Mi scuso con i lettori per aver saltato le puntate di mercoledì e giovedì, ma cercherò di fare un breve riassunto di quanto è accaduto con riferimento al calo del jobless claims, sempre al di sopra delle 500 mila richieste, ma ai minimi dal marzo di quest’anno, e alla decisione di Warren Buffett di prendere il controllo totale di una importante compagnia ferroviaria, una scelta che ricorda molto gli anni ruggenti di inizio del secolo scorso in cui magnati come John Pierpoint Morgan amavano giocare con i trenini in formato naturale.
Pur possedendo una compagnia di assicurazione ed essendo presente nel capitale di banche di primo rango, è nota la predilezione del leone di Omaha per le imprese manifatturiere e di servizi, ma mai si era spinto sino a diventare, alla soglia degli ottanta anni, il capo di azienda di una compagnia ferroviaria, un’impresa molto più impegnativa del sedere nel consiglio di amministrazione della Coca Cola e della altre società nelle quali è presente attraverso al Berkshire, un ricco portafoglio che già includeva il 22 per cento della compagnia ferroviaria integralmente acquisita nei giorni scorsi.
L’acquisto del residuo 78 per cento della Burlington Northern Santa Fe per 26,3 miliardi di dollari, in contanti e mediante scambio di azioni ad un prezzo che supera di oltre il 30 per cento la quotazione della compagnia nella seduta di lunedì scorso, rappresenta certamente un atto di fiducia nelle possibilità di recupero dell’economia americana, anche perché i treni merci difficilmente sarebbero profittevoli in assenza di un incremento delle merci trasportate, un rischio calcolato alla luce del fatto che lo stesso Buffett dichiara con sufficiente grado di onestà di non sapere quando vi sarà la vera ripresa.
E’ curioso che il mercato non abbia festeggiato la scommessa di Buffett, ma si sia dato alla pazza gioia ieri sull’onda dei dati sull’occupazione, sarebbe meglio dire la disoccupazione e sulle vendite al dettaglio, ma si tratta di stranezze cui ci ha abituato la tempesta perfetta nei suoi poco meno di ventisette mesi di vita.
La notizia di oggi è rappresentata dagli 1,8 miliardi di sterline (3 miliardi circa di dollari) della Royal Bank of Scotland, la grande banca britannica controllata dallo Stato, un profondo rosso che viene in parte bilanciato dall’incremento del 5 per cento dei finanziamenti concessi alla clientela, ma che non può far dimenticare le ingenti somme profuse negli ultimi due anni dal governo di Sua Maestà.
Vengo spesso rimproverato di non occuparmi da tempo delle vicende bancarie europee e in particolare di quelle italiane, ma credo che vi sia poco da aggiungere a quanto detto nei mesi scorsi, in quanto, al di là dei finanziamenti profusi con decisione dai governi di Gran Bretagna, Germania, Francia, Olanda e Belgio, continua a permanere un fitto velo sulle reali condizioni di salute dei colossi bancari europei, una situazione che non consente un’analisi corretta e puntuale della situazione sia a livello di singola banca che di sistema.
L’unica novità riguarda la moderazione dei toni del per la terza volta ministro italiano dell’economia nei confronti delle banche in generale e di quelle italiane in particolare, un addolcimento forse in parte dovuto alla cena patrocinata da Guzzetti e che ha visto allo stesso tavolo Tremonti e il Gotha del sistema bancario italiano.