lunedì 22 dicembre 2008

Come sarà il mercato finanziario globale al termine della tempesta perfetta?


Credo proprio che sia giunto il momento per fare qualche riflessione su quello che sarà il mercato finanziario globale quando, un giorno fatalmente accadrà, avremo alle spalle le macerie lasciate dagli alti marosi di una tempesta perfetta che, in futuro più o meno prossimo a seconda dei punti di vista soggettivi e delle speranze individuali, dovrà pur fatalmente cessare.

Come sempre accade, lo scenario futuro non si costruisce d’un colpo solo, né con la fatidica mazza del banditore di Walras, né tanto meno con i disegni a tavolini degli esperti del Financial Stability Forum, ma viene costruito giorno dopo giorno dalle risposte più o meno spontanee agli effetti della crisi finanziaria, da quelli delle mosse più o meno composte dalle autorità monetarie, e, the last but not the least, dalle decisioni in materia prese, in modo più o meno coordinato, dai governi dei paesi maggiormente industrializzato, cui, a questo punto della storia, è fatalmente rimasto in mano il classico cerino acceso, anche perché quanto potevano fare le banche centrali è stato più o meno già fatto, con la significativa eccezione di una Banca Centrale Europea che non può allinearsi alla politica dei tassi di interesse intorno allo zero per l’assenza di un governo unico sia nell’area dell’euro che nel più ampio territorio dell’Unione Europea.

Vorrei spingermi decisamente oltre, affermando che una parte significativa del nuovo modello è già sotto i nostri occhi, in particolare se limitiamo l’analisi al mercato finanziario statunitense che resta la costola più importante del mercato finanziario globale, in quanto a Wall Street e dintorni qualcosa è già accaduto con la scomparsa delle Investment Banks, una per fallimento, due perché costrette ad essere acquisite da due colossi del credito quali J.P. Morgan-Chase e Bank of America, mentre le due sopravvissute, Goldman Sachs e Morgan Stanley, hanno accettato di diventare banche commerciali, partecipando, sia del punto di vista dei diritti che dei doveri, al novero delle entità soggette alla vigilanza della Federal Reserve, mentre si assiste alla scomparsa di qualche decina di banche medie e piccole e viene ristrutturato l’intero comparto del mortgage che aveva raggiunto dimensioni di poco inferiori a quelle del prodotto lordo a stelle e strisce.

La progressiva normalizzazione del sistema bancario statunitense, nell’ambito del più generale processo di riregolamentazione degli altri comparti del mercato finanziario, un processo in buona parte determinato dalle entità gigantesche delle perdite dovute alla crescita esponenziale dei prodotti più o meno tossici della finanza strutturata, sta determinando, ed ancor più determinerà in futuro, il più gigantesco processo di credit crunch mai registrato dal secondo dopoguerra mondiale, un fenomeno che per ora si aggira sui 10-15 mila miliardi di dollari e che non può prescindere da quelle che, nella prima puntata del Diario della crisi finanziaria del 4 settembre 2008, venivano definite le vere cause della crisi medesima e, cioè, il mix micidiale rappresentato dai concomitanti processi di finanziarizzazione, globalizzazione e deregolamentazione avviatisi, un po’ in sordina, nella seconda metà degli anni Ottanta.

Non vi è dubbio alcuno, infatti, che non sarà più possibile in futuro far convivere la globalizzazione con la sostanziale invarianza, se no addirittura con il miglioramento, delle condizioni di vita e dei livelli di occupazione dei paesi maggiormente industrializzati, un miracolo consentito dai livelli raggiunti dalla cosiddetta economia di carta e ben rappresentata dalla montagna altissima di titoli della finanza strutturata attualmente ancora al di sopra ed al di sotto dei bilanci delle banche di investimento e di quelle più o meno globali, delle compagnie di assicurazione, dei fondi pensione e di quelli di investimento, nonché nei portafogli degli investitori/risparmiatori sparsi per il pianeta.

Come non si poteva non essere d’accordo con la dissoluzione dell’impero sovietico, così sfido a trovare qualcuno disposto a magnificare le progressive sorti dell’investment banking, ma vi è purtroppo un’amara se non quasi crudele verità nell’autodifesa di quei pochi responsabili della finanziarizzazione selvaggia, ove questi affermano che, senza la loro opera, il conto della globalizzazione sarebbe stato ben più salato, se non del tutto intollerabile per le centinaia di milioni di abitanti dei paesi maggiormente industrializzati, così come è tristemente vero che, senza di loro, redditi, investimenti e livelli d’occupazione in questi stessi paesi in questi ultimi ventidue anni sarebbero stati molto, ma molto inferiori a quelli che abbiamo in realtà osservato.

D’altra parte, quello che abbiamo avuto modo di osservare nella più aspra competizione elettorale presidenziale statunitense, ha visto opporsi, in buona sostanza, due punti di vista sulla crisi finanziaria in corso, quello dell’anziano candidato repubblicano, convinto che bastasse eliminare il marcio che alligna a Wall Street per far ripartire la crescita come nulla fosse accaduto e quello del giovane senatore afroamericano di Chicago che, grazie anche al fatto di avere come consulenti e consiglieri le migliori menti disponibili negli USA, sembra avere compreso che solo l’adozione di misure volte a favorire quella che Rifkin definisce la terza rivoluzione industriale potrà consentire, non senza sacrifici, di far convivere le esigenze di reddito, di occupazione e di investimenti delle donne e degli uomini che abitano quella grande nazione senza necessariamente comprimere le attese e le speranze dei miliardi di abitanti dei paesi emergenti o quasi definitivamente emersi.

In estrema sintesi, il ruolo delle banche e della finanza in questo nuovo scenario è oramai nelle mani degli attuali leaders del G20, che sono chiamati già in aprile ad adottare misure e regole che non gettino il bambino insieme all’acqua sporca!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.