venerdì 13 giugno 2008

Silurati la CFO ed il COO di Lehman Brothers!


Come segnalavo ieri, non era mai accaduto che dopo una così minuziosa ricostruzione di una vera e propria pulizia di bilancio e il disvelamento dell’entità considerevole delle munizioni difensive in termini di liquidità come quella compiuta dalla Chief Financial Officer di Lehman Brothers, Erin Callan, in una lunghissima conference call, l’azione cedesse di quasi un quarto del suo già molto depresso valore in sole due sedute, né che molti degli analisti inviati dalle principali concorrenti si precipitassero ad emettere downgrade della storica ma molto malmessa Investment Bank.

Che qualcosa non avesse funzionato, e non certo sul piano della comunicazione o dell’indiscutibile abilità della giovane ma molto potente Erin a gestire il ciclo infernale delle domande e risposte che hanno fatto seguito alla sua altrettanto abile ricostruzione, lo deve avere capito anche l’indiscusso, almeno per il momento, numero uno di Lehman, Richard Fuld che assomma le cariche di Chairman e CEO, che ha ieri bruscamente rimosso la Callan dal suo incarico, rispedendola a lavorare nell’ambito della divisione di investment banking della banca (sic), ed ha anche sostituito in corsa il Chief Operating Officer, Joseph Gregory, che resta anche lui all’interno di Lehman, mentre i sostituti provengono ovviamente dall’interno e rispondono, rispettivamente, ai nomi di Ian Lowitt (sino ad ieri vice della Callan) e di Herbert McDade, già Global Head della Equity Division di Lehman.

A quanto risulta dai solitamente bene informati, il lungo testo che trascrive l’introduzione di Erin e, soprattutto, la parte relativa alle domande e le risposte vengono attualmente passate ai raggi X da parte degli esperti delle altre Investment Banks e da quelli delle CIB delle banche più o meno globali, tutti impegnati nell’affannosa ricerca del dettaglio (o dei dettagli) che la quarantaduenne Callan si è presumibilmente lasciata sfuggire, forse anche per la situazione di stress estremo che sta vivendo da quando, in febbraio, l’azione di Lehman dimezzò il suo valore in un lampo, dopo la diffusione delle e-mail di una banca indonesiana che intimava ai suoi operatori di non applicare la storica banca di investimenti newyorkese.

Altrettanto stanno facendo il miliardario David Einhorn e gli innumerevoli suoi emuli in quella che è ormai divenuta una sorta di guerra personale che ha già dato buoni frutti ad Einhorn e compagni, in quanto quando hanno iniziato a scommettere sulla infausta sorte di Lehman e di altre entità non secondarie operanti sul mercato finanziario globale, l’azione della banca era a 65 dollari, temporaneamente crollati a 20 in febbraio e, dopo il pronto recupero nell’area dei 40 dollari, chiudeva ieri a 22,7 dollari, in calo di oltre il 30 per cento rispetto ai 34 dollari di venerdì della scorsa settimana e del 72 per cento circa rispetto al valore massimo segnato nelle ultime 52 settimane.

Come ricordavo nelle due puntate precedenti, la domanda più ricorrente posta dagli analisti di Goldman Sachs, Citigroup, Merrill Lynch, UBS e da quelli delle altre banche partecipanti alla conference call era la seguente: come è possibile che, dopo aver liquidato attività per l’enorme cifra di 130 miliardi di dollari, le perdite siano tutto sommato contenute? Così come lasciava perplessi che Erin non giurasse su un drastico calo dell’outstanding del famigerato level 3, l’elenco dei titoli peggiori imposti di recente dai regolatori alle banche statunitensi, anche se quest’ultima perplessità spiegava la prima, in quanto rafforzava il sospetto che Lehman si fosse limitata a vendere il meglio del suo portafoglio, lasciando il resto nei suoi conti o nella discarica temporanea della Fed di New York.

Non ha aiutato, inoltre, la decisione presa sempre ieri, o meglio ieri annunciata, da Citigroup di chiudere ed inserire nei conti della banca la creatura dell’attuale CEO, Vikram Pandit, un hedge fund di rilevanti dimensioni nato di recente con obiettivi molto ambiziosi, ma che si è dovuto scontrare con le alte onde della tempesta perfetta e la conseguente ondata di richieste di riscatto da parte dei disperati sottoscrittori, una notizia che appanna alquanto l’immagine di Pandit, salutato da molti come il possibile risanatore della potentissima banca all’atto del suo insediamento al posto dello screditato avvocato d’affari Chuck Prince III, che di Citi era anche Chairman e considerato universalmente il vero erede di Sandy Weill, il top manager che ha creato l’attuale modello di business del gigante creditizio e che, d’intesa con l’infuriato principe arabo che ne è uno dei principali azionisti, licenziò il povero Chuck su due piedi, addossandogli colpe che erano, invece, in gran parte sue.

Né ha contribuito a rasserenare gli animi degli inquieti e molto depressi operatori la notizia dei 3,1 miliardi di dollari di perdita trimestrale di Thornburg Mortgage, una delle principali entità operanti nel disastrato settore del mortgage statunitense i cui vertici non hanno nascosto i loro timori per l’andamento dei conti per il prossimo futuro, anche alla luce del fatto che stanno andando sul mercato vagonate di case messe all’asta dalle banche e che questo non aiuta certo ad individuare quale è realmente il fondo del barile della attuale gravissima crisi immobiliare che, ovviamente, svolge un ruolo primario nel creare un clima di aspettative tutt’altro che rosee nei consumatori.

Sorvolo sui rumors che girano da giorni sui prossimi bilanci trimestrali di entità non secondarie come Goldman Sachs, Lehman Brothers (sì, perché vi è una spasmodica attesa per capire come mai Erin sia stata rimossa dal suo incarico proprio ieri, quando si era impegnata a spiegare tutto lunedì prossimo, data prevista per la trimestrale della banca di investimenti), Citigroup, Merrill Lynch, Morgan Stanley e compagnia cantante, trimestrali che dovrebbero essere abbastanza illuminanti sull’attuale fase della tempesta perfetta anche perché verranno illustrate a ridosso della scadenza dell’ultimatum posto ai banchieri ovunque basati dagli ex colleghi in Goldman Sachs, Mario Draghi ed Henry Paulson, oggi, rispettivamente, Governatore della Banca d’Italia e ministro del Tesoro USA..

L’effimera crescita delle vendite al dettaglio statunitensi nel mese di maggio ha suscitato un flebile entusiasmo che si è prontamente dissolto non appena qualche analista non embedded ha provato a spiegare agli altri che molto probabilmente la crescita dell’uno per cento era facilmente spiegabile con l’incasso da parte delle famiglie degli assegni relativi alla restituzione fiscale avvenuto proprio nel mese in esame, effetto che dovrebbe svanire sin dal mese in corso, mentre appare molto più significativo il vero e proprio balzo in avanti del deficit commerciale statunitense, portatosi di un balzo a 60 miliardi di dollari, impiombato dal rialzo record del petrolio e nonostante l’incontestabile boom delle esportazioni statunitensi rinvigorite dallo squagliamento del dollaro.

Un sommesso ed amichevole suggerimento ai vertici di Intesa-San Paolo che hanno appena rivevuto dai competenti organi collegiali denominazioni internazionali per i loro prestigiosi incarichi: CEO, CFO e COO non sono etichette da mettersi al bavero come distintivi, perché, almeno nell’accezione prevalente negli USA, ad esse corrispondono precisi compiti e gravose responsabilità!
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Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/