Mentre il mondo è in apprensione per la situazione sempre critica della centrale nucleare di Fukushima e per l’intervento armato contro la Libia di Gheddafi, negli Stati Uniti d’America non accenna a finire il meltdown immobiliare, come testimonia il dato delle vendite di case esistenti che in febbraio si è portato ad un tasso annualizzato di 4,88 milioni di case in calo del 9,6 per cento dai 5,4 milioni di gennaio e ben al di sotto di quel livello di 6 milioni di case che, secondo gli esperti del settore, starebbe ad indicare un mercato edilizio in salute.
Il fatto grave è che il 40 per cento di queste vendite sono rappresentate da vendite all’asta derivanti da procedure di foreclosure o da vendite sottocosto nelle quali i proprietari ricavano meno di quanto devono per il mutuo acceso in precedenza, così come appare strano che un terzo delle vendite avvengono per contanti, una modalità di acquisto che era ad un sesto soltanto un anno fa e che è un chiaro indizio di speculazione, in particolare nelle zone più disastrate dal punto di vista del settore immobiliare.
E’ sufficiente, peraltro, citare il caso di località come Las Vegas o Miami, dove vengono acquistate in contanti metà della case vendute, mentre il prezzo mediano delle vendite a livello nazionale si è portato intorno ai 156 mila dollari, in flessione del 5,6 per cento e il livello più basso dal lontano 2002.
Per gli ottimisti a un tanto al chilo, tutto questo sta a significare che stiamo toccando il fondo, previsione che si basa sull’apparizione in massa di persone che sono disposte a comprare case che sono convinti, o sperano, di poter rivendere a prezzi maggiori.