La vita si ripete e, come si dice, una volta lo fa in tragedia, la seconda in farsa e così per la disfida apparentemente all'ultimo sangue tra Junker e Renzi, uno scontro che pare più un gioco delle parti per favorire il Governo italiano alle prese con la marea montante del populismo con il suo esercito di "leoni della tastiera" e dei tanti "commissari tecnici della nazionale di calcio" che non mancano mai nel nostro paese ed è per questo che ripubblico volentieri, dopo le bordate di lunedì a palle incatenate tra il Presidente della Commissione europea e il nostro Premier, questa puntata sull'argomento di qualche settimana fa senza toccare neppure una virgola, mentre ricordo incidentalmente che è scaduto da qualche giorno il termine entro il quale la Commissione poteva respingere al mittente il testo della manovra e nulla è accaduto!
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Quando il Commissario europeo agli Affari Economici, Moscovici il solitamente severo tranne che nei confronti dei conti del suo paese di origine, competente per statuto a dare le pagelle ai paesi membri dell'Unione e a vidimarne le leggi di bilancio, si era espresso, in modo molto irrituale in favore dell'approvazione della legge di bilancio italiana (anche per contrastare il fenomeno oramai dilagante del populismo) in margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale svoltisi qualche settimana fa e in quel di Washington, due persone almeno sono rimaste deluse.
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Quando il Commissario europeo agli Affari Economici, Moscovici il solitamente severo tranne che nei confronti dei conti del suo paese di origine, competente per statuto a dare le pagelle ai paesi membri dell'Unione e a vidimarne le leggi di bilancio, si era espresso, in modo molto irrituale in favore dell'approvazione della legge di bilancio italiana (anche per contrastare il fenomeno oramai dilagante del populismo) in margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale svoltisi qualche settimana fa e in quel di Washington, due persone almeno sono rimaste deluse.
Mentre l'individuazione del primo non desta problemi, in quanto si tratta dell'arcigno ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che vedeva ancora una volta, e senza battaglia, trionfare le ciarliere e piagnone cicale italiane popolanti un Paese che aveva osato mettere in discussione la libertà e la liceità della Germania di fregarsene da sempre del vincolo posto dalle norme europee, quelle stesse per le quali lui e la sua cancelliera invocano l'assoluta sacralità e l'inviolabilità, quando le stesse riguardano l'avanzo commerciale che non dovrebbe superare, per tre anni consecutivi, il 6 per cento del prodotto interno lordo, mentre da sei anni la Germania ha bellamente sfondato questa soglia e, nel 2015, ultimo dato disponibile, si è avvicinata al 9 per cento, senza che da Bruxelles venisse un fiato e, non fosse stato per quel ragazzino indisciplinato del Premier italiano, nessuno ne avrebbe parlato!
E il problema per il potente uomo politico tedesco era rappresentato dal fatto che un altro italiano, assist da qualche anno sullo scranno più elevato di quella Banca Centrale Europea, l'uomo regnante il quale si era completato quel processo che aveva ridotto l'un tempo potentissima Bundesbank al rango di Cenerentola, costretta a vigilare sulle landesbanken e sulle sparkassen, banche di poca importanza rispetto ai colossi Commerz e, soprattuto Deutsche, ebbene quel sosia di Ives Montand in sedicesimo si era permesso e di fronte al Parlamento tedesco riunito in sessione plenaria di dire che il tanto vituperato programma di Quantitative Easing aveva permesso, nel solo 2015, risparmi per ben 28 miliardi di euro e, lasciando intendere che cospicui risparmi erano stati conseguiti anche nei primi anni di applicazione del programma, mentre, per quel 2016 che aveva registrato un crollo degli yield sui Bund, le cose sarebbero davvero andate alla grande.
Quando dico Schauble, ricoprendo nel suo nome le posizioni dell'Olanda (che pure da un po' di tempo a questa parte ha i suoi di problemi), l'Austria, i Paesi del Nord europa e di quelli che non troppo tempo fa definiti satelliti dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, paesi del tutto allergici ai migranti che pure, in base al piano di ripartizione faticosamente individuato a Bruxelles, dovrebbero accogliere, tutti infuriati con il davvero inedito buonismo mostrato dal Commissario francese, un uomo che sino a quel momento era proprio nelle loro corde.
Ma la vera sorpresa sta nell'individuazione dell'altro scontento da questo inedito approccio mieloso di Moscovici, anche perché, almeno sulla carta, ne sarebbe il maggiore beneficiario e, cioè il Presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, che di tutto ha bisogno in questo momento meno che di un'approvazione sul velluto della manovra per il 2017; confesso che per capire che le cose stavano così ho dovuto fare appello alle mie frequentazioni negli anni Ottanta della sala stampa di Palazzo Chigi, aulico luogo nel quale colleghi esperti mi spiegavano che erano non pochi i Premier italiani pentapartitici che chiedevano segretamente all'Europa, allora si diceva così, di bacchettarli al fine di far passare misure che loro stessi e i loro consiglieri avevano escogitato.
D'altro canto, un Presidente del Consiglio di nomina molto più recente è stato debitore all'Europa e allo Spread, che poi in estrema sintesi è la stessa cosa, oltre che all'attivismo degno di miglior causa dell'allora Capo dello Stato, della sua investitura alla guida di un Governo che non pochi danni ha fatto per qualcosa di meno di un biennio, ma che a lui ha lasciato la carica di Senatore a vita che è stata un po' la sua assicurazione sulla vita!
Ecco dunque che la Commissione e il suo Capo, Junker, diventano improvvisamente intransigenti, mentre il Premier italiano, dopo l'arma del surplus commerciale tedesco non sanzionato, impugna quella dei deficit altrettanto non sanzionati di Francia, Spagna, Portogallo e compagnia cantante, e cerca di imitare i Premier britannici che negoziavano fermamente la tassa di iscrizione annuale alla UE, nel nostro caso 20 miliardi, e tutto questo per una contestazione di uno 0,1 per cento nel rapporto tra deficit e PIL.
Insomma, ho l'impressione, condivisa da qualche osservatore più smaliziato di me, che tutta questa guerra sul nulla sia fatta esclusivamente per motivi di politica interna del nostro Paese e che mostrare, a quaranta giorni dal voto referendario, i muscoli con e nell'ambito dell'Europa potrebbe essere una mossa alquanto astuta e tutto si può pensare del giovane Premier italiano meno che sia un ingenuo o uno sprovveduto. E, come nota Fabio Martina su La Stampa di ieri, l'Italia farà come quei pugili che si avvinghiano l'uno all'altro senza colpirsi, il che significa che si entrerà in uno scambio di deduzioni e controdeduzioni che porterà i contendenti a giungere entrambi indenni alla Primavera del 2017.
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