martedì 3 gennaio 2017

Due o tre cose che so di Deutsche Bank


Oggi mi prendo una vacanza e ripropongo la puntata del 3 ottobre scorso sulla banca che divide con MPS le attenzioni di analisti e commentatori, avvertendo che sta succedendo una cosa alquanto singolare e, cioè, che l'immensa montagna di derivati e titoli più o meno tossici (classe 3) del colosso creditizio tedesco dai piedi di argilla si è ridotto, alquanto bruscamente, dai 62 mila miliardi di euro del 2015 ai 42 mila miliardi di oggi e pare che ciò sia avvenuto in molti casi su iniziativa delle controparti, un po' una riproposizione della fuga recente di dieci hedge funds che hanno tutti insieme chiuso i rapporti attivi passivi con Deutsche. Come che sia, una riduzione di oltre il 30 per cento di questa vera e propria bomba a orologeria posta sotto i piedi della banca globale è una notizia che ha reso felice il CEO straniero di Deutsche, anche se l'aumento del rischio di controparte non è cosa che dovrebbe favorire i suoi sonni, al di là del contratto blindato che certamente ha ottenuto prima di accettare il molto gravoso incarico!

L'altra novità è rappresentata dal fatto che è stato raggiunto un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense sulla multa da 14 miliardi di dollari per i comportamenti della banca di Francoforte nella crisi dei subprime, un accordo che prevede un pagamento cash di 3,1 miliardi di dollari e un impegno pluriennale della banca a sostenere i propri clienti a partire dal 2017 per complessivi 4,2 miliardi di dollari.

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Redigendo per oramai quasi un decennio il diario di bordo della molto mal messa flotta delle banche globali e, fino alla riforma delle Big Five, le cinque investment banks statunitensi poi trasformate in banche commerciali dopo i disastri che avevano combinato e per le quali sono state multate per decine di miliardi di dollari dal Dipartimento di Giustizia USA, mi sono imbattuto più volte nella Deutsche Bank, una banca globale guidata con pugno di ferro sin dal lontano 2002 da Joseph Ackermann, che poi diverrà presidente della grande compagnia di assicurazioni svizzera Zurich, carica che lascerà solo un anno dopo causa delle accuse mossegli nella lettera del Chief Financial Officer della compagnia di assicurazioni elvetica morto suicida.

Lo stesso Ackermann aveva già visto sfumare, a causa di indagini della procura di Monaco di Baviera, la possibilità di diventare Presidente di Deutsche nel 2012 e, dopo dieci anni alla guida della banca tedesca fu costretto a lasciare anche la carica di Chief Executive Officer, carica che verrà sdoppiata e vedrà la coesistenza di due CEO, uno proveniente dalle attività tradizionali di Deutsche, mentre il secondo, un uomo di finanza di origine indiana, era stato in precedenza il responsabile a livello globale delle attività di Corporate and Investment Banking, proprio quelle attività che tanta parte hanno negli odierni guai del colosso creditizio tedesco dai piedi di argilla.

La non facile coesistenza dei due CEO durerà appena tre anni anni e non sono in grado di dire se fu in quel triennio o durante il lungo regno di Ackermann che fu escogitata la brillante idea di sdoppiare la CIB, un qualcosa di molto originale e, almeno per quanto ne so, unico al mondo, ma quello che è certo è che sulla spinta dei grandi azionisti infuriati per i pessimi risultati e per il proliferare delle multe e dei processi aperti, quali quello sulla manipolazione dei tassi sul mercato interbancario europeo (che vede coinvolti cinque manager di Deutsche) che si concluderà a breve davanti ad una corte di giustizia britannica, che i due co CEO vengono bruscamente messi alla porta e, anche sulla base della difficile situazione, il Consiglio di Amministrazione chiama alla guida della banca un Papa straniero, il britannico John Cryan, un top manager dalla fama di spietato risanatore e che sa che il suo orizzonte temporale rischia di essere ancora più breve di quello dei suoi immediati predecessori,  uno stimato professionista che in breve tempo si fa un quadro completo della situazione, anche perché credo proprio che la prima cosa che avrà chiesto sia stata quella di avere dettagliati ragguagli della situazione della finanza strutturata, quella che a detta di molti rappresenta il vero buco nero della banca tedesca.

