Mentre i tecnici stanno combattendo per mettere sotto controllo i sei reattori della centrale nucleare di Fukushima e il governo nipponico ancora non sa quando sarà possibile terminare il crescente elenco dei defunti e poter iniziare una ricostruzione delle zone devastate dal sisma e dallo tsunami, una voce di speranza viene dal leone di Omaha, al secolo Warren Buffett, che vede un futuro migliore per le aziende nipponiche guidate, aggiungendo che se ne possedesse si guarderebbe bene dal venderle, vedendo nel crollo senza precedenti della settimana scorsa buone opportunità di acquisto, senza però entrare nel dettaglio.
Qualcuno potrebbe pensare che è facile parlare così avendo i propri interessi principali così lontano, ma il discorso di Buffett è avvenuto nel corso dell’inaugurazione di un impianto sudcoreano posseduto da un’impresa israeliana che fa capo alla sua Berkshire Hathaway, un discorso nel quale non ha nascosto altre mire in Sud Corea e dintorni.
Avendo dedicato tre puntate consecutive al triplice disastro giapponese, mi vedo costretto a dire qualcosa sulle affermazioni dell’uomo che, insieme a George Soros, mi ha ispirato nelle oltre ottocento puntate della crisi finanziaria, anche se va detto che la prospettiva rosea di Buffett è riferita al dopo ricostruzione, uno sforzo che, secondo prime stime, dovrebbe costare 165 miliardi di dollari, pari al 4 per cento del pil giapponese.
Pure con le premesse citate, credo che il ragionamento di Buffett non tenga del tutto conto della reazione che la popolazione giapponese sta avendo, ma ancora di più avrà, rispetto al modello energetico giapponese, un modello basato sul massiccio ricorso all’energia nucleare prodotta in impianti simili a quello attualmente sotto gli occhi del mondo, un modello che potrebbe essere rimesso in discussione con conseguenze difficilmente prevedibili sull’intero modello economico giapponese!