Anche questa puntata del Diario della crisi finanziaria è un seguito delle puntate di ieri e dell’altro ieri, perché quello che sta accadendo in Giappone dopo il terremoto, elevato da 8,9 a 9 gradi della scala Richter, e il violentissimo maremoto è qualcosa di difficilmente immaginabile con tre reattori su quattro di una centrale nucleare oramai chiaramente fuori controllo e con il rischio della fusione di uno di questi, se non di tutti e tre, non esclusa più neanche dai responsabili della società che gestisce l’impianto, per non parlare degli allarmi che vengono da altre centrali nucleari della zona colpita dallo tsunami.
In questo contesto la borsa di Tokyo non poteva che fare quello che ha fatto, giungendo a perdere sino al 14 per cento, per chiudere con una perdita del 10,6 per cento che ha portato il Nikkey a 8.600 punti, mille in meno del livello raggiunto lunedì quando aveva sfondato d’impeto verso il basso la soglia dei 10.000.
Oltre che per le preoccupazioni per quanto sta avvenendo nel potente vicino, le altre borse asiatiche sono state colpite dalle vendite massicce provenienti dagli investitori istituzionali giapponesi, assicurazioni in prima fila, che hanno iniziato un rimpatrio di capitali per far fronte ai pressanti impegni risarcitori che si profilano.
Sarebbe troppo lungo l’elenco delle società che hanno registrato flessioni a due cifre, tra queste spiccano la società che gestisce la centrale che ha perso oltre il 24 per cento, dopo il 23 per cento lasciato sul terreno lunedì e la società costruttrice di impianti nucleari, la Toshiba Corp., che ha perso il 19,5 per cento.