Come numero uno operativo di Deutsche, Ackermann partecipò, insieme a tutti i suoi omologhi delle banche globali, a numerosi meeting che la Federal Reserve di New York e il Tesoro USA organizzarono negli anni più caldi della prima ondata della tempesta perfetta, anche perché il problema della finanza strutturata si era sviluppato nel primo quinquennio della sua guida della banca tedesca e quindi sapeva bene di cosa si parlava in quelle riunioni lunghe e infuocate che occuparono un week end sì e l'altro pure per molto, molto tempo, ma sono certo che la riunione che più è rimasta impressa nella sua mente è quella, rigorosamente a porte chiuse, tenutasi in uno dei più grandi alberghi di New York e nella quale Mario Draghi con Hank Paulson da un lato e Bernspan dall'altro, fece un quadro impietoso della situazione e del default sistemico che aleggiava all'orizzonte, dicendo quello che banche centrali e Governi potevano ragionevolmente fare, per far fronte alla situazione, facendo capire al contempo che vi sarebbero state nuove e più stringenti regole per quel casinò a cielo aperto che era diventata la finanza più o meno strutturata ma che ci si aspettava che tutti si dessero da soli una regolata e in tempi molto brevi.

Ma cosa idearono l'ex numero uno di Goldman Sachs poi passato provvidenzialmente al vertice del Tesoro USA nel giugno del 2006  e il capo della Fed, forse grazie anche ai consigli di Mario Draghi, né più né meno che dare alla Fed il ruolo di raccoglitrice della spazzatura prodotta dalle fabbriche prodotto delle divisioni di Corporate and Investment Banking delle banche globali operanti negli USA, titoli totalmente illiquidi a cui la banca centrale americana diede un valore seppure molto contenuto, il che voleva dire che le banche che applicavano questa via d'uscita dovevano registrare una forte perdita ma che rappresentava comunque qualcosa di più del valore zero che avevano in quel momento, ma le autorità monetarie statunitensi fecero di più, passando dal mark to market al mark to value, ma qui entriamo in tecnicalità che non credo interessino chi legge.

Solo Ackermann sa se Deutsche applicò questa possibilità o no e la cosa potrebbe dipendere dalle regole che guidarono questa operazione che trasformò la Fed di New York nel più grande deposito di titoli tossici, con particolare riferimento alla sede legale della banca che chiedeva l'utilizzo di questa possibilità, o se fu applicata solo per una parte dei titoli in questione per non aggravare oltremodo il conto economico nella illusione rivelatasi poi fallace che questi stessi titoli avrebbero ripreso di valore, ma tutto questo la stabiliranno gli storici.

Ci sarebbe tanto altro da dire sull'avventura americana di Deutsche Bank, ma una puntata è una puntata, anche se ci sono due cose ancora che ci tengo a dire e la prima è che c'è una una somiglianza fortissima tra la carriera di John Cryan e quella di Fabrizio Viola, entrambi entrati in partita in Deutsche e MPS in zona Cesarini e, quindi, senza il tempo necessario per applicare le loro strategie, mentre la seconda è che venerdì scorso ho visto il Dipartimento di Giustizia USA commutare, via indiscrezioni autorizzate veicolate su quotidiani online e autorevoli agenzie di stampa specializzate, una multa da 14 miliardi di dollari comminata pochi giorni prima in una da 5,54 miliardi e questo, credetemi è un pessimo segnale sulla reale situazione della banca tedesca, nonché il primo aiuto di Stato, anche se straniero, in favore di Deutsche!

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Il ministro dell'Economia Giancarlo Padoan ha indetto per oggi un vertice, che alcuni giornali definiscono di emergenza, delle principali banche italiane (Intesa, Unicredit e UBI) cui parteciperanno il Governatore della Banca d'Italia, il Fondo Atlante, l'ABI e l'ACRI, per discutere della vendita delle quattro good bank, (di tre dovrebbe farsene carico UBI che però recalcitra perché, anche se l'acquisto, tra esborso e benefici fiscali, è pari a zero, ha già saputo dalla Vigilanza BCE che dovrà fare un aumento di capitale post fusione da 600 milioni di euro) dei problemi del sistema bancario italiano e di quello internazionale con particolare riferimento ai possibili effetti sul nostro sistema bancario derivanti da eventuali sviluppi della crisi di Deutsche Bank e di Commerzbank.

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