martedì 24 novembre 2009

Un banchiere prenderà il posto di Geithner?


Non vorrei che dietro l’odierno rally della borsa statunitense più che la soddisfazione per il balzo in avanti delle vendite di case vi sia l’indiscrezione del New York Post sulla possibilità che il numero uno di J.P. Morgan-Chase, Jamie Dimon, possa subentrare all’attuale ministro del Tesoro, Timothy Geithner, un’ipotesi che considero sciagurata e che spero davvero si riveli al più presto del tutto infondata.

E’ vero che l’ipotesi appare un po’ stiracchiata, ma l’esperienza recente dell’ex (?) investment banker sulla poltrona più alta del dicastero del Tesoro a stelle e strisce, Hank Paulson, nonché quella più remota nel tempo del suo ex collega in Goldman, Robert Rubin, fa temere che non sia affatto impossibile che Obama punti su un banchiere di lungo corso per rimpiazzare il civil servant Geithner che, in effetti, è da lungo tempo sotto tiro.

I lettori del Diario della crisi finanziaria conoscono bene la mia valutazione dei trenta mesi di gestione di Paulson al Tesoro, una prestazione al di sotto di ogni sospetto e che non cercava neppure di nascondere il pesante conflitto di interessi gravante sul ministro che aveva, insieme a Bernspan beninteso, potere di vita o di morte sulla banca di provenienza e sulle sue più o meno dirette rivali, per non parlare della serie infinita di piani per uscire dalla crisi trionfalmente annunciati e, quasi sempre, repentinamente falliti.

Ma il capitolo più oscuro della saga di Paulson resta indubbiamente la decisione di lasciar fallire Lehman Brothers, una decisione che portò il mercato finanziario globale quasi oltre l’orlo del baratro, un’eventualità sciagurata che venne impedita soltanto a costo di decisioni eccezionali assunte dal G20 nell’ottobre del 2008 e che videro gettate sul piatto, tra impegni e spese realmente sostenute, decine e decine di migliaia di miliardi di dollari, in larghissima parte a rischio se non proprio a carico dei contribuenti.

Nel caso di Paulson, non si trattava nemmeno dell’eterno dilemma tra scelte in favore di Wall Street o di Main Street, in quanto era evidente a tutti l’approccio assolutamente bancocentrico dell’allora ministro del Tesoro, un approccio che contribuì a spedire General Motors e Chrysler dritte dritte nel girone infernale delle procedure fallimentari dalle quali entrambe sono uscite a spese dei loro bondhoders.

A onore di Dimon, va tuttavia detto che la banca da lui gestita è certamente quella che ha retto meglio alle intemperie della tempesta perfetta, forse anche perché era quella meno caratterizzata dagli elevatissimi rapporti di leverage che affliggevano le sue più dirette concorrenti, ma questo non è sufficiente a preferire un banchiere a un ex presidente della Fed di New York tempratosi per quasi due decenni proprio al ministero del Tesoro.

Il balzo in avanti delle vendite di case negli Stati Uniti d’America in ottobre, una crescita del 10,1 per cento rispetto al mese di settembre, trae invece origine da quelli che dovevano essere gli ultimi fuochi degli incentivi fiscali che dovevano scadere alla fine di novembre, ma che sono stati estesi fino alla fine di aprile dell’anno prossimo, bonus fiscali che sono stati estesi anche a quanti acquistano una casa non per la prima volta, purché possano dimostrare di essere in possesso dell’abitazione precedente da almeno cinque anni, anche se in questo caso il bonus si riduce da 8.000 a 6,500 dollari.