lunedì 25 luglio 2016

Le debolezze strutturali del sistema bancario italiano (2)


Nella puntata di ieri del Diario della crisi finanziaria ho preteso francamente troppo dalla memoria dei miei lettori, in quanto ho dato per scontate molte cose delle quali mi sono occupato diffusamente nelle puntate degli anni scorsi dedicate alle tre fasi di ristrutturazione del sistema bancario italiano, un processo molto lungo e complesso che ha preso le sue mosse dopo l'approvazione della Legge Amato che prevedeva in buona sostanza la scissione della proprietà della casse di risparmio e di alcuni tra gli istituti di diritto pubblico e la trasformazione in società per azioni, governate ovviamente dal diritto privato, delle cosiddette banche conferitarie, quindi le fondazioni bancarie da un lato e le banche da esse possedute dall'altro; nacquero quindi veri e propri mostri, o almeno così li definì il padre della legge, le fondazioni bancarie appunto che avrebbero dovuto alienare in tutto o in parte le azioni delle loro banche e occuparsi sostanzialmente di beneficienza e mecenatismo in linea con quanto avviene per le omologhe istituzioni di diritto anglosassone.

E' questa sostanzialmente la prima fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano, con i banchieri ormai ex pubblici che erano in spasmodica attesa dei successivi provvedimenti governativi che avrebbero costretto le fondazioni ad accelerare il processo di dismissioni delle azioni delle ex banche di diritto pubblico e fu allora che Alessandro Profumo del Credito italiano e Corrado Passera e Bazoli dell'allora Banco Ambrosiano ebbero l'idea che fece nascere Unicredit da un lato e Banca Intesa dall'altro: offrire alle fondazioni di mettere al sicuro le azioni delle loro banche, garantendo per un lunghissimo tempo la sopravvivenza delle stesse sotto forma di banche marchio dotate per di più di una loro direzione generale, nonché di un patto fra gentiluomini per la gestione della banca risultante dalle fusioni.

Nessuno è stato in grado di calcolare esattamente i costi derivanti da questa autonomia delle banche marchio, ma è certo che sono stati estremamente ingenti, ma, e forse soprattutto, hanno impedito quella gestione del credito che ha favorito e non poco la crescita abnorme dei crediti deteriorati e delle sofferenze lorde e nette molto di più di quanto sarebbe accaduto se si fosse scelto fin da subito un modello di gestione accentrata dei nuovi gruppi bancari neonati, cosa che poi accadde ma dopo un lasso di tempo insopportabilmente lungo e con costi, vedi Monte dei Paschi di Siena, Unicredit e Banca Intesa-San Paolo, veramente enormi nonché ingerenze nella gestione da parte delle fondazioni bancarie, come si è visto di recente nel blocco del processo decisionale per la nomina del nuovo Chief Executive Officer di Unicredit poi sbloccato dopo ripetuti crolli in borsa e gli appelli ultimativi di Piercarlo Padoan e Matteo Renzi.

E' in questa terza e non conclusa fase del processo di ristrutturazione del sistema bancario italiano che ci troviamo e con con qualche decina di miliardi di euro di munizioni in meno per affrontare le richieste che si faranno sempre più pressanti da parte della vigilanza europea presso la BCE!

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