ed il suo vice alla vigilia del default da 1,7 miliardi di dollari dei due fondi, preceduto di pochi giorni da una conference call che aveva l’unico scopo di rassicurare gli investitori ed impedire che chiedessero il rimborso delle loro quote, cosa che invece avevano già fatto senza darne notizia i due ex dirigenti dell’orso di Stearns, il tutto mentre, a disastro appena avvenuto, il loro capo massimo, James Cayne, trascorreva la maggior parte delle sue ore di lavoro lontano dall’ufficio impegnato come era a giocare a golf o a carte, un uomo che ha ricoperto sia la carica di Chairman che di Chief Executive Officer per lungo tempo dopo quel disastro e che porta buona parte della responsabilità del fallimento di Bear, un fallimento evitato solo grazie al salvataggio in extremis orchestrato dalla Federal Reserve, mediante l’acquisizione della disastrata banca di investimenti da parte di J.P. Morgan-Chase.

Quello che emerge, invece, dall’inchiesta a tappeto sul settore del mortgage statunitense presenta aspetti, se possibile, ancora più inquietanti, in quanto sta emergendo con chiarezza, forse anche grazie alla fattiva collaborazione da parte di indagati alla ricerca dell’immunità, che all’origine del collasso che ha colpito il settore immobiliare vi era una politica molto aggressiva di concessione dei mutui, basata sulla totale noncuranza rispetto al necessario accertamento del merito creditizio dei mutuatari, requisito considerato del tutto ininfluente in quanto i mutui concessi restavano spesso solo per poche ore presso il concendente per poi essere trasferiti ad altri soggetti che a loro volta li rivendevano o li trasformavano, in modo semplice o sofisticato, in titoli della finanza più o meno strutturata.

Dopo mesi trascorsi a biasimare i mutuatari e la loro irresponsabilità, sono emersi particolari che evidenziano come molti di loro sono stati convinti da aggressivi venditori o procacciatori di affari che non avrebbero corso alcun rischio e che i tassi molto elevati previsti allo scadere del periodo di grazia biennale o triennale non avrebbero costituito un problema, in quanto, nel frattempo, il valore dell’immobile sarebbe aumentato a dismisura consentendo una rinegoziazione del mutuo a condizioni più vantaggiose, una situazione nella quale manca solo l’albero degli zecchini d’oro ed il gatto e la volpe di collodiana memoria.

Spero proprio che nessuno voglia scomodare le tre streghe o altre motivazioni tecniche per il tonfo verificatosi ieri a Wall Street, con particolare riferimento alla catastrofe relativa al settore finanziario, anche perché ritengo che gli indici azionari abbiano retto anche troppo a lungo agli alti marosi della tempesta perfetta in atto ed al vero e proprio sfacelo morale che sta emergendo dall’inchiesta in corso e da quanto avevamo già avuto modo di apprendere in questi lunghi mesi sui comportamenti e la scala di valori imperanti da decenni in questo casinò alquanto impazzito che è il mercato finanziario globale.

Leggere le inquietanti affermazioni di Allen Sinai, uno dei guru più ascoltati dagli analisti e dagli operatori di Wall Street, uno che sinora ha tenuto un low profile, pur evitando accuratamente di unirsi al folto coro al coro di quanti hanno a più riprese previsto la fine della crisi finanziaria, ma che ora prevede o un allungamento significativo di questa fase tutt’altro che felice oppure un calo a picco degli indici azionari determinato da un’intensificazione della crisi bancaria e dalla prosecuzione del meltdown immobiliare statunitense, settore che ricorda essere davvero cruciale per l’economia degli Stati Uniti dìAmerica, ebbene, tutto questo, pur appartenendo da sempre al novero delle possibilità, assume un carattere realmente sinistro ove venga detto da una persona competente e solitamente prudente quale è Sinai.

Ma quelle che trovo veramente inquietanti sono le recentissime affermazioni del ministro del Tesoro statunitense, Henry Paulson, l’uomo che, parafrasando quanto si dice da sempre degli economisti, ha previsto in questi lunghissimi dieci mesi un numero infinito di volte la possibile, se non già avvenuta, uscita dal tunnel della crisi, ed è proprio lui, peraltro banchiere di investimento di lunghissimo corso, a dover ammettere che la situazione è tornata a farsi molto grave, ammonendo al contempo che è ora di togliersi dalla mente che valga ancora il “too big to fail”, escludendo, in linea con quanto ha giurato il povero Bernspan nel corso di numerose audizioni parlamentari, ulteriori salvataggi pubblici dopo quello effettuato in favore di Bear Stearns.

Non aiutano certo a rasserenare il clima le previsioni di ulteriori svalutazioni autorevolmente fatte dal nuovo e giovane CEO di Citigroup, l’indiano Vikram Pandit, così come il rincorrersi di rumors più o meno smentiti su nuovi guai in casa Merrill Lynch, né la scoperta di un emulo in sedicesimo di Jerome Kreviel di Socgen in una banca statunitense, con conseguente sospensione del trader ed indagine da parte dei regolatori, tutte cose che consentono di dire che l’aria che si respira aggirandosi per il mercato finanziario globale sembra essere tornata quella che si poteva sperimentare nell’autunno del 2007, con l’aggravante determinata dal fatto che quasi tutto quello che le banche centrali ed i governi potevano fare per mettere una pezza al disastro in corso è, purtroppo, già stato fatto e non restano molte altre frecce all’arco degli alquanto disperati esponenti finanziari del G8.

Che, in questo contesto, il Dow Jones abbia perso ieri 220 punti, portando il bilancio settimanale ad una flessione di ben 450 punti non deve quindi stupire, anche se non mi stancherò mai di ripetere che, mentre è corso una crisi finanziaria di queste dimensioni, non è tanto agli indici azionari che bisogna prestare attenzione, quanto, piuttosto, allo stato di salute delle banche.

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/