La crisi libica, oramai una vera e propria guerra civile, ha portato il prezzo del greggio negli Stati Uniti d’America a 106 dollari al barile, il massimo dall’autunno del 2008, anno nel quale il contratto futuro aveva toccato i 170 dollari per poi cadere rovinosamente al di sotto dei 50 dollari, una situazione questa, molto più che l’incerto conteggio delle vittime dei combattimenti che sta spingendo la NATO a decidere, forse anche in assenza di un voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, lo stabilimento di una zona di non volo su tutto o parte del territorio libico, una decisione che potrebbe accelerare l’uscita di scena del dittatore libico.
Nel frattempo, e con molta calma, i paesi dell’OPEC stanno decidendo di aprire ulteriormente i rubinetti allo scopo di calmierare i prezzi, mentre Obama, oltre a spingere sull’opzione militare, sta decidendo di utilizzare le scorte strategiche di petrolio, due decisioni, per ora ipotetiche, che potrebbero bruciare le mani di quanti stanno puntando a una crescita ulteriore dei prezzi del petrolio agendo, come si suol dire one way.
E’ ben strano questo conflitto libico, con il dittatore che possiede di truppe scelte e migliaia di mercenari, di un’aviazione di tutto rispetto, un apparato di terra e di aria che dovrebbe sbaragliare in poco tempo gli insorti, ma che invece non riesce a riconquistare neppure la piccola località ad un tiro di schioppo dalla capitale.
La minaccia di Gheddafi di minare i pozzi petroliferi ha preceduto di poche ore le minacce di Obama e del segretario generale della NATO, chiarendo oltre ogni ragionevole dubbio qual è la molla che fa scattare americani, europei e anche gli asiatici!