La Nasa ha reso noto ieri che in questo anno di disgrazia 2016 si è verificato il più sensibile ampliamento del differenziale di temperatura media a livello globale registrato da quando si tengono statistiche accurate sul clima e, cioè, appena prima della Rivoluzione Industriale e che la situazione climatico/ambientale ha oramai superato il punto di non ritorno. Ho perciò deciso di ripubblicare questo post del 27 ottobre scorso e di farlo in memoria dello scomparso Aurelio Peccei, già presidente del Club di Roma.
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Ha fatto molto rumore, All Over The World, la notizia diffusa dall'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei temi ambientali che informa gli oltre sette miliardi e mezzo di persone abitanti il nostro orbe terraqueo che l'aria che respiriamo contiene oramai quattrocento parti per milione di CO2 e che questa micidiale miscela, che già sta facendo danni avvertibili e tristemente avvertiti, non è più caratteristica delle aree maggiormente inquinate, ma si è diffusa anche nelle zone che erano, a torto o a ragione, considerate al riparo da questo triste fenomeno, al punto da spingere in un passato non troppo remoto gli ultra ricchi del pianeta a comprare, ad esempio in Argentina, enormi appezzamenti di terra dove andare a vivere ove le cose dovessero volgersi al peggio.
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Ha fatto molto rumore, All Over The World, la notizia diffusa dall'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei temi ambientali che informa gli oltre sette miliardi e mezzo di persone abitanti il nostro orbe terraqueo che l'aria che respiriamo contiene oramai quattrocento parti per milione di CO2 e che questa micidiale miscela, che già sta facendo danni avvertibili e tristemente avvertiti, non è più caratteristica delle aree maggiormente inquinate, ma si è diffusa anche nelle zone che erano, a torto o a ragione, considerate al riparo da questo triste fenomeno, al punto da spingere in un passato non troppo remoto gli ultra ricchi del pianeta a comprare, ad esempio in Argentina, enormi appezzamenti di terra dove andare a vivere ove le cose dovessero volgersi al peggio.
Nell'Ufficio Studi dell'importante banca dove ho lavorato per qualche decennio, ebbi l'occasione, per la maggior parte dei quattro anni in cui svolsi la mia attività di ricercatore, di redigere in perfetta solitudine una pubblicazione a cadenza trimestrale nell'ambito della quale scrivevo recensioni di libri di economia, ma non solo, che poi andavano anche all'esterno della banca e avevano come destinatari le biblioteche di tutte le facoltà di economia italiane e i cosiddetti grandi clienti, su segnalazione dei funzionari o dei dirigenti che quelle aziende o quei super ricchi avevano nei loro portafogli (la rassegna aveva il nome di "Segnalazioni dalla letteratura economica" e fu fortemente voluta dall'allora Capo dell'Ufficio Studi, Alberto Mucci, un giornalista che era stato in precedenza direttore de Il Sole 24 Ore e vice direttore del Corriere della Sera).
Ma la rassegna di recensioni e segnalazioni aveva anche un lettore di eccezione, o almeno lo era per i numeri monografici più importanti, quali quello su un volume di La Terza che raccoglieva alcuni interventi sul mai troppo compianto John Maynard Keynes, in occasione di un Convegno internazionale coordinato da Luigi Spaventa, tenutosi nei primi anni Ottanta all'Università della Sapienza,di Roma e questi era il Professor Federico Caffè, ordinario di Politica Economica all'Università La Sapienza e direttore dell'omonimo istituto, ma in precedenza responsabile dell'amplissima e frequentatissima Biblioteca della Banca d'Italia, che poi aveva lasciato, dopo aver vinto il concorso a cattedra, con una grande remissione economica rispetto alla retribuzione che percepiva come alto dirigente di Bankitalia, ma spinto a questa scelta dal fuoco sacro dell'insegnamento c e della formazione dei più prestigiosi economisti che si sono formati con lui, una missione che svolse in modo esclusivo e dedicando ore ed ore ai suoi studenti, un docente universitario H24 che ebbi l'onore di vedermi assegnato come relatore della mia tesi sulla Ricerca e Sviluppo in Italia e in Europa, dissertazione che poi ebbe come relatore il Professor Augusto Graziani della Facoltà di Economia dell'Università degli studi di Napoli cui ritornai per ragioni personali ma solo dopo che Caffè mi trasmise preziosi suggerimenti sulla parte iniziale della tesi e sull'approccio quasi maniacale alle note a piè di pagina nella redazione della stessa.
