Come i miei lettori più assidui avranno certamente notato, mi risulta sempre più difficile scrivere della crisi finanziaria a causa di un andamento dei mercati che sembra andare in direzione opposta alla realtà che vivono decine di milioni di cittadini americani e un numero ancor maggiore di europei, numeri di per sé enormi, ma che rischiano seriamente di aumentare, visto che non passa giorno senza che vengano annunciati interventi di riduzione del personale di questa o di quell’azienda.
Ma negli ultimi giorni sembra che questa schizofrenia tra Wall Street e Main Street stia venendo meno, come si è visto con le reazioni di fronte al vero e proprio tonfo del Consumer Confidence, un sondaggio su cinquemila cittadini statunitensi effettuato dal Conference Board dal quale è emerso che prevale tra gli intervistati un sentimento tutt’altro che positivo rispetto al futuro.mentre resta forte la paura di perdere il posto di lavoro o di non poter pagare le rate del mutuo o gli altri debiti contratti quando le cose andavano bene.
Ma il colpo più forte lo si è avuto ieri quando si è appreso che in settembre le vendite di case di nuova costruzione, dagli analisti previste in forte rialzo, sono invece crollate del 3,6 per cento, il primo dato negativo in cinque mesi che porta il dato annualizzato delle vendite di pochissimo al di sopra delle 400.000 unità (402.000, per la precisione).
E’ ancora presto per dire se questi segnali negativi provenienti dall’economia reale saranno in grado di far sgonfiare la bolla che si è creata dal marzo di quest’anno, quel rally dell’orso che ha conosciuto solo una breve fase di arresto tra metà giugno e metà luglio, ma è riuscito comunque a portare il Dow Jones al di sopra dei 10.000 punti, il Nasdaq al di sopra dei 2.000 e lo Standard & Poor’s 500 al di sopra dei 1.000 punti, soglie psicologiche che sono state o di nuovo violate verso il basso, come nel caso del Dow Jones o, come sta accadendo agli altri due indici, seriamente minacciate di esserlo.
L’annuncio odierno di una crescita del 3,5 per cento del prodotto interno lordo statunitense, una crescita guidata dagli acquisti di case e automobili, a tassi annualizzati superiori al 20 per cento, ha ovviamente ridato fiato al mercato azionario statunitense che mercoledì aveva vissuto una giornata nera, con flessioni del Nasdaq del 2,65 per cento, mentre il rappresentativo Standard & Poor’s 500 aveva lasciato sul terreno poco meno del 2 per cento.
La crescita del PIL a stelle e strisce fa seguito a quattro trimestri negativi consecutivi, il che rappresenta un record che non si registrava dal 1947, anche se va detto che il dato positivo non è soltanto stato spinto dagli incentivi alla rottamazione delle auto e da quelli relativi all’acquisto della prima casa, ma anche da una forte crescita delle spese governative, che sono aumentate del 7,9 per cento dopo essere cresciute dell’11,2 per cento nel secondo trimestre, tassi di crescita inferiori a quelli relativi agli acquisti di case e di auto, ma quasi otto volte superiori a quelli degli investimenti fatti dagli imprenditori che si fermano a un misero 1,1 per cento.
Il problema è rappresentato dal fatto che, esauriti i programmi di incentivazione, bisognerà vedere quale sarà la propensione al consumo nei tre mesi residui dell’anno (due in realtà, visto che siamo alla fine di ottobre) e il dato commentato sopra sulle vendite di case di nuova costruzione non depone bene.