martedì 2 dicembre 2008

La recessione a stelle e strisce ha spento la prima candelina e i mercati crollano!


Oramai è ufficiale che gli Stati Uniti d’America sono in recessione sin dal dicembre dell’anno scorso e quella che era l’opinione comune della maggioranza degli americani ha ricevuto ieri l’autorevole conferma da parte del National Bureau of Economic Research, un think thank privato composto da economisti di primo piano che ha il compito di stabilire l’inizio e la fine di un ciclo recessivo e che si è preso tutto il tempo necessario per stabilire che l’inizio della recessione risale a dodici mesi orsono quando il numero degli occupati non agricoli raggiunse un picco dal quale ha iniziato inesorabilmente a calare, con una perdita secca di 1,2 milioni di occupati nei primi dieci mesi del 2008, ai quali se ne aggiungeranno, con ogni probabilità, almeno altri 325 mila venerdì prossimo, quando verrà diffuso il Non Farm Payrolls relativo al mese di novembre.

Come spesso accade, la percezione popolare del downturn ha largamente preceduto la valutazione ufficiale degli economisti di professione, anche perché gli effetti della tempesta perfetta che aveva preso l’avvio cinque mesi prima dell’inizio della recessione si sono subito fatti sentire dalle milioni di famiglia che hanno perso la loro abitazione e dalle centinaia di migliaia che hanno visto un membro della stessa perdere il proprio posto di lavoro, mentre sono per fortuna minori i casi nei quali si sono registrate entrambe queste iatture!

Non voglio entrare nei dettagli del rapporto del NBER, se non per dire che le ultime due recessioni statunitensi sono durate soltanto otto mesi e solo due delle dieci recessioni intervenute dopo la Grande Depressione (durata più o meno quattordici anni) sono state pari a quella in corso, con la piccola differenza che quest’ultima appare ben lungi dall’aver esaurito il suo corso.

Con la stessa dirompenza con la quale le alte ondate della tempesta perfetta hanno mandato in frantumi l’American Dream, così il timbro ufficiale impresso ieri sulle caratteristiche di lunga durata della recessione in corso ha mandato in soffitta le illusioni sul fatto che bastassero gli effetti d’annuncio del Dream team obamiano, nonché qualche mossa finalmente azzeccata da parte del duo Paulson-Bernspan per dichiarare frettolosamente chiusa la fase più acuta della crisi finanziaria più grave mai registrata, una tesi che non aveva possibilità alcuna di reggere più che lo spazio di un mattino e che qualcuno voleva fosse corroborata dalle cinque giornate positive vissute dalla borsa statunitense, basandosi semplicemente sull’evidenza che sino ad oggi ciò non si era mai verificato in questo davvero orribile 2008.

Che le cose si sarebbero messe davvero male nella prima seduta della settimana lo si era capito dall’andamento dei listini asiatici, in particolare da quello giapponese che inizia a fare i conti con le conseguenze della crisi immobiliare locale, e poi da quelli europei che hanno visto riprendere appieno l’ondata di vendite sulle banche che, nel caso del listino milanese, hanno rivissuto in alcuni casi l’onta delle ripetute sospensioni per eccesso di ribasso; ma, ovviamente, il peggio si è visto sulla piazza di New York.

Come faccio di solito, risparmio al lettore il bollettino di guerra rappresentato dalle chiusure dei singoli mercati e dal profondo rosso che ha caratterizzato le chiusure relative alle azioni delle principali protagoniste del mercato finanziario europeo, limitandomi a ricordare che questa nuova ondata non trova alcuni dei principali paesi europei nelle stesse condizioni in cui si trovavano nella terribile prima decina del mese di ottobre, quando il direttore francese del Fondo Monetario Internazionale, l’un po’ troppo focoso Dominique Strauss Kahn, fu costretto ad ammettere in piena conferenza stampa che il sistema finanziario internazionale era giunto sull’esile orlo di un burrone profondissimo.

La diversa reazione che ha caratterizzato i governi della Gran Bretagna, della Francia e della Germania e quelli degli altri paesi europei dall’altro, con i primi tre posti relativamente al riparo grazie all’approvazione tempestiva e pressoché simultanea di piani di salvataggio di dimensioni senza precedenti e che hanno messo in campo risorse per oltre 1.500 miliardi di euro, mentre gli altri si sono limitati a vaghi balbettii accompagnati, spesso con grande ritardo, da piani che prevedono risorse enormemente più ridotte, ma soprattutto caratterizzati da residui di timore reverenziale nei confronti dei top manager delle banche e delle compagnie di assicurazione che hanno impedito, almeno sino a questo momento, interventi decisi dello Stato nel capitale delle banche, interventi ovviamente accompagnati da doverose condizioni sia sul piano dei comportamenti che sul fronte delle remunerazioni eccessive.

Come ho avuto più volte modo di ribadire in queste ultime settimane, questo differenza di comportamenti all’interno dell’Unione Europea, unita al difficile periodo di transizione dei poteri dall’amministrazione statunitense uscente e quella entrante, sono state alla base dell’altrimenti inspiegabile rinvio di cinque mesi di ogni decisione concreta da parte del G20/G21 svoltosi all’indomani dell’Election Day statunitense, un ritardo che non ha visto i leaders stracciarsi le vesti, anche perché erano ben contenti di avere le mani libere per sistemare nel modo da loro ritenuto più opportuno i rispettivi conflitti tra potere politico e potere economico, un conflitto che ha visto per decenni i governi spesso ridotti a fare da burattini di Big Business, Big Finance, Big Pharma, Big Oil e di tutte le altre Big che vi vengono in mente, una situazione che stava davvero stretta a quelli che hanno già colto la palla al balzo, ma che non vede certo indifferenti anche quelli che stanno segretamente affilando le armi!

Ricordo che il video del mio intervento al convegno della UIL sulla crisi finanziaria è presente nella sezione video del sito dell’associazione Free Lance International Press all’indirizzo http://www.flipnews.org/ mentre gli atti del convegno sono esportabili dal sito http://www.uil.it/ nella sezione del dipartimento di politica economica.