Quando Federico Caffè lasciò una mattina presto casa sua senza lasciare nessuna indicazione su dove avesse intenzione di recarsi, ero collaboratore della redazione economica del quotidiano il Manifesto e ricordo che chiesi ai responsabili di poter parlare di lui, prendendo spunto da un suo libro e, sempre a Via Tomacelli, ricevetti la lettera del suo editore abituale che mi ringraziava per il ricordo che avevo dato del professore scomparso si dichiarava a disposizione per eventuali pubblicazioni, opportunità della quale mi dichiarai grato ma che non ho mai utilizzato.
Fu nell'ambito di questa attività bellissima e, secondo Caffè, da tenersi molto stretta (cosa che, ovviamente, non feci) che mi imbattei in quello che forse è il prodotto più importante del prestigioso Club di Roma, "I limiti dello sviluppo", un libro, o meglio un rapporto redatto da due docenti del Massachusetts Institute of Technology indirizzato a tutti, ma in particolare ai Decision Makers del pianeta, fortemente voluto dal fondatore dello Stesso Club, l'Ingegner Aurelio Peccei, un ex comandante partigiano e fortunato nonché illuminato imprenditore, ma, e forse soprattutto, un pensatore poliedrico e un vero spirito libero che non fu assolutamente capace di assistere inerte alla sistematica distruzione delle risorse naturali dell'unico pianeta che abbiamo, una distruzione dettata da una logica capitalista molto, anche troppo, capace di vedere le possibilità e le opportunità dell'oggi, ma, almeno nella larghissima parte dei casi, totalmente incapace di avere una visione del futuro, non solo di quello remoto, ma anche di quello relativamente prossimo, come i dati scientifici riportati nel volume impietosamente dimostrano, dati che pur risalendo ad oltre quaranta anni orsono, sono davvero impressionanti anche se letti ai giorni nostri.
Ma quello che più mi interessa sottolineare de "I limiti dello sviluppo", che, ovviamente recensii ampiamente ed entusiasticamente in "Segnalazioni dalla letteratura economica", è la parte nella quale, sulla base dei dati sull'esaurimento delle risorse dovuto allo scellerato modello di sviluppo imperante all'epoca, e non troppo diverso da quello vigente oggi, i quattro autori del rapporto, pubblicato per la prima volta nel 1972, indicano il cosiddetto punto di non ritorno, quello oltre il quale gli interventi, anche i più radicali, di contrasto al degrado ambientale sarebbero risultati inefficaci,, e lo individuarono tre anni dopo e, per la precisione, nell'anno di grazia 1975, cioè esattamente quarantuno anni fa e, superato il quale senza che nulla in appartenenza accadesse, fu oggetto di scherno da parte degli esperti e degli scienziati che hanno dovuto però riconoscere nei decenni successivi che molte delle fosche previsioni del Club di Roma si stavano tristemente realizzando e che la stessa e importantissima sigla delle indicazioni della Conferenza di Parigi sul clima rischiano di essere implementate quando sarà oramai troppo tardi e l'unica indicazione implicita nell'allarme lanciato dall'agenzia dell'ONU della concentrazione di CO2 oltre ogni limite ragionevole, sarebbe quella di trasmigrare ogni sei mesi nell'altro emisfero (sic)!
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