Il Financial Times lancia, nell'edizione in edicola, un forte allarme, dicendo che, dopo un'eventuale vittoria del no al referendum del 4 dicembre di quest'anno di disgrazia 2016 e le conseguenti dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio ma non dalla carica di numero uno del Partito Democratico, otto banche italiane di varia dimensione, dal molto malmesso Monte dei Paschi di Siena, passando per Banca Carige, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca , per non parlare delle quattro banche tecnicamente fallite e trasformate in good banks, tre delle quali (Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti nel mirino, con la aperta benedizione della Vigilanza della Banca Centrale Europea di una alquanto riottosa UBI Banca, mentre di Cariferrara si sono perse le tracce), insomma un pezzo del sistema bancario con untotele dell'attivo superiore ai 200 miliardi di euro, un'ipotesi per scongiurare la quale il quotidiano principe della City propone agli elettori italiani di esprimersi con un si motivato non solo e non tanto da un'adesione alla riforma costituzionale, quanto per meri motivi di portafoglio.
Tutto questo sarà una novità per i lettori della stampa generalista o per i fruitori di informazione economica dai network televisivi, ma non certo per i lettori del Diario della crisi finanziaria nel quale i travagli delle banche menzionate nell'articolo citato del FT sono stati seguiti day by day con dovizia di particolari sia in sede di resoconti di quanto stava e sta accadendo, ma anche come sforzo previsivo sia riferito alla banche statunitensi nella prima ondata della Tempesta Perfetta (vedi per tutte la previsione con largo anticipo nel post intitolato "Lehman is the next?"dell'estate del 2008) sia a quelle tedesche e italiane, ma anche l'attenzione alle banche globali francesi e britanniche (si veda la serie di post dedicati a Northern Rock e alla belga Fortis acquisita da BNP Paribas), sempre partendo dal presupposto del carattere sistemico del default di una sola di queste banche che ancora credono nel too big to fail.
Tuttavia, credo che vi sia qualche omissione non del tutto casuale nell'elenco delle banche italiane a riscio, a iniziare dall'assenza del colosso creditizio italiano Unicredit, una banca che è ancora indietro come total assets e come capacità di influenza sul mondo politico rispetto a Intesa-San Paolo, anche se è più grande di questa all'estero dove ha, tra l'altro, una delle più grandi banche tedesche, HVB che è tuttavia molto distante dalle prime due, Deutsche e Commerz, ed ha anche più di un acciacco, ma sarei curioso di sapere quanta massa debitoria ha esposta al bail in, visto che si è scoperto che Monte Paschi ha un bacino da cui attingere di 68,4 miliardi di euro di cui oltre 50 miliardi riferibili alla quota di depositi eccedenti la fatidica soglia dei 100 mila euro.
Ebbene, il possibile passaggio di Monte dei paschi nella procedura di risoluzione determinerebbe un effetto domino dal quale si salverebbero in pochi, ma se toccasse a Unicredit, e ancor più se toccasse a tutte e due insieme con contorno di qualcun'altra delle banche nominate dal FT, allora il Fondo Interbancario di Garanzia dei Depositi non sarebbe in grado di far fronte alla garanzia per i depositi entro la soglia dei 100 mila miliardi, aprendo uno scenario del si salvi chi può, uno scenario dalle conseguenze difficilmente immaginabile che richiederebbe l'intervento dell'apposito Fondo istituito nell'area euro, quello, per intendersi, che fu utilizzato per salvare le banche spagnole e quelle portoghesi e che richiede l'accettazione di impegni formali da parte del Governo imposto dalla Troika, BCE, Commissione UE e Fondo Monetario Internazionale!
Nessun commento:
Posta un commento