Cosa ci poteva essere di meglio della notizia che nel terzo trimestre dell’anno di grazia 2009 l’economia americana era cresciuta nienetepopodimeno che del 3,5 per cento e che questa crescita era stata guidata dall’acquisto a spron battuto di automobili e case, ma, a quanto pare, gli investitori non sono stati di questo parere e i tre principali indici di Wall Street hanno chiuso la settimana con perdite rilevanti, movendosi in direzione diametralmente opposta a un dollaro che riguadagnava terreno nei confronti delle principali valute e mentre il petrolio si ritrovava confinato nell’area dei 66 dollari al barile.
I ventisei mesi di tempesta perfetta ci hanno abituato a queste stranezze, che poi, a ben guardare tanto strane non sono, non fosse altro che, come ho avuto modo di commentare a caldo, il dato del prodotto interno lordo a stelle e strisce nel terzo trimestre è stato fortemente influenzato da interventi governativi di sostegno che sono oramai terminati e ci si aspetta giustamente che i due settori che ne hanno beneficiato, quello dell’auto e quello immobiliare, potrebbero subire contraccolpi negativi nel trimestre in corso, se non anche in quelli successivi.
Il confronto tra la prima seduta della settimana e quella di venerdì vede il Dow Jones lasciare sul terreno il 2,6 per cento, il Nasdaq il 5,1 per cento e lo Standard & Poor’s 500 il 4 per cento, perdite pesanti, ma mai quanto quelle del Russell 2000 che ha perso, in sole cinque sedute, qualcosa di più del 6 per cento, ma è significativo che, nella sola seduta di venerdì, i tre indici abbiano perso non meno del 2,5 per cento, con lo Standard & Poor’s 500 che ha sfiorato addirittura una perdita del 3 per cento.
Così come è emblematico che le perdite maggiori siano state quelle del settore finanziario, con Citigroup e Bank of America in testa, ma forti flessioni hanno anche colpito colossi come General Electric e Ford, General Motors e Chrysler sono state graziate dalla loro assenza dal listino dovuta al ricorso alla legge fallimentare, a causa delle traversie delle rispettive controllate operanti nel settore dei finanziamenti.
Ma quello di cui gli investitori sono forse più consapevoli è l’insostenibilità del deficit federale, così come della altissima montagna del debito pubblico, temi dei quali ha diffusamente parlato in una trasmissione televisiva il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, per dire che è vero che i livelli raggiunti sono preoccupanti, ma che per il momento non ci si può fare molto, in quanto la priorità è la crescita dell’economia.
Non c’è niente di peggio per gli investitori di ogni ordine e rango che sentire il massimo esponente del dicastero del Tesoro affermare che una situazione è insostenibile ma che non dispone di alcun piano per far rientrare il deficit, né tantomeno per ridurre il debito, anche perché è ancora molto vivace il dibattito sull’utilizzo della montagna di dollari spesi prima dall’amministrazione Bush e poi da quella di Barack Obama in favore di Wall Street, mentre scarsa è stata l’attenzione alle esigenze di Main Street.
Ma il problema vero è rappresentato dal fatto che la montagna del debito pubblico statunitense non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella dei titoli tossici della finanza più o meno strutturata ancora presenti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle banche e delle altre entità protagoniste del mercato finanziario!